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Un Sinodo in ascolto del futuro: tutte le tappe del cammino. Convocazione di inizio a Treviso il 17 ottobre a San Nicolò

Una lettera ai vescovi italiani per aggiornare su quanto fatto finora nel cammino sinodale – percorso ancora in evoluzione – in attesa della sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente (27-29 settembre) e dell’Assemblea Generale Straordinaria della Cei (22-25 novembre 2021). Ad inviarla nei giorni scorsi la presidenza della Cei, ricordando che il cammino sinodale delle Chiese in Italia si è avviato nella 74ª Assemblea Generale della Conferenza episcopale italiana, del maggio scorso. Nella sessione straordinaria del Consiglio episcopale permanente, svolta in videoconferenza il 9 luglio, è stato tracciato, alla luce della Carta d’intenti presentata in Assemblea, un primo disegno del cammino, individuando un percorso quadriennale scandito da tre fasi correlate: narrativa, sapienziale e profetica. Intanto, la Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi ha diffuso il 7 settembre il Documento preparatorio e il Vademecum per orientare la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo. 

Epoca di dolore e di grazia 

“L’epoca che attraversiamo è colma di dolore e di grazia”, si legge nella lettera: “La crisi sanitaria ha svelato innumerevoli sofferenze ma anche enormi risorse. Le nostre comunità devono fare i conti con isolamento, disgregazione, emarginazioni e tensioni; la creatività che hanno espresso, ora messa alla prova dal perdurare della pandemia, racchiude un desiderio di relazioni profonde e rigeneranti”. È in questo contesto che Papa Francesco ha invitato ad avviare un cammino sinodale nazionale, la cui prima fase – narrativa – è costituita da un biennio in cui verrà dato spazio all’ascolto e al racconto della vita delle persone, delle comunità e dei territori.

Tre tappe per il cammino 

“Nel primo anno (2021-22) faremo nostre le proposte della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi per la XVI Assemblea Generale ordinaria; nel secondo anno (2022-23) la consultazione del popolo di Dio si concentrerà su alcune priorità che saranno individuate dall’assemblea generale della Cei del maggio 2022”, si legge nella lettera. La seconda fase – sapienziale – è rappresentata da un anno (2023-24) in cui le comunità, insieme ai loro pastori, “s’impegneranno in una lettura spirituale delle narrazioni emerse nel biennio precedente, cercando di discernere ciò che lo Spirito dice alle Chiese attraverso il senso di fede del popolo di Dio”. In questo esercizio saranno coinvolte le Commissioni episcopali e gli Uffici pastorali della Cei, le Istituzioni teologiche e culturali. La terza fase – profetica – culminerà, nel 2025, in “un evento assembleare nazionale da definire”, scrivono i vescovi: “In questo con-venire verranno assunte alcune scelte evangeliche, che le nostre Chiese saranno chiamate a riconsegnare al popolo di Dio, incarnandole nella vita delle comunità nella seconda parte del decennio (2025-30)”. “Il cammino sinodale non parte da zero, ma s’innesta nelle scelte pastorali degli ultimi decenni e, in particolare, nei Convegni Ecclesiali di Verona e Firenze”, precisa la Cei: il discorso del Papa a Firenze, insieme all’Evangelii gaudium, scandirà la traiettoria del percorso.

Consultazione capillare 

Il metodo è quello di “consultazione capillare” proposto dal Sinodo dei Vescovi, che prevede il coinvolgimento di parrocchie, operatori pastorali, associazioni e movimenti laicali, scuole e università, congregazioni religiose, gruppi di prossimità e di volontariato, ambienti di lavoro, luoghi di assistenza e di cura… “Per questo è fondamentale costituire gruppi sinodali diffusi sul territorio: non solo nelle strutture parrocchiali, ma anche nelle case e dovunque sia possibile incontrare e ascoltare persone”, la raccomandazione della Cei. Nella prossima sessione autunnale (27-29 settembre), il Consiglio episcopale permanente nominerà un Comitato con il compito di promuovere, sostenere e accompagnare il cammino. All’inizio di ottobre saranno consegnate le prime linee per il cammino sinodale e alcuni suggerimenti metodologici.

LA CONVOCAZIONE DIOCESANA A SAN NICOLO’ DOMENICA 17 OTTOBRE

Una settimana dopo l’avvio del Cammino sinodale della Chiesa universale, il nostro Vescovo aprirà il cammino in diocesi, in contemporanea con tutti i pastori delle chiese locali. Mons. Tomasi presiederà una Convocazione che si svolgerà nel pomeriggio di domenica 17 ottobre nel tempio di San Nicolò. Sarà l’inizio della fase diocesana del Sinodo dei Vescovi, fase che la Presidenza della Conferenza episcopale italiana ha deciso sia vissuta in tutte le diocesi d’Italia anche come primo anno del programmato cammino sinodale della Chiesa italiana. “Ci porremo in tal modo, fin da subito, dentro questi due percorsi sinodali – sottolinea mons. Mario Salviato, vicario per il coordinamento della Pastorale, in una lettera ai parroci -. Tale Convocazione diventerà pure occasione per riunirci come Chiesa in preghiera alla ripresa delle iniziative pastorali nelle parrocchie e in diocesi sospese nel periodo estivo”.

Don Luca Pizzato è il nuovo rettore del Seminario

In questi giorni il vescovo Michele Tomasi ha annunciato ai sacerdoti del Seminario vescovile di Treviso la nomina del nuovo Rettore. Si tratta di don Luca Pizzato, 56 anni, biblista e delegato vescovile per la Formazione del clero. Originario della parrocchia di Martellago, don Luca è stato ordinato sacerdote dal vescovo Magnani nel 1991.

Succede a mons. Giuliano Brugnotto, nominato dal Vescovo lo scorso luglio vicario generale della Diocesi.

Pizzato fa parte da molti anni della comunità dei sacerdoti residenti in Seminario e tra il 2017 e il 2018 è stato vicerettore del Seminario stesso, durante la malattia dell’allora rettore, don Pierluigi Guidolin.

Da oltre 20 anni Pizzato è docente incaricato di Sacra Scrittura presso lo Studio Teologico Interdiocesano di Treviso -Vittorio, presso l’Istituto superiore di Scienze religiose “Giovanni Paolo I – Veneto Orientale” e nella Scuola diocesana di Formazione teologica.

Membro del Consiglio presbiterale, del Consiglio del Vescovo, è anche membro della Commissione presbiterale italiana e triveneta.

Dal 2018 è amministratore parrocchiale nella parrocchia di Pezzan di Carbonera.

“Ho cercato di favorire la comunione, aiutato dalla vostra competenza e passione”: il saluto di mons. Cevolotto al personale degli uffici

E’ stato un saluto “in famiglia”, semplice e partecipato,  quello che i direttori e il personale degli uffici di Curia e di Casa Toniolo hanno rivolto, questa mattina, in cattedrale, a mons. Adriano Cevolotto, prima della sua partenza per la diocesi di Piacenza – Bobbio, dove farà l’ingresso come Vescovo domenica 11 ottobre.

Un saluto colmo di gratitudine, quello del vescovo Michele, che si è fatto interprete anche dei sentimenti di tutti i presenti. Mons. Tomasi ha tratteggiato la figura del Vescovo con le parole di papa Francesco, facendo una sorta di simpatico contrappunto a un libello semi-satirico che descrive la figura del moderatore di Curia (uno dei compiti del vicario generale) come “uomo della stanza dei bottoni, grande fratello e signore oscuro – perlomeno perché veste di nero o di blu”.

Papa Francesco chiede ai pastori di essere vicini alla gente, padri e fratelli, capaci di vivere in povertà interiore ed esteriore, pronti a vegliare per il gregge. Il Papa chiede loro, in particolare, di saper annunciare il Vangelo per affascinare il mondo, di essere seminatori umili e fiduciosi, consapevoli che, anche quando sarà notte e saranno stanchi, le sementi nel campo stanno germogliando; Vescovi, soprattutto, testimoni del Risorto, testimoni della luce e della verità.

“Sei stato capace di servizio e di ascolto – l’essenza del “potere” nella Chiesa” ha detto il vescovo Michele rivolgendosi a mons. Cevolotto. “Sei stato amico, fratello, sostegno. In questo compito hai fatto palestra di tutte le caratteristiche di cui parla il Papa, e che ti porterai a Piacenza. A nome di tutti ti dico Grazie!”.

Ringraziando mons. Tomasi per le sue parole, mons. Cevolotto si è soffermato sul proprio ruolo, per sei anni, di “moderatore di Curia”, un compito poco conosciuto, forse, ma che “mi ha collocato al cuore del governo pastorale della Diocesi, a contatto con la complessità, e non solo in questo tempo a causa del Covid, complessità che vivono la Chiesa nel suo complesso, il presbiterio, la pastorale. Mi sono sentito impegnato a “moderare”, a “porre limiti”, ma soprattutto a far convergere in unità, in un cammino corale, davvero sinodale, la vita di questa diocesi. E in questo compito non sempre facile sono stato favorito dalle competenze e dalla passione di tutti voi” ha ricordato, ringraziando mons. Mario Salviato, vicario per il coordinamento della Pastorale, per la collaborazione vissuta in questi anni.

“Ho visto crescere nei diversi uffici e ambiti – ha aggiunto – la disponibilità a guardare nell’insieme anche la propria parte, a convergere verso l’unità, la condivisione, l’incontro, anche e soprattutto in un tempo difficile, e di grazia, come quello della pandemia. Grazie ai volontari, alle professionalità, alle competenze, grazie per la stima e per le osservazioni. Ora vado, portando nel mio bagaglio questi sei anni. Grazie perché, senza saperlo, avete contribuito a prepararmi un po’ meglio a questo ministero”.

Al termine, il vescovo Adriano ha ricevuto dei doni, tra cui una reliquia del beato vescovo Longhin, consegnatagli da don Lino Cusinato, prevosto della Comunità degli Oblati.

Nella Casa del clero il giuramento di mons. Cevolotto, vescovo eletto di Piacenza – Bobbio

Nel giorno della festa della Natività della Vergine Maria, mons. Adriano Cevolotto, vescovo eletto di Piacenza – Bobbio, ha pronunciato il suo giuramento di fedeltà alla Sede Apostolica prima dell’ordinazione episcopale, preceduto dalla professione di fede.
Si tratta di un atto previsto dal diritto canonico in vista dell’inizio del nuovo servizio da vescovo. Nel testo, il vescovo eletto dichiara la propria fedeltà al Papa, alla Chiesa e l’impegno a svolgere il suo servizio a fianco della comunità. Erano presenti come testimoni mons. Mauro Motterlini, presidente del Capitolo della Cattedrale, e mons. Maurizio De Pieri, direttore della Casa del clero.
Una cerimonia semplice, vissuta dopo la messa, concelebrata con il vescovo Michele Tomasi, il cancelliere, mons. Fabio Franchetto, il vicario per la Pastorale, mons. Mario Salviato e molti altri sacerdoti, nella cappella della Casa del clero diocesana. Particolare il luogo dove mons. Cevolotto ha voluto vivere questo momento: nella Casa che accoglie tanti sacerdoti anziani, dove “è raccolta la testimonianza di fede e presbiterale della nostra diocesi – ha detto mons. Cevolotto nell’omelia -. Qui c’è una parte della mia genealogia presbiterale. Quello che sono è debitore di una storia della quale voi siete una parte importante: qui c’è chi mi ha portato in Seminario (don Giuseppe Rizzo), c’è il rettore con il quale sono diventato prete (don Cleto Bedin), e poi alcuni professori e molti preti che ho incontrato e che mi hanno testimoniato la cura pastorale, la fede, la carità, la missione. Vi sento parte del mio cammino e della mia storia”.
Commentando il Vangelo del giorno, mons. Cevolotto ha sottolineato come ogni storia sia riassunta dal verbo “generare”. “Quello che rimane, che fa storia, è generare, dare vita a qualcosa di nuovo che è tuo ma che alla fine non ti appartiene, che, come un figlio per un genitore, ha una sua storia, anche se è generato dalla tua fede, dal tuo amore, dalla tua carità”. Come il mistero della salvezza, il compimento di questa storia – ha ricordato – avviene dentro un intreccio di fedeltà e di infedeltà, in una storia in cui Dio mette insieme trame diverse, ma è sempre lui il protagonista del nostro generare, della nostra fecondità. Sul modello di Giuseppe, allora, è possibile “metterci al servizio della vita che Dio genera nello Spirito Santo in noi e negli altri, entrando così in una paternità diversa: è ciò che ci è chiesto, che ci è affidato, che ci è donato. Essere padri perché ri-conoscenti, cioè capaci di riconoscere quanto Dio continua ad operare per la salvezza. «Non temere!» è l’invito che il Signore rivolge a Giuseppe, quando gli chiede di prendersi cura di Maria e del figlio che porta in grembo. Un invito che il Signore rivolge anche a me oggi, a noi, perché, nel prendere con noi il mistero di amore di Dio, ci permette di entrare nel compimento del mistero di Dio nella storia. «Non avere paura!» ci dice, anche se può sorprendere quello che Dio ci chiede, scombinando i nostri progetti. Oggi posso pronunciare il giuramento di fedeltà in forza di quella professione di fede nel Dio di ciascuno di voi e di coloro che mi hanno testimoniato, come voi, che veramente Dio è fedele e che ogni nostra fedeltà è unita alla sua ed è condizionata alla sua fedeltà di amore”.
Il vescovo Michele, rivolgendosi a mons. Cevolotto, gli ha ricordato che il giuramento di fedeltà è “la conferma di una promessa, la riconferma di un vincolo che vivi già, ma che ora diventa più esplicito, con il Santo Padre e, attraverso lui, con la Chiesa universale: ci stai facendo un bel regalo di ecclesialità”. Il Vescovo si è detto fiero di essere chiamato a testimoniare che “tu sei un uomo di fede, di comunione” e che “possiamo accompagnarti nella gioia di essere vescovo, guida fedele e lieta di una Chiesa in comunione con tutte le Chiese”.

Mons. Cevolotto: ordinazione episcopale il 26 settembre a Treviso

Sabato 26 settembre alle ore 10 la nostra Diocesi vivrà la gioia dell’ordinazione episcopale di mons. Adriano Cevolotto, chiamato dal Papa a essere vescovo della diocesi di Piacenza – Bobbio. La solenne celebrazione si terrà a Treviso, nel tempio di San Nicolò, per permettere a un maggior numero di persone di partecipare, anche utilizzando gli spazi esterni del Seminario. Consacrante principale sarà il nostro vescovo, Michele Tomasi, co-consacranti l’Amministratore apostolico di Piacenza – Bobbio, il vescovo Gianni Ambrosio, e l’arcivescovo metropolita di Modena – Nonantola, mons. Erio Castellucci.

L’ingresso del vescovo Adriano nella diocesi di Piacenza – Bobbio sarà domenica 11 ottobre, con la solenne celebrazione eucaristica nella chiesa cattedrale di Piacenza alle ore 15.

Per entrambe le celebrazioni, nelle prossime settimane saranno date indicazioni per la partecipazione, in presenza o grazie alle dirette televisive e streaming, sempre tenendo conto delle limitazioni per contrastare i possibili contagi da covid 19

Mons. Adriano Cevolotto nuovo vescovo di Piacenza Bobbio: l’annuncio oggi in cattedrale

L’annuncio oggi a mezzogiorno, da parte del vescovo Michele Tomasi, nella cattedrale di Treviso, scelta per permettere a tutte le persone convocate di partecipare: mons. Adriano Cevolotto è stato nominato dal Papa nuovo pastore della diocesi di Piacenza – Bobbio.

La comunicazione è stata data in contemporanea nella Sala stampa Vaticana e nella sede del vescovado di Piacenza, dal vescovo Gianni Ambrosio, che ha rassegnato le proprie dimissioni al Papa per raggiunti limiti di età.

agenzia foto film treviso mons. adriano cevolotto nominato vescovo

Hanno voluto essere presenti anche i due vescovi emeriti di Treviso, che con mons. Cevolotto hanno collaborato: mons. Gianfranco Agostino Gardin e mons. Paolo Magnani.

Mons. Adriano Cevolotto, 62 anni, originario di Roncade, sacerdote da 36 anni, ha ricoperto negli anni a Treviso numerosi e importanti incarichi. Dal 2014 vicario generale, stretto collaboratore prima del vescovo Gardin ed attualmente del vescovo Tomasi, mons. Cevolotto è stato parroco a Castelfranco Veneto. In precedenza era stato rettore del Seminario di Treviso per 5 anni e segretario del vescovo Magnani.

Un lungo applauso dei presenti ha seguito l’annuncio della nomina da parte del vescovo Michele, a testimonianza della gioia e della stima e gratitudine verso mons. Cevolotto per il prezioso servizio donato alla diocesi di Treviso in questi anni.

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Il vescovo Michele ha iniziato il suo intervento con una preghiera di Charles De Foucauld (“Donami di conoscere Gesù”), che sarà proclamato santo il prossimo anno, una figura molto cara a mons. Cevolotto, del quale il Vescovo ha riconosciuto il vero amore per la Chiesa e la passione pastorale. “Portati dietro la parlata trevigiana, il cuore e la mente da parroco – il suggerimento del vescovo Tomasi -, la dimensione giusta per un presbitero che diventa pastore della Chiesa, portati il gusto e l’umiltà dell’incontro con le persone semplici che scoprono in te un amico, portati l’amore per Castelfranco, per il Seminario, la lealtà e il servizio nei confronti dei preti. Il periodo della pandemia ci ha costretti a condividere tanto, ci ha portati a una collaborazione ancora più stretta: abbiamo celebrato quotidianamente l’Eucaristia, condiviso la mensa e molte ore di lavoro insieme. Ho apprezzato la cordialità, l’ironia, la vita di preghiera. Grazie”. Il vescovo Michele ha confessato la sua personale difficoltà a separarsi dal suo più stretto collaboratore.

agenzia foto film treviso mons. adriano cevolotto

E ha concluso il suo saluto con le parole di Davide Rossanese, un giovane con la sindrome di down, amico di mons. Cevolotto che, quando quest’ultimo ha lasciato Castelfranco per diventare vicario generale, ha scritto una preghiera, chiedendo al Signore di “accompagnare lui nel suo nuovo incarico. Sostienilo e guidalo affinché senta il nostro abbraccio attraverso il tuo, come io e i miei cari abbiamo sentito il tuo abbraccio attraverso il suo”.

Il vescovo emerito di Treviso Paolo Magnani ha ricordato la vita di famigliarità con mons. Adriano, per nove anni suo segretario. Mons. Magnani si è detto felice per questo nuovo vescovo trevigiano chiamato a governare una diocesi italiana, accanto ad altri di origine trevigiana che hanno servito diverse diocesi nel mondo o sono stati impegnati nella diplomazia vaticana. Una ricchezza, questa, secondo mons. Magnani, che deriva da una tradizione diocesana che ha sempre curato la formazione del proprio clero. “Ecco la spiegazione, ecco i frutti! – ha esclamato -. Una scelta prima di tutto vocazionale e sacerdotale”.

Mons. Gardin ha avuto mons. Cevolotto come vicario generale per 5 anni: un’intensa collaborazione e condivisione. “Ti auguro di fare ancora più intensamente l’esperienza del pastore, di essere accanto alle persone, di annunciare Gesù Cristo, di fare comunione, perché è bello stare accanto alle persone: si sente palpitare il cuore del Buon Pastore che è Gesù”.

Mons. Cevolotto ha preso la parola con grande emozione, ringraziando per la numerosa presenza e per l’affetto. “La sensazione è di essere di fronte a una parete in montagna e di non vedere appigli, ma poi si comincia a salire e un po’ alla volta la strada si apre”. Il neovescovo ha poi ringraziato il Santo Padre “per la fiducia che ha espresso nella mia persona. Quello che sono lo devo a questa terra. Grazie a questa mia diocesi, a questo presbiterio che mi hanno generato nella fede e plasmato nell’identità presbiterale. Tutte le persone incontrate, le realtà, le associazioni sono state come le dita delle mani del vasaio, il Signore, di cui lui si è servito. Penso con gratitudine a questa storia. Pregate per me. E’ una bella sfida quella che ci attende in questo tornante della storia. Ho inviato un messaggio alla Chiesa di Piacenza Bobbio, esprimendo il desiderio di fare insieme questo cammino. Il Signore della storia ci sostenga ad osare”.

 

Il messaggio alla diocesi di Piacenza Bobbio

Mons. Cevolotto ha inviato un saluto “cordiale e trepidante alle sorelle e ai fratelli in Cristo della Chiesa che è in Piacenza-Bobbio”. Ecco alcuni stralci del suo messaggio:

“Oggi il Risorto si affaccia alla mia esistenza di prete – ha sottolineato – con una nuova vocazione: una chiamata a seguirlo che prevede un lasciare ed insieme è sostenuta da una promessa. La promessa di un centuplo. Ma questo centuplo c’è già! Siete voi. La promessa la vivremo insieme. La promessa del Signore è una Chiesa con una lunga storia sulla quale desideriamo costruire il futuro in una memoria grata”.

E riferendosi alla pandemia che ha colpito duramente il territorio piacentino, mons. Cevolotto scrive: “Giungo tra voi e trovo una comunità cristiana e presbiterale segnata dal lutto. Ma allo stesso tempo attraversata e rafforzata dalla testimonianza di carità e di dedizione di tante persone. Il mio saluto va innanzitutto a chi è stato attraversato nella propria carne e nei propri affetti dalla sofferenza”.

Non ha mancato di rivolgere poi “un saluto pieno di sincera gratitudine al Vescovo Gianni che mi ha preceduto e dal quale raccoglierò la passione per Gesù e il suo Vangelo e il testimone della fedeltà apostolica”.

Insieme ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati, ai missionari, ai seminaristi e ai giovani, mons. Cevolotto ha voluto ricordare i genitori, gli sposi, e anche coloro che “per vari motivi si sentono poco o per nulla partecipi della vita ecclesiale. Il mio cordiale saluto e l’auspicio che potremo percorrere insieme sentieri di umanità, che potremo pensare e condividere progetti di convivenza civile, sociale e culturale, per aiutare la città e il territorio a ripartire con uno sguardo fiducioso verso una direzione da cercare insieme”.

 

L’annuncio a Piacenza del vescovo Gianni Ambrosio

“Al caro fratello Vescovo Adriano va il saluto mio personale, insieme a quello dei sacerdoti e diaconi, dei membri della Vita consacrata, dei fedeli della comunità ecclesiale e di tutti i cittadini di Piacenza e del territorio diocesano”: così il vescovo di Piacenza, Gianni Ambrosio, da oggi Amministratore apostolico della diocesi, ha salutato mons. Cevolotto, annunciando la sua nomina, nella cattedrale cittadina. “Lo accogliamo con grande gioia – ha aggiunto – e gli diciamo: “Benvenuto nel nome del Signore”. Da questo momento gli garantiamo la nostra quotidiana preghiera per sostenerlo nella missione che il Signore Gesù, Pastore dei pastori, ha affidato alla Chiesa, mandata ad annunciare e testimoniare l’amore di Dio che vuole salvi tutti gli uomini. Gli assicuriamo la nostra disponibilità a lavorare con lui per l’importante missione di Pastore di questa Chiesa. Il popolo piacentino ha una lunga storia di fede, di vita buona, di carità vissuta nel quotidiano, di laboriosità e di intraprendenza. In questo periodo così tribolato a causa della pandemia i piacentini hanno saputo dimostrare una grande solidarietà e una straordinaria generosità che sono le premesse per una rigenerazione della vita della nostra comunità”.

 

 

 

 

 

“Viviamo l’estate come un tempo di Chiesa, un tempo di cura reciproca, di racconto e di ascolto”: lettera del Vescovo

Ai fedeli della Diocesi di Treviso

Care sorelle e cari fratelli in Cristo,

non avete certo bisogno che vi scriva per dirvi che viviamo in un tempo difficile e strano. Riceviamo e ricevete tanti messaggi, tante riflessioni. Alcuni ci fanno molto bene, altri meno, altri ancora niente affatto.

Non è ancora il tempo di bilanci. Non so e non voglio ancora dare indicazioni, linee guida, programmazioni.

Vi chiedo di fidarvi di Gesù Cristo.

Che è stato crocifisso.

Che è risorto.

Che vive, ci ama e non ci abbandona.

Questa nostra vita è mistero. Forse ci eravamo sinceramente illusi di averla in mano, di poter superare prima o poi tutti i limiti della nostra condizione umana. Se solo avessimo avuto tempo a sufficienza avremmo trovato una soluzione per tutto. Possibilmente da soli.

Poi è venuto il silenzio di queste lunghe settimane.

Il silenzio in un mondo sempre in movimento, indaffarato, di corsa. Un silenzio che abbiamo dovuto abitare in qualche modo, lasciando da parte, all’improvviso tutti i nostri soliti ritmi, cercando questa volta dentro di noi la forza per vivere un tempo così strano da non sembrare quasi reale. Per qualcuno era il silenzio di chi è stato ricoverato, senza contatto con i propri cari, e senza che loro ne potessero più sentire la voce, vedere il volto, sfiorare la mano. E nemmeno salutare, alla fine.

Per quelli tra voi che lavorano negli ospedali e nelle case di riposo è stato un carico di lavoro quasi sovrumano, e il bisogno di trovare dentro di voi la forza, i gesti e le parole che rompessero quel silenzio, che aprissero ad una lieve voce di speranza, vivendo la distanza dalla casa, dagli affetti, mossi dalla responsabilità di un lavoro svolto con dedizione estrema, convivendo con il timore di essere fonte di contagio.

Per chi ha continuato a lavorare nei servizi essenziali è stato il silenzio del percorso verso il lavoro o di ritorno a casa, nelle strade innaturalmente vuote e accompagnati sempre da un pensiero: «porterò a casa il virus?»

Per i sacerdoti è stato quasi assordante il silenzio nelle chiese in cui non hanno potuto accogliere la comunità, negli oratori vuoti. Neppure hanno potuto assistere i morenti e i soli e accompagnare i cari defunti, se non con riti essenziali e austeri, sempre comunque dignitosi e partecipi.

Alcuni tra voi avevano il peso di decisioni da prendere, o da far rispettare. Per altri c’era il peso di non poter aiutare, di sentirsi inutili e soli. Altri hanno continuato a raccontare quello che succedeva, immagini e parole contro il silenzio dell’estrema insicurezza. La scuola ha continuato a distanza, almeno per chi era collegato in rete (ma troppi mancano, ancora, a questo appello). La solidarietà ha tentato di superare ostacoli vecchi e paure ed incomprensioni nuove.

Ora siamo ripartiti, alcuni più lenti, altri più veloci.

Non c’è più quel silenzio, siamo ritornati a vederci e a parlarci.

Ma abbiamo veramente vinto il silenzio?

Le celebrazioni delle Messe sono tornate in presenza del popolo, come devono essere. Ci sono limitazioni che ci pesano, anche se vi ringrazio di cuore per la grande responsabilità che state dimostrando, con grande spirito civico e cristiano. Riusciamo però a sentire una Parola che vinca il silenzio che abbiamo vissuto? C’è una Parola che risuona ora con più forza nel nostro cuore e nella nostra mente, che ci sostiene, o ci stimola a un cambiamento, o ci sorprende, o ci consola?

Gesù che è stato crocifisso, che è risorto, che vive,

ci ama e non ci abbandona, sta davvero accanto a noi,

tu lo senti accanto a te, noi ci fidiamo insieme di lui?

Lui ha vinto la morte.

Ci credo davvero?

E questa fede cambia la mia vita, la nostra vita?

Ho il profondo desiderio che questo grande ed opprimente silenzio venga vinto nella comunità cristiana almeno – ma che bello sarebbe se accadesse in tutta la società – da un nuovo dialogo e non da vecchio rumore.

Dalla preghiera da soli o in famiglia, dalle Messe a distanza, dalle letture che abbiamo riscoperto, dai faticosi scambi a distanza, dai nostri pensieri in questo tempo dilatato portiamo con noi qualcosa che non vorremmo dimenticare?

L’unico modo per non dimenticare è raccontare. Parlarci e raccontare.

Perché se io racconto e c’è qualcuno che mi ascolta, lui o lei mi sta accogliendo, dimostra che sono importante per lei, per lui e io contraccambio, donando ciò che mi è diventato importante, che mi è servito per vivere. Perché è così che ha fatto Gesù. Per salvarci ci ha raccontato come è il Padre nostro che è nei cieli. Gesù ha portato il cielo sulla terra raccontando le parabole, parlando dei gigli nei campi, dell’amministratore disonesto, del buon samaritano, del figliol prodigo e così via. Ma il grande racconto dell’amore del Padre sono i suoi gesti: Lui che guarisce, Lui che ridona la vista, Lui che allieta una festa di nozze con un vino nuovo, Lui che lava i piedi degli apostoli, Lui che muore sulla croce.

Anche noi possiamo raccontare così l’amore di Dio.

Ed è quello che vi chiedo di fare quest’estate.

Viviamo con serietà e impegno il mestiere e la professione,

siamo attenti e generosi verso chi è più in difficoltà tra noi.

Viviamo l’estate come un tempo di Chiesa. Nel lavoro e nel riposo. Prendendoci cura gli uni degli altri, e tutti insieme dei più deboli, dei più fragili, perché nessuno debba rimanere indietro.

Abbiamo spazi e possibilità per prenderci cura dei ragazzi e dei giovani, degli anziani, delle famiglie.

Dobbiamo farlo in modo intelligente, paziente, responsabile e coraggioso.

Le comunità siano creative e si aiutino tra di loro.

Ora viviamo il tempo d’estate nelle attività possibili, ma anche prendendoci spazi e tempi per il racconto e l’ascolto.

Per le indicazioni su come vivere il periodo di attività che seguirà l’estate ho chiesto lo stesso sforzo di racconto e di ascolto ai consigli e agli organismi della Diocesi. Il Consiglio presbiterale raccoglierà il punto di vista dei sacerdoti, il Consiglio pastorale diocesano quello delle comunità, delle parrocchie e delle collaborazioni pastorali. La Commissione per l’accompagnamento del cammino sinodale sta riflettendo su cosa possiamo prendere con noi di buono del lungo cammino sinodale che la Diocesi ha percorso negli ultimi anni per continuare davvero tutti insieme, come discepoli di Cristo in questo nostro tempo. Sarà importante il contributo dei laici associati e dei fedeli tutti. Ci farà bene sentire l’esperienza delle consacrate, dei consacrati e dei diaconi permanenti. Sarà un guadagno se riusciremo a dare ascolto all’esperienza che stanno facendo i missionari e le missionarie della nostra Diocesi che vivono la pandemia in contesti ben più critici del nostro e che potranno anche condividere lo sguardo e la voce di altre chiese, di altre povertà. Gli Uffici di curia aiuteranno a raccogliere i frutti di questo ascolto.

Se avremo la pazienza di questi passi, senza tornare a correre come se nulla fosse stato, potremo davvero prenderci cura insieme di una società che più che di ri-partire ha bisogno di ri-generarsi, di mettere al mondo vita nuova. Di diventare sempre più umana.

Non possiamo ripartire da vecchi schemi bensì da nuove solidarietà,

non da visioni dell’interesse personale che hanno fatto il loro tempo,

ma dalla comune responsabilità verso questo mondo meraviglioso

e fragile.

Ma tutto questo sarà possibile soltanto, e lo chiedo ancora a tutti noi, se ci fidiamo di Gesù Cristo. Che è stato crocifisso. Che è risorto. Che vive, ci ama e non ci abbandona. E che è fondamento sicuro di una speranza che non delude.

Uniti nella preghiera e nell’amore di Cristo

Treviso, 18 giugno 2020

✠ Michele, Vescovo

 

 

La nostra Diocesi al Santo: pellegrini verso Gesù

Accolti dal rettore della basilica padre Oliviero Svanera, più di duemila fedeli provenienti da tutta la diocesi di Treviso hanno partecipato insieme al vescovo Gianfranco Agostino Gardin al tradizionale pellegrinaggio annuale alla tomba di Sant’Antonio a Padova giovedì 6 giugno. La santa messa è stata concelebrata dal vescovo insieme al vicario generale mons. Adriano Cevolotto, al vicario per la pastorale mons. Mario Salviato e da una trentina di altri sacerdoti diocesani. Nell’omelia il vescovo, prendendo lo spunto dal Vangelo di Giovanni, ha sottolineato più volte il senso dell’essere pellegrini, come individui e come Chiesa, chiamati cioè a camminare verso la meta che è Gesù. In questo cammino i santi, come Antonio di Padova, ci guidano e ci accompagnano, facendoci la grazia di cui abbiamo bisogno, e cioè cogliere fino in fondo il messaggio di amore vero che deve alimentare la nostra vita. Commentando, infine, un miracolo della vita di Antonio, il vescovo ha chiesto a tutti di saper mettere il cuore nella vita vera, nella speranza, nel dono di sé. Solo così il nostro cammino di fede sarà autentico come quello che i santi, e sant’Antonio in particolare, hanno fatto. Al termine della messa mons. Gardin ha guidato tutti i pellegrini ad accarezzare la tomba di sant’Antonio, affinché la sua consolazione e il suo aiuto possano sostenerci nelle fatiche quotidiane. Infine con un forte “evviva sant’Antonio” pronunciato dal padre rettore, cui è seguito un fragoroso applauso, l’assemblea si è sciolta. (Paolo Gatto)

Servizio fotografico di Giorgio Boato

Il Seminario: un cenacolo e un laboratorio. Messaggio del Vescovo per la Giornata

Celebrare la Giornata del Seminario significa ricordare quanto importante sia per una Chiesa diocesana il dono di giovani che si preparano a diventare presbiteri; e anche quanto necessari siano il discernimento accurato della loro vocazione, la loro formazione e il loro sapiente accompagnamento verso l’ordinazione sacerdotale.

In questo ultimo tempo il numero dei seminaristi del nostro Seminario maggiore – quello cioè formato dai giovani degli ultimi sei-sette anni di formazione – è diminuito in maniera consistente (ciò che sta avvenendo, del resto, in tutte le diocesi del Triveneto, e non solo). Non è certo questo breve messaggio il luogo per tentare di addentrarci nelle ragioni, senza dubbio complesse, di questo calo. Si tratta, comunque, di un fenomeno che ci interpella tutti, preti e laici, Chiesa diocesana e comunità parrocchiali. A me preme solo dire, in questa circostanza, che noi non cessiamo di credere fermamente nella funzione del Seminario, e che nulla deve distoglierci dal continuare a farne una realtà verso la quale non vanno risparmiate cure e attenzioni, offerte formative serie e anche esigenti, ovviamente diverse in relazione alle varie età dei seminaristi e alle differenti fasi educative. Questa è anche l’occasione per testimoniare, da parte mia, la presenza e l’impegno di un gruppo di preti che per il Seminario lavorano con grande disponibilità e dedizione, anche sacrificando generosamente una personale propensione alla vita pastorale nelle parrocchie. Essi meritano davvero la gratitudine di tutti; così come la meritano i molti che, in maniere diverse, aiutano il Seminario.

E qui il mio pensiero corre alla figura di don Pierluigi Guidolin, il rettore del Seminario degli ultimi cinque anni, che il giugno scorso ci è stato strappato da una morte prematura, quando al Seminario stava dando il meglio di sé. Per me è difficile ricordare don Pierluigi al di fuori del Seminario: del resto vi ha speso, con passione crescente, 20 dei suoi 23 anni di sacerdozio. Devo dire che ha aiutato anche me a guardare al Seminario con ancora più intenso affetto e a riconoscerlo come un bene preziosissimo da custodire con cura, a scorgere nei seminaristi dei figli da amare con premurosa dedizione.

È proprio la vita evangelicamente e lucidamente spesa per gli altri di don Pierluigi, in particolare per la causa delle vocazioni presbiterali, che invita a riflettere su due domande.

La prima è: si è forse prosciugata la sorgente che genera nel cuore di ragazzi, adolescenti e giovani il desiderio di mettere la propria vita a servizio dell’annuncio di Gesù, del vangelo, della comunità dei credenti? Don Pierluigi aveva chiesto che il brano evangelico del suo funerale fosse quello in cui Gesù presenta se stesso come il chicco di grano che, caduto in terra, muore e produce molto frutto (cf. Gv 12,24). Aveva scritto che in quelle parole egli scorgeva in filigrana la sua vicenda vocazionale. Ebbene, dobbiamo credere che il farsi, come Gesù, chicco seminato nel terreno di una donazione di sé che genera vita cristiana, può ancora affascinare chi non voglia non tenersi stretta, solo per sé, la propria esistenza («chi ama la propria vita, la perde», sono le parole di Gesù che spiegano l’immagine del chicco di grano che muore). Mi viene da dire: dobbiamo scovarli, questi giovani desiderosi di donarsi, dobbiamo aiutarli a identificare in loro una chiamata che forse stenta a farsi strada in mezzo a situazioni intricate, dentro storie attraversate da vari condizionamenti, anche da controtestimonianze; dobbiamo, soprattutto, farli incontrare con Gesù. E le comunità cristiane devono sempre più prendere coscienza che i futuri preti non si “fabbricano” artificialmente; certo, si formano, ma soprattutto si aiutano a scoprire e a dissotterrare “il tesoro nel campo” di cui ci parla il vangelo. Questo tesoro è Gesù, l’uomo totalmente per gli altri.

La seconda domanda è come accompagnare, sostenere e rendere solida la risposta di chi percepisce la chiamata al sacerdozio. Qui il Seminario trova tutto il suo senso come cenacolo e come laboratorio. Come cenacolo: luogo in cui ci si aiuta insieme (formatori e formandi), attorno a Gesù, ad assumere una vita che si conforma a Lui e impregnata di servizio alla Chiesa. Come laboratorio: luogo in cui si cerca di comprendere come essere autentici presbiteri per l’oggi e per il domani di una Chiesa che, se vuol essere fedele al suo Signore e Maestro, deve sempre riformare se stessa.

Tutto questo domanda luce e forza dello Spirito Santo, preghiera, fiducia nell’azione di Dio, solidarietà dell’intera Chiesa diocesana. Ma chiede anche modelli sacerdotali capaci di affascinare, e poi comunità cristiane che non “pretendano” preti, ma li sappiano generare come grembo fecondo, e li amino: dal primo giorno del loro ingresso in Seminario fino a quando li “restituiscono”, con gratitudine, al Signore che li ha chiamati e a quelle comunità li ha inviati.

 

† Gianfranco Agostino Gardin

Nuovi sacerdoti: un dono che stupisce

“L’ordinazione di un prete è una celebrazione dello stupore cristiano” ha detto il Vescovo che sabato 26 maggio ha ordinato sacerdoti Oscar Pastro e Francesco Bellato. Il Signore, infatti, opera grandi cose attraverso la piccola persona del prete, che arriva a donarsi con la stessa passione di Gesù, inviato al suo popolo.

Pubblichiamo l’omelia del vescovo Gianfranco Agostino Gardin pronunciata durante la celebrazione:

Fratelli e sorelle carissimi,

celebriamo le ordinazioni presbiterali nella solennità della Santissima Trinità, e potremmo dire che si tratta di un contesto liturgico particolarmente felice per questa celebrazione. La solennità della Trinità ci ricorda che per il cristiano tutto viene dal Padre, mediante il Figlio, nello Spirito Santo. Anche il dono del presbiterato che riceveranno Francesco e Oscar.

Certo, il pensiero che il sacerdote è chiamato a divenire strumento per gli uomini dei doni di Dio (del dono stesso che è Dio), lo intimorisce. È un timore ben comprensibile se accostiamo al Dio Uno e Trino, al Dio tre volte Santo, all’Eterno, al Dio mai totalmente conoscibile e dicibile, la piccola creatura umana che è il prete. Come non trepidare, noi sacerdoti, come non turbarci, pensando che il nostro ministero scaturisce dalla Trinità santa e deve condurre ad Essa?

Nella grande preghiera di ordinazione il vescovo dice: «Siano, o Padre, [questi presbiteri] fedeli dispensatori dei tuoi misteri». I “misteri di Dio” non sono tanto ciò che della sua identità è enigmatico, inafferrabile; sono la sua paternità, il suo amore infinito manifestato in Cristo, il suo disegno di salvezza che esprime, e nello Spirito Santo attua, il suo desiderio che tutti siano con Lui per sempre. Il sacerdote “dispensa” tutto questo, lo rende vita per la vita degli uomini.

Il magistero della Chiesa insegna che «lo Spirito Santo mediante l’Ordine pone i presbiteri nella Chiesa come servi della pienezza della vita cristiana di tutti i battezzati». Notiamo: non tanto organizzatori della vita ecclesiale, o gestori della vita parrocchiale: ma servi della pienezza della vita cristiana» (PDV 15). Potremmo dire: grazie a loro, ordinariamente, tutti possono essere raggiunti dalla vita trinitaria di Dio, che è totalità di amore (pensiamo al presbitero che annuncia il Vangelo e celebra i sacramenti).

E allora possiamo dire che, come sempre, il Dio cristiano ci stupisce. A me pare che già la celebrazione della Trinità sia la festa dello “stupore cristiano”. Abbiamo sentito lo stupore espresso dalle parole del Deuteronomio, nella prima lettura, che in sostanza diceva: ma quando mai è successo che un popolo abbia sentito parlare Dio e sia rimasto vivo? Come dire: la piccola creatura umana non può reggere all’incontro con il Dio immenso, creatore e signore del cielo e della terra! È troppo grande la distanza. E come mai con il nostro Dio questo è possibile? E dove si trova – diceva ancora il testo – un dio che si sia scelto una piccola nazione, amandola e custodendola, come ha fatto Dio con Israele? (cf. Dt 4,32-34).

Questo è un testo dell’Antico Testamento; ma noi, dopo la venuta di Gesù, possiamo aggiungere, con uno stupore ancora più grande: e che cosa diremo di un Dio che ha mandato suo Figlio tra noi a farsi uno di noi, anzi servo e crocifisso per noi? E in Lui ci ha resi fratelli, così, ci ha detto Paolo, da poter gridare: «Abbà! Padre!» (Rom 8,15). Ma potremmo poi aggiungere: e come è possibile che Dio scelga dei poveri uomini, peccatori come gli altri, per comunicare a tutti la pienezza della sua vita divina? In certa misura, anche l’ordinazione di un prete è una celebrazione dello stupore cristiano.

Anche se – permettetemi di dire – l’attenzione, o forse l’ammirazione e lo stupore, talora si sono troppo spostati dal Signore al sacerdote. E così si è usata per esempio, speriamo senza eccessivo autocompiacimento, l’espressione sacerdos alter Christus: il sacerdote è un altro Cristo, pensando ai cosiddetti “poteri” che gli sono conferiti: consacrare, assolvere, guidare, ecc. In verità, tale stupore più che farci dire: quanto è grande il prete; deve piuttosto farci dire: quanto è piccolo e sempre inadeguato il prete al confronto di ciò il Signore opera attraverso di Lui; quanto è grande, invece, la benevolenza del Signore che non teme di servirsi di questi strumenti modesti. Come direbbe Paolo: portatori di un immenso tesoro (il Signore) in fragili vasi di creta (le loro persone) (cf. 2Cor 4,7).

Del resto siamo aiutati a riconoscere la nostra povertà, noi ministri, proprio dal brano evangelico ascoltato. Di fronte a Gesù che si congeda dagli apostoli, essi – racconta Matteo – «si prostrarono»; però anche «dubitarono». Intanto sono undici, non più i Dodici: è dunque possibile la defezione, il tradimento; poi manifestano una fede debole, attraversata dal dubbio. Eppure – ecco lo stupore – il Risorto li invia. Li invia dicendo loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18). È Lui che salva: ogni potere è suo, e questo libera gli inviati dall’assillo e dalla tentazione di attribuirsi poteri umani. E se qualcosa li assimila a Cristo non sono i poteri, ma ciò che caratterizza ed emerge con evidenza da tutta la storia di Gesù: il suo donarsi.

Il “donarsi” è necessariamente richiesto da quell’andate, fate discepoli, trasmettete la vita che scaturisce dalla Trinità (espressamente nominata: «battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»). ‘Andare’ vuol dire anche lasciare, vuol dire muoversi con la libertà e la leggerezza di chi non intende insediarsi, installarsi, ma è pronto a piantare la propria piccola tenda altrove, là dove c’è bisogno di fare discepoli. Con la formidabile convinzione che Lui “è con noi”, è con coloro che ha inviato, tutti i giorni. Ed è presente non come il solutore di ogni problema e il garante della riuscita di ogni iniziativa ecclesiale o pastorale, ma come Colui che spinge a servire, per riprendere le sue parole dette agli apostoli nel cenacolo: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve»(Lc 22,27), cioè come colui che lava i piedi, colui che si dona.

Ho letto con piacere – come faccio sempre in questa circostanza – le riflessioni offerte dai due ordinandi nella rivista del Seminario. Francesco ha messo l’accento sul “per sempre” della sua riposta alla chiamata di Colui, Gesù, che ama “per sempre”. È bello sentire questa voglia di fedeltà totale. Il “per sempre” della risposta dice un donarsi senza restrizioni, senza riserve. Oscar riferisce come si sia ritrovato in alcune parole inviategli come augurio: «Il posto di un sacerdote è la sua gente: in chiesa, per strada, in fabbrica, a scuola, ovunque ci sia bisogno di lui». E commenta: «Per anni ho chiesto al Signore quale fosse il mio posto nel mondo, e in quella semplice frase era racchiuso ciò che in questi anni ho scoperto». Grazie Francesco e Oscar.

Papa Francesco: «Per essere evangelizzatori autentici occorre anche sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente (…). La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo. Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al suo popolo amato. Ci prende in mezzo al popolo e ci invia al popolo, in modo che la nostra identità non si comprende senza questa appartenenza» (EG 268).

Vi chiedo – è una richiesta e insieme un augurio – di amare fin d’ora la gente a cui sarete mandati, di immedesimarvi con quel popolo che sarà il vostro. È in mezzo al popolo santo di Dio che avete udito e accolto la chiamata, da lì venite, e lì avete incontrato, a partire dai vostri genitori e fino ai vostri formatori in Seminario, le molte persone che vi hanno aiutato a crescere, giungendo a dire un sì trepidante ma convinto.

E allora concludo esprimendo un conciso ma densissimo grazie a tutte queste persone; ma un grazie commosso lo diciamo anche a voi che avete dichiarato il vostro “eccomi”. Ma il grazie più grande va al Signore, che non finisce di stupirci.