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Scuola di preghiera: l’arte di discernere, anche nella vita spirituale

Che cosa può fare un cappellano per nutrire la fede di quei giovani, che in parrocchia si rivelano più curiosi e disponibili in quest’ambito? Un po’ per curiosità mia personale e un po’ stimolato dalla “ricerca” di alcuni ragazzi di Mirano, dallo scorso anno ho accostato la proposta dell’Ora X e ho trovato che è un utile strumento, in questo senso. Con semplicità e serietà, gli incontri sono un’occasione, per chi lo desidera, di andare in profondità verso il Signore e la relazione con Lui attraverso la preghiera, offrendo un’accurata catechesi (non sempre facile da proporre in parrocchia) e un tempo prolungato di preghiera personale. E, con mia sorpresa, questi incontri sono piaciuti ai ragazzi che ho accompagnato, i quali portavano con sé curiosità, ma non sempre grande abitudine alla preghiera. Credo che anche il clima conviviale (si inizia con una cena sobria) renda gradevole il momento, ma posso dire che i “report” positivi che i ragazzi mi rimandano, riguardano piuttosto la parte di preghiera e riflessione.
Come si sa, ogni incontro di “Ora X” approfondisce un particolare ambito della preghiera; all’ultimo, il 18 gennaio, il tema era “Il Pane che sazia. L’Eucaristia incontro con il Vivente”.
Nella prima parte, seduti a tavola, don Claudio Sartor ci ha offerto una catechesi, presentando ai giovani non la Messa, ma la vita eucaristica che dalla Messa può nascere per noi. Gesù entra in comunione con noi, e proprio come Lui offre tutto se stesso per noi, così anche rende capaci noi di donare tutta la vita per Lui e per i fratelli; si passa da una vita come proprietà privata, a una vita come offerta totale! A questo proposito, don Claudio ha condiviso la sua esperienza vocazionale, quando a 27 anni ha sentito che Gesù lo chiamava a lasciare tante certezze e a offrire tutta la sua vita come sacerdote; e così abbiamo ascoltato con vivo interesse anche Alessandra, giovane sposa di 31 anni, che ha raccontato quattro momenti della sua vita in cui l’Eucaristia ha alimentato l’amore e illuminato il cammino, dall’infanzia alla vita matrimoniale, lasciando trapelare grande amore per Gesù, delicatezza d’animo e spirito di servizio.
Nella seconda parte della serata, in chiesa, i giovani sono stati accompagnati alla preghiera davanti a Gesù Eucaristia, vivendo un tempo di adorazione eucaristica introdotta da canti e preghiere, ma con un prolungato tempo di silenzio. Confesso che ero un po’ preoccupato che questa preghiera riuscisse difficile ai ragazzi che accompagnavo… ma con stupore ho scoperto che è stata apprezzata.
Come piccolo gesto simbolico, è stato chiesto ai giovani di portare in una cesta davanti all’Eucaristia un oggetto da offrire a Gesù, segno di un ambito di vita da offrire a Lui (ad esempio, il telefono per le relazioni, l’agenda per gli impegni) e ripreso, poi, “trasfigurato” e condiviso con Gesù; la benedizione eucaristica e il canto hanno concluso la serata. Un grazie personale a quanti curano questa esperienza, anche a nome di Francesca, Lorenzo, Sara e gli altri ragazzi di Mirano che hanno vissuto questo momento. (don Enrico Fusaro)

Il Seminario: un cenacolo e un laboratorio. Messaggio del Vescovo per la Giornata

Celebrare la Giornata del Seminario significa ricordare quanto importante sia per una Chiesa diocesana il dono di giovani che si preparano a diventare presbiteri; e anche quanto necessari siano il discernimento accurato della loro vocazione, la loro formazione e il loro sapiente accompagnamento verso l’ordinazione sacerdotale.

In questo ultimo tempo il numero dei seminaristi del nostro Seminario maggiore – quello cioè formato dai giovani degli ultimi sei-sette anni di formazione – è diminuito in maniera consistente (ciò che sta avvenendo, del resto, in tutte le diocesi del Triveneto, e non solo). Non è certo questo breve messaggio il luogo per tentare di addentrarci nelle ragioni, senza dubbio complesse, di questo calo. Si tratta, comunque, di un fenomeno che ci interpella tutti, preti e laici, Chiesa diocesana e comunità parrocchiali. A me preme solo dire, in questa circostanza, che noi non cessiamo di credere fermamente nella funzione del Seminario, e che nulla deve distoglierci dal continuare a farne una realtà verso la quale non vanno risparmiate cure e attenzioni, offerte formative serie e anche esigenti, ovviamente diverse in relazione alle varie età dei seminaristi e alle differenti fasi educative. Questa è anche l’occasione per testimoniare, da parte mia, la presenza e l’impegno di un gruppo di preti che per il Seminario lavorano con grande disponibilità e dedizione, anche sacrificando generosamente una personale propensione alla vita pastorale nelle parrocchie. Essi meritano davvero la gratitudine di tutti; così come la meritano i molti che, in maniere diverse, aiutano il Seminario.

E qui il mio pensiero corre alla figura di don Pierluigi Guidolin, il rettore del Seminario degli ultimi cinque anni, che il giugno scorso ci è stato strappato da una morte prematura, quando al Seminario stava dando il meglio di sé. Per me è difficile ricordare don Pierluigi al di fuori del Seminario: del resto vi ha speso, con passione crescente, 20 dei suoi 23 anni di sacerdozio. Devo dire che ha aiutato anche me a guardare al Seminario con ancora più intenso affetto e a riconoscerlo come un bene preziosissimo da custodire con cura, a scorgere nei seminaristi dei figli da amare con premurosa dedizione.

È proprio la vita evangelicamente e lucidamente spesa per gli altri di don Pierluigi, in particolare per la causa delle vocazioni presbiterali, che invita a riflettere su due domande.

La prima è: si è forse prosciugata la sorgente che genera nel cuore di ragazzi, adolescenti e giovani il desiderio di mettere la propria vita a servizio dell’annuncio di Gesù, del vangelo, della comunità dei credenti? Don Pierluigi aveva chiesto che il brano evangelico del suo funerale fosse quello in cui Gesù presenta se stesso come il chicco di grano che, caduto in terra, muore e produce molto frutto (cf. Gv 12,24). Aveva scritto che in quelle parole egli scorgeva in filigrana la sua vicenda vocazionale. Ebbene, dobbiamo credere che il farsi, come Gesù, chicco seminato nel terreno di una donazione di sé che genera vita cristiana, può ancora affascinare chi non voglia non tenersi stretta, solo per sé, la propria esistenza («chi ama la propria vita, la perde», sono le parole di Gesù che spiegano l’immagine del chicco di grano che muore). Mi viene da dire: dobbiamo scovarli, questi giovani desiderosi di donarsi, dobbiamo aiutarli a identificare in loro una chiamata che forse stenta a farsi strada in mezzo a situazioni intricate, dentro storie attraversate da vari condizionamenti, anche da controtestimonianze; dobbiamo, soprattutto, farli incontrare con Gesù. E le comunità cristiane devono sempre più prendere coscienza che i futuri preti non si “fabbricano” artificialmente; certo, si formano, ma soprattutto si aiutano a scoprire e a dissotterrare “il tesoro nel campo” di cui ci parla il vangelo. Questo tesoro è Gesù, l’uomo totalmente per gli altri.

La seconda domanda è come accompagnare, sostenere e rendere solida la risposta di chi percepisce la chiamata al sacerdozio. Qui il Seminario trova tutto il suo senso come cenacolo e come laboratorio. Come cenacolo: luogo in cui ci si aiuta insieme (formatori e formandi), attorno a Gesù, ad assumere una vita che si conforma a Lui e impregnata di servizio alla Chiesa. Come laboratorio: luogo in cui si cerca di comprendere come essere autentici presbiteri per l’oggi e per il domani di una Chiesa che, se vuol essere fedele al suo Signore e Maestro, deve sempre riformare se stessa.

Tutto questo domanda luce e forza dello Spirito Santo, preghiera, fiducia nell’azione di Dio, solidarietà dell’intera Chiesa diocesana. Ma chiede anche modelli sacerdotali capaci di affascinare, e poi comunità cristiane che non “pretendano” preti, ma li sappiano generare come grembo fecondo, e li amino: dal primo giorno del loro ingresso in Seminario fino a quando li “restituiscono”, con gratitudine, al Signore che li ha chiamati e a quelle comunità li ha inviati.

 

† Gianfranco Agostino Gardin