Accanto a chi soffre con la tenerezza e il coraggio di Giuseppe: convegno ministri straordinari e Pastorale della salute

Un uomo capace di ascoltare la Parola di Dio e di accoglierla, perché essa possa farsi vita, storia di salvezza, cura; un uomo coraggioso e docile, tenero e casto, padre nell’ombra, felice nella scelta del dono di sé: è il profilo di san Giuseppe che il vescovo Michele ha tratteggiato lo scorso 6 marzo, ai partecipanti al convegno per i ministri straordinari della Comunione e i volontari della pastorale della salute, riuniti nella chiesa di san Giuseppe di Treviso e in collegamento streaming.

“Con il cuore di san Giuseppe accanto ai malati” il tema che ha accompagnato la meditazione del Vescovo, in quest’anno giubilare che papa Francesco ha voluto dedicare al santo nel 150° anniversario della sua proclamazione a patrono della Chiesa universale.

“Non abbiamo le parole di Giuseppe per scrutare il suo cuore – ha ricordato il Vescovo – ma abbiamo la Parola di Dio che lui accoglie, nei sogni, e riconosce nel discernimento come Parola di Dio. E come in Gesù, nel figlio, riconosciamo il Verbo che si fa carne, che diventa persona umana e cammina sulle strade della nostra terra e condivide questo tempo, così in Giuseppe, che lo custodisce e lo accompagna, vediamo l’effetto della Parola, che si incarna in atteggiamenti di ascolto, tenerezza e cura”. A partire dal Vangelo secondo Matteo, che narra i sogni di Giuseppe, mons. Tomasi ha messo in luce il coraggio e la docilità grandi di Giuseppe che si alza nella notte, parte, abbandona progetti. “Tutta la sua vita l’ha portato lì, e anche le sue scelte diventano compimento della Parola di Dio, come annunciava la Scrittura”.

Giuseppe ha molto da insegnare a noi cristiani, soprattutto a chi opera nel campo della cura della salute o accompagna i fratelli e le sorelle in difficoltà, nella sofferenza, nella prova, e ai ministri straordinari, ha ricordato il Vescovo ai presenti, invitandoli a ripensare al motivo che li porta a compiere il loro servizio, alla Parola che per loro è stata appello e promessa, e li ha spinti a mettersi a disposizione, una Parola che è diventata storia, incontro, relazione, perché “ogni volta in cui avete incontrato Cristo onorandolo, servendolo e prendendovi cura di Lui nella carne fragile e debole di chi è ammalato, ogni volta che avete permesso un incontro tra un fratello e una sorella con Cristo vivente nell’Eucaristia, o che avete donato una parola, uno sguardo, una consolazione, lì avete realizzato un po’ di Parola di Dio, che da Parola udita e amata è diventata azione. Quanta vita e quanta storia di salvezza aprono i vostri gesti!”.

Citando alcuni passi della lettera del Papa, “Patris corde”, il vescovo si è soffermato in particolare sulla tenerezza e sull’agire “nell’ombra” di Giuseppe, che mette se stesso e la propria debolezza a disposizione di Dio, che ha bisogno di lui e dei suoi gesti poco appariscenti , ma decisivi e grandi, perché si compia la storia della salvezza. E allo stesso modo ha bisogno di noi, della nostra decisione di esserci, dei nostri passi, anche della nostra fatica, ma nella tenerezza, che è un atteggiamento di ascolto, accoglienza, cura, che parte dalle orecchie, arriva al cuore, giunge alle mani e fa in modo che dalle mani arrivi più cuore (come chiedeva san Camillo de Lellis), proprio perché abbiamo ascoltato quella Parola”.

Un padre nell’ombra, Giuseppe, nell’ombra del vero padre, che è Dio onnipotente. Un padre, Giuseppe, che sembra vivere una vita “di seconda mano” – ha sottolineato mons. Tomasi -, che non può mettere una “bandierina di possesso” su nulla di quanto accade nella sua famiglia. Ma proprio per questo, Giuseppe ci insegna che l’unico gesto di potere che abbiamo sull’altro è quello di essere a servizio della sua vita, del suo rapporto con Dio, della sua felicità, perché essere padre, ricorda papa Francesco, significa introdurre il figlio nell’esperienza della vita, non trattenerlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte di libertà, e di partenze.

Il servizio ai fratelli e alle sorelle, deve avere, inoltre, quella caratteristica di castità che significa volere essere tutto per quella persona – ha ricordato il Vescovo -, solo così saremo capaci di “mettere a frutto il sacrificio che questo tempo ci sta chiedendo, ora che non possiamo andare a casa delle persone, visitare i malati negli ospedali. In questo momento siamo chiamati a capire come possiamo donarci di più per poter donare di più la presenza di Cristo”.

Dopo la meditazione del Vescovo, mons. Antonio Guidolin ha proposto una riflessione sulla morte di Giuseppe – preparata da don Luca Vialetto – a partire dal quadro “Il transito di Giuseppe”, conservato proprio nella chiesa parrocchiale a lui dedicata. Un dipinto che si ispira a “La storia di Giuseppe, il falegname”, uno dei vangeli apocrifi, un commosso racconto fatto da Gesù stesso. Giuseppe è assistito da Maria e Gesù, che sono attorno al suo letto. Dopo il Concilio di Trento, Giuseppe è diventato il modello perfetto della buona morte, rifugio degli agonizzanti. “Non è da solo, Giuseppe, nel momento della morte, ha accanto a sé Maria e Gesù. Ecco perché possiamo pensare che, anche nelle esperienze di tante persone che in questo tempo hanno raggiunto la tappa finale in grande solitudine, nella fede sappiamo che accanto a loro c’erano Gesù e Maria, e anche Giuseppe.

A questo link il video del convegno