Author: acecchin

Crespano del Grappa

Al Centro Chiavacci un percorso botanico – naturalistico inclusivo. Inaugurazione il 1° settembre con il Vescovo, il Sindaco e i referenti dell’Ulss2

Inaugurazione del percorso botanico naturalistico per una didattica inclusiva venerdì 1° settembre presso il Centro di spiritualità e cultura “Don Paolo Chiavacci” di Crespano di Pieve del Grappa.

L’evento – sottolinea un comunicato stampa del Centro – nasce in relazione alla sensibilizzazione e promozione del progetto “Turismo sociale e inclusivo nel Veneto”, promosso dalla Regione del Veneto e finanziato dal Fondo ministeriale per l’Inclusione delle persone con disabilità. L’evento si svolgerà con la collaborazione della Diocesi di Treviso, l’Amministrazione comunale di Pieve del Grappa, la Riserva Biosfera “Monte Grappa” Mab Unesco e l’Ulss 2 Marca Trevigiana.

L’inaugurazione coincide con la Giornata mondiale di Preghiera per la Cura del Creato e segna l’inizio del Tempo del Creato, che si conclude il 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi. Nel suo messaggio dal titolo “Che scorrano la giustizia e la pace”, papa Francesco invita ad ascoltare “l’appello a stare a fianco delle vittime dell’ingiustizia ambientale e climatica, e a porre fine a questa insensata guerra al creato”.

Il programma dell’inaugurazione prevede alle ore 15 la presentazione e il saluto delle autorità. Don Paolo Magoga, direttore del Centro e dell’ufficio di Pastorale Sociale, del Lavoro, Giustizia, Pace e salvaguardia del Creato, presenta gli ospiti: mons. Michele Tomasi Vescovo di Treviso, don Giovanni Scavezzon a nome dell’associazione don Chiavacci che ha curato e curerà la manutenzione del sentiero, Annalisa Rampin, sindaco di Pieve del Grappa e presidente dell’Ipa Terre di Asolo e coordinatore della Riserva della Biosfera Mab Unesco Monte Grappa, il dott. Pasquale Borsellino Direttore per la Regione Veneto dell’U.O Famiglia, Minori, Giovani e Servizio Civile della Direzione Servizi Sociali della Regione Veneto, il dott. Roberto Rigoli direttore dei Servizi Socio Sanitari dell’Ulss 2 Marca Trevigiana, la dott.ssa Paola Schiavetto responsabile Servizio Inserimento Lavorativo dell’Ulss 2 Marca Trevigiana. Alle 15.30 il taglio del nastro e la visita al sentiero; alle 17 riflessioni sui cambiamenti climatici: “Non ci sono più le mezze stagioni” con il prof. Alberto Pivato in collaborazione con la compagnia teatrale Stabile del Leonardo; alle 18 buffet e alle 19 la santa Messa.

Il percorso botanico naturalistico per una didattica inclusiva è un percorso ad anello che si snoda per 130 metri partendo dalla “casera” all’altezza del primo parcheggio sulla strada che porta al Centro. Il percorso è aperto e accessibile a tutta la cittadinanza.

«Ci siamo proposti di unire l’educazione ambientale avvicinando la montagna a coloro che quotidianamente affrontano sfide di mobilità e visione», spiega don Paolo Magoga. «Nel percorso si potrà ammirare un arboreto didattico di piante “aghifoglie” e una mostra nella quale leggere e ascoltare il pensiero di uomini e donne che riflettono e si battono per la salvaguardia dell’ambiente. Infatti puntando sui codici QR presenti nei diversi pannelli disposti lungo tutto il percorso si avrà modo di ascoltare il pensiero di Papa Francesco, di Carlo Petrini e di Greta Thunberg e di sentire brani scelti dell’enciclica Laudato si».

«Papa Francesco», continua Magoga, «nel discorso per la Giornata Mondiale per il Creato scrive: “Come possiamo contribuire al fiume potente della giustizia e della pace in questo Tempo del Creato? Cosa possiamo fare noi, soprattutto come Chiese cristiane, per risanare la nostra casa comune in modo che torni a pullulare di vita? Dobbiamo decidere di trasformare i nostri cuori, i nostri stili di vita e le politiche pubbliche che governano le nostre società”. Quasi a rispondere all’appello del Papa, ecco nascere il sentiero inclusivo didattico frutto di una solidale cordata tra realtà politiche, sociali e religiose che si sono date la mano per aprire la bellezza della montagna a chi per problematiche diverse rischia di rimanere escluso».

IL “TEMPO DEL CREATO” CONTINUA FINO AL 4 OTTOBRE

Saranno poi altri quattro gli appuntamenti organizzati per celebrare il tempo del Creato. Questo il programma: giovedì 31 agosto alle 20.30 nella casa di spiritualità “Oasi sant’Antonio” di Camposampiero (Padova) incontro con il teologo padre Ermes Ronchi sul messaggio del Papa. Ingresso gratuito e prenotazione obbligatoria a: info@casadispiritualita.it o telefonando al numero: 049.9303003. Venerdì 15 settembre ore 20.30 Veglia di preghiera itinerante con partenza dal Santuario del Noce fino al Parco della Casa di Spiritualità meditando il messaggio di Papa Francesco. Sabato 23 settembre alle ore 18 in auditorium della Casa dei Carraresi a Treviso incontro con l’economista Stefano Zamagni sul tema: “L’economia Civile: un’altra idea di mercato” promosso dalla Comunità Laudato si’ e Slow Food Treviso. Mercoledì 4 ottobre alle 20.30 veglia diocesana a Monastier sul tema dell’acqua con la collaborazione della Pastorale Sociale e salvaguardia del Creato.

Il Papa è arrivato in Portogallo. Nell’incontro con le autorità: “Sogno un’Europa che spenga focolai di guerra”

“Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo?”. Nel suo primo discorso a Lisbona, rivolto alle autorità, alla società civile e al Corpo diplomatico, il Papa ha rivolto domande esigenti al nostro continente, accompagnate da precisi auspici come indicazioni di rotta. “E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente?”, ha proseguito Francesco: “La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale”. “Preoccupa quando si legge che in tanti luoghi si investono continuamente fondi sulle armi anziché sul futuro dei figli”, il grido d’allarme del Papa: “Mi diceva l’economo che il miglior reddito di investimenti è la fabbrica di armi.”, ha aggiunto a braccio. “Io sogno un’Europa, cuore d’Occidente, che metta a frutto il suo ingegno per spegnere focolai di guerra e accendere luci di speranza”, ha rivelato: “Un’Europa che sappia ritrovare il suo animo giovane, sognando la grandezza dell’insieme e andando oltre i bisogni dell’immediato; un’Europa che includa popoli e persone, senza rincorrere teorie e colonizzazioni ideologiche”. “In questo ci aiuterà pensare ai sogni dei padri fondatori dell’Unione”, ha aggiunto a braccio: “Questi sognavano alla grande”.

La buona politica e la speranza

“La mancanza di lavoro, i ritmi frenetici in cui sono immersi, l’aumento del costo della vita, la fatica a trovare un’abitazione e, ancora più preoccupante, la paura di formare famiglie e mettere al mondo dei figli”. Sono questi i fattori che scoraggiano i giovani, mettendo in pericolo il loro futuro. Ad elencarli è stato il Papa, nel discorso rivolto alle autorità, alla società civile e al Corpo diplomatico. “In Europa e, più in generale, in Occidente, si assiste a una triste fase discendente della curva demografica”, l’analisi di Francesco: “il progresso sembra una questione riguardante gli sviluppi della tecnica e gli agi dei singoli, mentre il futuro chiede di contrastare la denatalità e il tramonto della voglia di vivere”. “La buona politica può fare molto in questo, può essere generatrice di speranza”, l’appello del Papa: “Essa, infatti, non è chiamata a detenere il potere, ma a dare alla gente il potere di sperare. È chiamata, oggi più che mai, a correggere gli squilibri economici di un mercato che produce ricchezze, ma non le distribuisce, impoverendo di risorse e certezze gli animi. È chiamata a riscoprirsi generatrice di vita e di cura, a investire con lungimiranza sull’avvenire, sulle famiglie e sui figli, a promuovere alleanze intergenerazionali, dove non si cancelli con un colpo di spugna il passato, ma si favoriscano i legami tra giovani e anziani”. A questo proposito, Francesco ha citato “il sentimento della saudade portoghese, la quale esprime una nostalgia, un desiderio di bene assente, che rinasce solo a contatto con le proprie radici, i giovani devono ritrovare le proprie radici negli anziani”: di qui l’importanza dell’educazione, “che non può solo impartire nozioni tecniche per progredire economicamente, ma è destinata a immettere in una storia, a consegnare una tradizione, a valorizzare il bisogno religioso dell’uomo e a favorire l’amicizia sociale”.

L’ambiente

“Il Portogallo condivide con l’Europa tanti sforzi esemplari per la protezione del creato. Ma il problema globale rimane estremamente serio: gli oceani si surriscaldano e i loro fondali portano a galla la bruttezza con cui abbiamo inquinato la casa comune”. Così il Papa, nel suo primo discorso in terra portoghese, ha affrontato il tema dell’ambiente, il primo dei “cantiere di speranza” su cui lavorare insieme ai giovani. “Stiamo trasformando le grandi riserve di vita in discariche di plastica”, la denuncia di Francesco: “L’oceano ci ricorda che la vita dell’uomo è chiamata ad armonizzarsi con un ambiente più grande di noi, che va custodito con premura, pensando alle giovani generazioni. Come possiamo dire di credere nei giovani, se non diamo loro uno spazio sano per costruire il futuro?”.

Difendere la vita umana

“Nel mondo evoluto di oggi è divenuto paradossalmente prioritario difendere la vita umana, messa a rischio da derive utilitariste, che la usano e la scartano”: è il grido d’allarme del Papa. “Penso a tanti bambini non nati e anziani abbandonati a sé stessi, alla fatica di accogliere, proteggere, promuovere e integrare chi viene da lontano e bussa alle porte, alla solitudine di molte famiglie in difficoltà nel mettere al mondo e crescere dei figli”, l’elenco di Francesco: “Verrebbe anche qui da dire: verso dove navigate, Europa e Occidente, con lo scarto dei vecchi, i muri col filo spinato, le stragi in mare e le culle vuote? Dove andate se, di fronte al male di vivere, offrite rimedi sbrigativi e sbagliati, come il facile accesso alla morte, soluzione di comodo che appare dolce, ma in realtà è più amara delle acque del mare?”. “E penso a tante leggi sofisticate sull’eutanasia”, ha aggiunto a braccio.

Incontro annuale con il Vescovo

Dai nostri missionari il mosaico di una Chiesa bella

La Chiesa è bella. L’incontro dei missionari con il Vescovo Michele, che si è tenuto venerdì 28 luglio a Riese Pio X, è partito da questa convinzione, dando spazio a una condivisione che ha contribuito a costruire un mosaico, appunto un bel mosaico, poiché la Chiesa bella è una Chiesa plurale, fatta di tante esperienze e di tanti modi di rispondere alla chiamata a vivere il Vangelo.
L’incontro dei missionari con il Vescovo è una tradizione della Chiesa di Treviso. Inizialmente riguardava i missionari trevigiani che d’estate sono in vacanza. A loro (negli ultimi anni inevitabilmente un po’ ridotti di numero), da tempo si affiancano anche sacerdoti e religiose stranieri che qui vivono il loro servizio pastorale, i sacerdoti fidei donum che hanno fatto esperienza in missione e sono tornati, sacerdoti, religiose e religiosi che vivono in terre non tradizionalmente di missione, ma in Europa, per esempio in Francia.
Nel corso della lunga condivisione, sono rimbalzate esperienze e testimonianze, germogli di Regno di Dio che spuntano in modo imprevisto e imprevedibile, dal basso, in una favela di Rio de Janeiro o nel quartiere di periferia a maggioranza musulmana di Marsiglia; nelle missioni africane, povere economicamente ma capaci di dare vera felicità, ma anche nelle nostre comunità trevigiane.
Don Gianfranco Pegoraro, direttore del Centro missionario, ha dato atto che oggi, nella Chiesa di Treviso, “si parla, continuamente, di Chiesa missionaria. Magari è un concetto che dobbiamo approfondire, ma è vero anche che anni fa nessuno parlava di missione. Un altro germoglio è quello dei giovani. Sono tanti quelli che vanno alla Gmg, ma sono tanti anche quelli che scelgono di trascorrere un periodo in missione, o facendo esperienze di volontariato internazionale. Spesso neppure li conosciamo”. Un impegno, quello dei giovani, che ha colpito molti tra i partecipanti.
Il Vescovo ha ascoltato attentamente tutti gli interventi, e ha preso la parola a conclusione dell’incontro: “Grazie per queste belle condivisioni di esperienze vive, vere – ha detto tra l’altro -. Abbiamo avuto modo di conoscere persone che vivono pienamente la loro umanità, e lo fanno nel Cristo”. Dove incontriamo, nelle persone, la speranza del Vangelo? “C’è un criterio che il Vangelo ci dà, ed è quello delle Beatitudini. La speranza è il criterio di speranza, spiega “vai lì”, e trovi tra questa umanità l’umanità vera, l’elenco delle beatitudini, il discorso della montagna”, ha detto mons. Tomasi. Senza dimenticare che Dio è già lì, tra le persone che raggiungiamo con la missione.
Alla luce delle condivisioni, ma anche del cammino sinodale della Chiesa di Treviso, il Vescovo ha aggiunto: “Tanta gente, nella Chiesa, è disposta a vivere la corresponsabilità a partire dal battesimo, è disposta a metterci del proprio. Non è delega, non è collaborazione, è corresponsabilità, rispondere insieme alla vocazione del battesimo”.
Mons. Tomasi ha anche “aggiornato” i presenti sui punti salienti del cammino che sta facendo la Chiesa di Treviso, e anche sulla Peregrinatio corporis di san Pio X del prossimo ottobre (da qui la scelta di Riese, anche alla presenza del parroco, mons. Giorgio Piva, come sede dell’incontro). I missionari hanno anche visitato la casa natale di Papa Sarto, prima della messa presieduta dal Vescovo nel santuario delle Cendrole.

(Bruno Desidera – La Vita del popolo)

Videomessaggio

Papa Francesco ai giovani in partenza per la Gmg: “Buona strada! La vita è mettersi in cammino”

“Siete in partenza per Lisbona, per la Giornata mondiale della gioventù. Vi auguro una buona strada, vi auguro di arrivare con gioia a quell’incontro”. Così si esprime Papa Francesco rivolgendo tramite Avvenire un videosaluto ai giovani che da tutto il mondo si stanno mettendo in viaggio verso la capitale portoghese per vivere la Gmg. “Fare questa strada è mettersi in cammino; la vita è così: mettersi in cammino. I giovani hanno questa vocazione di mettersi in cammino”. Papa Bergoglio aggiunge: “Andate avanti, coraggiosamente, guardando sempre dove volete arrivare. Con quella mistica del cammino che è sempre vicino agli altri e non da soli. Dio vi benedica”.

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Iniziato il pellegrinaggio diocesano a Lourdes: 160 persone in treno con il Vescovo e 95 in aereo

Sono partiti in 160 in treno, dalla stazione di Treviso, e altri 95 partono lunedì mattina in aereo. I pellegrini trevigiani sono in viaggio per Lourdes, dove arriveranno lunedì sera, accompagnati dal vescovo Michele Tomasi. Il pellegrinaggio quest’anno è triveneto, con la partecipazione di 5 diocesi (Treviso, Padova, Adria – Rovigo, Udine, Trieste) e un totale di 850 persone. Insieme al personale dell’Unitalsi delle varie diocesi, ad accompagnare i pellegrini in questi sette giorni ci sono anche 20 medici, 20 infermieri, una quindicina di sacerdoti e i vescovi di Treviso Tomasi e di Udine Mazzocato. La partenza, oggi pomeriggio, a Treviso, la prima volta con il treno dopo la pandemia. L’anno scorso, infatti, i pellegrini avevano potuto viaggiare solo in aereo.

“Un viaggio importante per la nostra fede, in un luogo dove ricaricarsi insieme e portare un briciolo di speranza, al ritorno nelle nostre diocesi – ha detto mons. Tomasi prima di salire in treno -. Chi va a Lourdes cerca il miracolo di un aiuto, del sollievo nella malattia, anche della guarigione, perché no. Ma a Lourdes si ribadisce soprattutto la fede nel Signore e l’amore grande per Maria. Siamo insieme in un luogo santo, alla ricerca di quel tocco che non delude, nell’esempio di persone semplici che hanno detto “sì” al Signore, si sono fidate di Dio e mostrano a noi questa fiducia. A Lourdes c’è un incontro di relazioni di amore e di cura: gli ammalati che vengono accompagnati e accuditi, le persone che si prendono cura di loro”.

Morte mons. Bettazzi. Il Vescovo Tomasi: “Il suo lascito: l’impegno per la giustizia e per la pace”

“Con mons. Luigi Bettazzi la Chiesa in Italia perde un suo testimone credibile, sincero ed appassionato”: così il vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi, esprime questa mattina il cordoglio per la morte di mons. Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e già presidente di “Pax Christi”. Nato a Treviso il 26 novembre 1923, nella città della Marca, dove lavorava il papà, trascorse la sua infanzia.

“Nato a Treviso, era sempre legato alla sua terra, nella cura di legami ed amicizie – continua il vescovo Tomasi -. Giunto quasi a 100 anni di vita e a ridosso del sessantesimo anniversario di ordinazione episcopale, la sua ormai immancabile pubblicazione, di cui faceva generoso dono, era per me sempre occasione di approfondimento e di riflessione sulla vita della Chiesa e del mondo, nelle loro reciproche relazioni, tanto di collaborazione quanto di sfida, nella costante ricerca del bene di tutti e di ciascuno. Ultimo testimone italiano del Concilio Vaticano II, ci trasmette come lascito il suo coraggioso e costante impegno per le ragioni della giustizia e della pace, compito che non può essere lasciato cadere, soprattutto in questo nostro tempo di ritorno generalizzato a logiche di confronto violento, di chiusura e di mancanza di dialogo.

Preghiamo per lui, perché sia accolto dal Dio della vita e della pace, e ringraziamo il Signore per il dono del suo lungo e fecondo ministero episcopale”.

 

Mons. Bettazzi tornava volentieri a Treviso, invitato a intervenire ad incontri, a presiedere celebrazioni, come la festa di san Liberale nel 2016 (nella foto). L’ultima volta è tornato nell’agosto del 2016, per le esequie dell’amico don Fernando Pavanello.

Nomine: nuovi parroci ad Asolo, Castelfranco, Catena e Lancenigo

Nei giorni scorsi il vescovo, mons. Michele Tomasi, ha proceduto ad alcune nomine che riguardano diverse comunità e sacerdoti della nostra diocesi. Eccole nel dettaglio:

Don Giuseppe Minto, finora parroco della parrocchia S. Pelagio martire in Treviso e presidente dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, è stato nominato parroco-preposto della parrocchia S. Maria Assunta in Asolo e parroco della parrocchia S. Giovanni Battista in Pagnano d’Asolo, in sostituzione di mons. Giacomo Lorenzon, deceduto lo scorso 16 maggio. In quanto parroco-preposto della parrocchia S. Maria Assunta in Asolo, diventa anche canonico onorario della Cattedrale di Treviso (con titolo di monsignore).

Don Claudio Bosa, finora parroco della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo in Camposampiero e amministratore parrocchiale della parrocchia di S. Maria Assunta in Rustega, è stato nominato arciprete-abate della parrocchia di S. Maria Assunta e di San Liberale in Castelfranco Veneto (Duomo) e parroco delle parrocchie di S. Benedetto Abate in Postumia di Castelfranco Veneto e di San Sebastiano in Villarazzo, in sostituzione di mons. Dionisio Salvadori, che lascia l’ufficio di parroco per raggiunti limiti di età. In quanto arciprete-abate della parrocchia di S. Maria Assunta e di San Liberale in Castelfranco Veneto (Duomo), godrà dei privilegi di Protonotario apostolico ad instar (con titolo di monsignore).

Mons. Dionisio Salvadori, finora arciprete-abate della parrocchia di S. Maria Assunta e di San Liberale in Castelfranco Veneto (Duomo) e parroco delle parrocchie di S. Benedetto Abate in Postumia di Castelfranco Veneto e di San Sebastiano in Villarazzo, è stato nominato collaboratore pastorale della Collaborazione pastorale di Paese.

Don Marco Carletto, finora parroco delle parrocchie Annunciazione della Beata Vergine Maria in Catena di Villorba e S. Giovanni Battista in Lancenigo di Villorba, è stato nominato collaboratore pastorale della Collaborazione pastorale Treviso Est (parrocchie di S. Anna madre della B.V. Maria in Santa Maria del Rovere di Treviso, S. Pio X Papa in Treviso, Cristo Re in Selvana, S. Ambrogio vescovo in Fiera di Treviso).

Don Luca Pertile e don Roberto Bovolenta sono stati nominati parroci in solido delle parrocchie Annunciazione della Beata Vergine Maria in Catena di Villorba e S. Giovanni Battista in Lancenigo di Villorba, in sostituzione di don Marco Carletto; assumeranno in solido anche la cura pastorale della parrocchia Natività della Beata Vergine Maria in Fontane di Villorba.

L’impegno di tutti per la carità del Papa: domenica 25 in tutte le chiese torna l’obolo di San Pietro

Domenica 25 giugno si celebra la Giornata per la Carità del Papa: grazie al sostegno dei fedeli di tutto il mondo, il Santo Padre si rende concretamente vicino a quanti sono in difficoltà in ogni parte della terra.
“Aiuta il Papa ad aiutare”. Tante volte abbiamo avuto notizia di iniziative caritative del Vescovo di Roma: attraverso un aiuto economico concreto, l’acquisto e l’invio di attrezzature mediche, medicinali e generi di prima necessità, il Papa si rende presente nelle situazioni più difficili in ogni parte del mondo. È una missione che non ha confini ed è continuamente sollecitata da nuove urgenze. Le guerre – quelle le cui immagini passano ogni giorno sui nostri teleschermi, ma anche quelle dimenticate – le carestie, la povertà e la fame, i movimenti migratori, le emergenze climatiche: tante sono le richieste che arrivano al Papa. Ed è grazie all’Obolo di San Pietro che egli può rispondere con cuore di padre alle tante necessità e, come si apprende dal Rapporto annuale pubblicato nel giugno 2022, si sono anche potuti finanziare 157 progetti in 67 paesi.
L’Obolo di San Pietro è un’offerta che può essere di piccola entità, ma ha un grande valore simbolico: manifesta, infatti, il senso di appartenenza alla Chiesa e amore e fiducia per il Vescovo di Roma, che presiede tutte le Chiese nella carità. Chi dona all’Obolo non solo aiuta il Papa ad aiutare chi soffre, ma partecipa alla sua missione di annuncio del Vangelo in tutto il mondo e collabora a far giungere la sua voce e il suo messaggio negli angoli più remoti della terra attraverso la radio, la televisione e il web. Inoltre, coopera al servizio che il Papa dà alle Chiese locali attraverso i dicasteri della Santa Sede e la rete dei Nunzi apostolici, suoi rappresentanti nel mondo, sostenendo le iniziative volte alla promozione dello sviluppo umano integrale, dell’educazione, della pace, della giustizia e della fratellanza fra i popoli, perché tacciano le armi e si riannodino ovunque i fili del dialogo.
La Giornata per la Carità del Papa sarà il 25 giugno nelle chiese di tutta Italia. Pregheremo in maniera particolare per papa Francesco e il contributo raccolto sosterrà la sua missione. Ma si può donare al Santo Padre in ogni momento dell’anno tramite le seguenti modalità:
1. conto corrente bancario intestato a “Obolo di San Pietro” presso FinecoBank S.p.A.
IBAN: IT 52 S 03015 03200 000003501166
Codice BIC/SWIFT beneficiario: FEBIITM1 (si prega di indicare nome e indirizzo completo nella causale)
2. carta di credito: collegandosi al sito www.obolodisanpietro.va.
3. conto corrente postale N. 75070003 intestato a “Obolo di San Pietro” – 00120 Città del Vaticano tramite bollettino, o con bonifico postale o postagiro: IBAN: IT 27 S 07601 03200 000075070003 – Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX.

Santa Maria in Colle: messa con il Vescovo nella festa di san Romualdo

Nella festa di San Romualdo, lunedì 19 giugno, la comunità monastica camaldolese di Santa Maria in Colle (Montebelluna) ha vissuto un momento di fraternità con il vescovo Michele, che ha presieduto la celebrazione eucaristica serale. “Una comunità fondata sull’amore per le Scritture, nutrita dalla costante preghiera dei Salmi, che può offrire una semplice fraternità di monaci e monache che condividono la compagnia degli uomini e delle donne, senza rivalità, senza paura. Può essere uno dei luoghi della nostra Chiesa in cui possiamo tornare a credere che il male è sconfitto, e che i nostri nomi sono scritti nel cielo”: è il ritratto della comunità che il Vescovo ha proposto nella sua omelia, commentando il brano del Vangelo di Luca, sui settantadue discepoli appena tornati dalla missione “pieni di gioia, perché nel nome di Gesù hanno operato liberazione e vittoria. Inviati a due a due, sono riusciti a vivere portando con sé il Signore, lasciandosi guidare, lasciandosi «abitare» da Lui”. L’anticipo di una Chiesa… possibile. “Finita la concorrenza mimetica fra i discepoli; accolto il volto del Padre misericordioso come viene rivelato dal Figlio Gesù; fatto spazio alla fiducia di andare poveri per manifestare sola la ricchezza del Vangelo e la sua potente autorità, essi – ha spiegato mons. Tomasi – sono un autentico anticipo della Chiesa come può essere, se essa vive della fede in Cristo, e soltanto di essa”.
Il loro nome è scritto nei cieli, perché “finalmente vivono e agiscono nel nome di Gesù – ha aggiunto il Vescovo -. Essi vivono il Regno, perché hanno accolto il loro essere figli, e quindi fratelli, sorelle”. Una novità che essi vedono, “perché lo svelamento è ad opera di Cristo Gesù, che assume con decisione il suo cammino verso la Croce”.
Il Vescovo ha descritto San Romualdo come un cercatore di Dio, un uomo che “ha abitato nei Salmi e di essi si è nutrito, con essi si è fatto preghiera lui stesso; ha incontrato la fraternità nei suoi drammi e l’ha vissuta come il luogo dell’incontro con Dio. Il suo è il cammino dei settantadue, la sua gioia è la loro quando ritornano a Gesù”. Un cammino, quello verso la gioia, che possiamo percorrere anche noi, contemplando le Scritture e la vita dei santi e trovando in esse segni e indizi della “gioia di Gesù, e con Gesù”.
“Potremmo essere anche noi quei beati che vedono quanto videro i settantadue inviati. E cioè la concreta reale possibilità – ha sottolineato il Vescovo – di spazi e tempi di vita liberati dalla paura e dal sospetto, dall’egocentrismo, dall’impulso di dover sempre dimostrare qualcosa di nostro e dalla paura di morire, e vissuti invece nella serena, luminosa, fanciullesca e rigenerante certezza, donata dal Vangelo di Cristo, di essere amati perché figli del Padre che è amore, e fratelli e sorelle che in questo trovano la loro essenza, la loro verità, il loro destino”.
Don Firmino Bianchin, priore della comunità, ha ringraziato il Vescovo della sua presenza, sottolineando l’accento dell’omelia sulla via della Scrittura, dei Salmi, e sulla vita fraterna e la comunione. “Una sfida che raccogliamo, dentro alle fatiche quotidiane” ha detto, perché, come ha sottolineato Fiorenza Cecchetto, “la vita fraterna è una sfida all’individualismo, alle autodifese, che si possono nascondere anche nella convivenza. Una sfida a custodire i motivi essenziali per cui siamo qui, e da questi provare a condividere la vita, in una progressiva e inesauribile rivitalizzazione della nostra decisione. Anche la nostra esperienza contiene una forza di testimonianza: nell’ascolto della Scrittura, che sta al centro, nella condivisione semplice con le persone che ci frequentano. Questo in un tempo spezzato tra il prima della pandemia e il dopo… un tempo che è stato di desolazione e di spoliazione, di ridimensionamento di tante realtà”.
La comunità stessa condivide le difficoltà di vita di tante persone “con le quali dialoghiamo e camminiamo. Non siamo differenti o migliori – ha aggiunto -. La differenza non è essere preservati dalle fatiche, ma avere consapevolezza di avere in dono un annuncio e una promessa «altra». Questo dono di speranza a cui siamo legati è anche la responsabilità di una condivisione, che oltrepassa il nostro personale ben-essere. La vita fraterna è dunque la sfida da “rendere visibile e accogliente”: è la risposta a un individualismo stringente, non una fusione delle diversità. Benedizione e fatica al contempo… Lo spazio dell’esperienza di fede, l’autentico scambio di come viviamo secondo il Vangelo, trovando il tempo di relazioni trasparenti e semplici, di stima della sincera ricerca di ognuno. L’accoglienza dei cambiamenti non è la smentita dei fondamenti, bensì lo sforzo di ascoltare e comprendere quanto in essi si svela, come domanda di vita autentica”. (A.C.)

 

“Uomo di Dio, uomo della Parola”: il ricordo del Vescovo per l’ultimo saluto a mons. Antonio Marangon

Un grazie corale per la sua vita per i doni che ha potuto elargire a tante persone: il funerale di mons. Antonio Marangon, venerdì pomeriggio, nella chiesa di San Nicolò, a Treviso, ha riunito molte persone, che volevano stringersi alla sua famiglia e al Vescovo e, con lui, a tutto il presbiterio diocesano. Mancato lo scorso 6 giugno a 90 anni, nella Casa del clero, don Antonio è stato per molti anni docente di Sacra Scrittura allo Studio teologico interdiocesano di Treviso e Vittorio Veneto, di cui è stato anche preside.

Oltre duecento i sacerdoti che hanno concelebrato – della nostra diocesi, ma anche della diocesi di Vittorio Veneto, e della Facoltà teologica del Triveneto, rappresentata anche dal preside, don Andrea Toniolo. Il Vescovo Michele Tomasi ha presieduto la celebrazione. Insieme a lui i vescovi Gianfranco Agostino Gardin e Paolo Magnani, emeriti di Treviso, Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto, Giuliano Brugnotto, vescovo di Vicenza, Cesare Bonivento, vescovo emerito di Vanimo (Papua Nuova Guinea) e Alberto Bottari de Castello, già nunzio apostolico in Ungheria. Mons. Andrea Bruno Mazzocato, vescovo di Udine, ha inviato una lettera di ricordo personale e di vicinanza ai famigliari e ai presenti, della quale il vescovo Michele ha letto qualche stralcio all’inizio della celebrazione. Il Vescovo si è anche fatto voce del cordoglio del presidente della Regione, Luca Zaia.

Mons. Tomasi, nell’omelia, ha ricordato don Antonio come “l’uomo della Parola”. “Perdiamo un prete buono e appassionato, un maestro che ha guidato nella conoscenza delle Scritture, che ha insegnato a cercare e a trovare in esse davvero Parola di Dio. Un uomo che ha insegnato a generazioni di seminaristi, di presbiteri, di religiosi, religiose e di laici, a cercatori di Dio e a pensanti, credenti e non credenti, nella nostra Diocesi e in ogni parte del mondo, a scrutare le Scritture con tutti gli strumenti di una competente e puntuale esegesi scientifica e con uno sguardo sapienziale che dal dato sapeva condurre verso il mistero sempre più profondo ed inesauribile, fonte viva di vita e di speranza”. Con la morte di don Antonio, ha sottolineato il Vescovo, “si va chiudendo un’epoca grande e significativa della nostra Chiesa trevigiana, ma la sua testimonianza, assieme a quella di tanti altri che hanno condiviso con lui il cammino, ci rimane come lascito e come compito: continuiamo ad appassionarci al Vangelo e alla Persona di Cristo, professiamo integro il nostro credo ecclesiale, lasciamoci toccare oggi dall’amore di Dio per esserne – oggi e domani – strumenti, testimoni e ministri”.

Pubblichiamo l’omelia integrale del Vescovo:

La Parola di Dio sempre ci nutre, ci alimenta, ci guida, ci consola, ci sostiene. Oggi ci affidiamo fiduciosi ad Essa in maniera particolare, nel momento in cui diamo il nostro ultimo saluto a don Antonio Marangon.

Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119, 105) abbiamo appena cantato con il salmista. Il tratto di cammino che ci è chiesto ora ha proprio bisogno di questa lampada, di questa luce, certi di essere guidati di passo in passo dalla forza mite, potente e buona delle Scritture, della Parola di Dio amica ed efficace. Abbiamo bisogno di un po’ di luce chiara, dolce e vera, per camminare ancora, pur con la sensazione netta di essere un poco più soli.

Perdiamo un prete buono e appassionato, un maestro che ha guidato nella conoscenza delle Scritture, che ha insegnato a cercare e a trovare in esse davvero Parola di Dio.

L’uomo della Parola”, è stato definito.

L’uomo che ha insegnato a generazioni di seminaristi, di presbiteri, di religiosi, religiose e di laici, a cercatori di Dio e a pensanti, credenti e non credenti, nella nostra Diocesi e in ogni parte del mondo, a scrutare le Scritture con tutti gli strumenti di una competente e puntuale esegesi scientifica e con uno sguardo sapienziale che dal dato sapeva condurre verso il mistero sempre più profondo ed inesauribile, fonte viva di vita e di speranza.

Il mistero di Dio possiamo solo balbettarlo”: ecco una frase che molti di voi hanno rievocato in questi giorni di ricordi che giungono da tante parti, da chi ha un debito grande o piccolo nei confronti di don Antonio nella propria storia di vita e di fede.

Consapevole di questo nostro limite, don Antonio non ha però mai rinunciato a questo “balbettare”, che è stato un dialogo franco e appassionato con il suo Creatore e con il Figlio amato: un «balbettare» che non era incertezza di chi fosse inconsapevole del suo dire, ma piuttosto riverenza di chi riconosce la sempre maggior grandezza del Dio che si fa piccolo e vicino all’umanità, ad ogni persona. Vero «timor di Dio», insomma.

Don Antonio in questo suo dire ha tessuto una rete fitta ed estesa di relazioni, di rapporti di amicizie. Da queste ha visto alimentata la sua conoscenza, il suo studio, anche la sua fede.

Nel suo breve ed essenziale testamento spirituale egli afferma infatti:

In particolare, mi dichiaro debitore verso tutti coloro – laici e sacerdoti, credenti e non credenti, noti a me o a me estranei, vicini o lontani – che hanno contribuito ad appassionarmi al Vangelo e alla Persona di Gesù Cristo”.

Sentite che bello, questo suo ricordo. Quanto ampia sia la cerchia di coloro che egli riconosce come fonte della sua passione per il Vangelo e per la Persona di Gesù Cristo: pare proprio che ogni incontro, ogni occasione, ogni lettura o dibattito, o lezione, o anche ogni fugace accenno; ogni conferma ricevuta ed anche ogni stimolo e forse ogni provocazione, siano stati per lui luogo ed occasione di ascolto vero della Parola e di incontro con Gesù il Vivente.

Quanto si era speso, partendo dalla sua intensa spiritualità biblica, per essere compagno, amico e spesso riferimento di sostegno e di cura per tanti confratelli presbiteri, che di lui si fidavano, e alla sua compagnia si affidavano. Quanto gli ho chiesto e quanto di questa dimensione della sua vita ha voluto condividere con me, quando cercavo

di definire un ruolo possibile per un Vicario del clero in Diocesi. E di questo gli resto profondamente grato.

Accanto a Gesù «Figlio dell’ascolto» don Antonio si è messo in ascolto della Parola del Padre, ha obbedito al bel comando che il pio israelita proclama nelle sue quotidiane preghiere e che anche a noi è donato come esortazione, meglio come programma di vita: “Ascolta Israele”.

I precetti, i comandi, ogni Parola di Dio sono stati fissi nel suo cuore, ed egli li ha ripetuti a tutti coloro che nello Spirito sono diventati suoi figli. Ne ha parlato in ogni occasione, opportuna od inopportuna, in casa o nei molteplici spostamenti fatti per spezzare il pane della Parola, lungo tutta la giornata e in ogni tempo, al momento di coricarsi e di alzarsi nuovamente.

E ha cercato Gesù, e Lui ha trovato per ricercarlo ancora, ed ha accolto tutti in questo suo rapporto di amore, mai da solo, mai solamente per sé, sempre nella condivisone e nell’annuncio.

Tutto egli ha venduto per il tesoro nel campo, e per la perla preziosa. Ha gettato reti per interessare alla Parola, consapevole che “l’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” come insegna San Girolamo citato dal Concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum: non voleva che nessuno fosse escluso dall’annuncio di salvezza.

Nello scrutare continuo e fedele delle Scritture don Antonio è stato davvero lo scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, che ha saputo plasmare il suo linguaggio sul parlare di Dio, che ha reso nuove, per tanti, le parole antiche che rinnovano la vita, e che a tanti ha donato parole nuove per dire e narrare e dare significato alla propria vita, alle vicende, alla storia.

Voglio condividere con voi un ultimo grande dono che ci fa don Antonio, ancora nel suo testamento spirituale.

Nel momento in cui egli, infatti, si contempla di fronte alla morte – momento dunque di lucida verità – egli scrive, con mano sicura, con lettere chiare e nette:

Davanti a Dio, mio Padre e mio Giudice supremo, professo integro il credo ecclesiale in cui sono vissuto, accettando tutto quanto la Chiesa crede, spera e vive, come tradizione ricevuta dal Signore nostro Gesù Cristo”.

Ecco un atto di fede puro, limpido, umile e grande, di un teologo che tanto sapeva perché tanto aveva studiato, ma che si affida con umiltà grande ad una fede ricevuta dalla Tradizione che ci consegna le Scritture, e che accetta e professa quanto la comunità dei credenti “crede, spera e vive”, nella tradizione vivente che scaturisce da Cristo e che è donata alla Chiesa.

Accogliamo con gratitudine questa testimonianza fresca e cristallina da un uomo di Dio, dall’uomo della Parola. Lo affidiamo alla misericordia del Padre cui ha sempre creduto, all’incontro con il Figlio che ha sempre amato, all’alito vitale dello Spirito da cui si è lascito guidare.

Con la morte di don Antonio si va chiudendo un’epoca grande e significativa della nostra Chiesa trevigiana, ma la sua testimonianza, assieme a quella di tanti altri che hanno condiviso con lui il cammino, ci rimane come lascito e come compito: continuiamo ad appassionarci al Vangelo e alla Persona di Cristo, professiamo integro il nostro credo ecclesiale, lasciamoci toccare oggi dall’amore di Dio per esserne – oggi e domani – strumenti, testimoni e ministri.