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L’omelia del Vescovo nella messa di Pasqua: “Se Cristo è davvero risorto, allora possiamo sperare”

Messa di Pasqua 2022 in cattedrale con il vescovo

Omelia del vescovo Michele Tomasi nella messa del giorno di Pasqua – cattedrale di Treviso – 17 aprile 2022:

Cari fratelli e sorelle in Cristo: «Buona Pasqua»!

Anche oggi siamo riuniti insieme per celebrare la vittoria sulla morte, la Risurrezione di Cristo, il Vangelo di una tomba vuota che sconvolge tutto ciò che siamo pronti ad accogliere e a credere.

È alla durezza e all’inevitabilità apparente del male, infatti, che nel concreto siamo abituati e disposti a credere. Vediamo il male, ne percepiamo la forza brutale, l’inesorabile presenza nella nostra vita.

Soprattutto in questi nostri tempi inquieti e dolorosi, non reggono più le sicurezze che ci eravamo costruiti, la fede ingenua in una bontà conquistata dall’umanità, nell’impossibilità del ritorno, anche nella nostra pacifica Europa, alla barbarie della guerra. Invece, ecco di nuovo irrompere la ragione irragionevole della forza bruta che porta all’arbitrio del più forte, la lotta di tutti contro tutti, e ancora risuonare la triste profezia come unica parola di apparente saggezza: «homo homini lupus»: l’uomo è lupo per l’altro uomo.

È doloroso, ma non ci sorprende: la guerra in Europa è solo l’ultima di una serie che continua ad insanguinare ogni parte del mondo; la violenza e la sopraffazione sono all’ordine del giorno a tantissimi livelli, la precarietà e la fragilità della vita ci sono ormai quotidianamente presenti attraverso le vicende della pandemia, la diseguaglianza sembra essere inevitabile corollario di ogni attività umana.

Niente di nuovo sotto il sole, dunque.

Ma ecco, ancora una volta, si ripresenta l’annuncio di una tomba vuota. Anche i tentativi di darsi una spiegazione plausibile, come il trafugamento del corpo, una prima teoria del complotto. E ci sono corse avanti e indietro tra il sepolcro ed il cenacolo, annunci non creduti, testimonianze ritenute poco attendibili, sguardi che non riescono a rendersi conto del senso di quanto stanno vedendo.

Ma quel sepolcro vuoto è lì.

Nulla nella storia sino ad ora è riuscito a cancellarne la presenza.

Il dato di fatto di un sepolcro vuoto.

E la testimonianza delle donne, degli apostoli, dei testimoni. Sono stati costretti ad accogliere l’impossibile, a credere l’incredibile e a darne testimonianza, con le parole e con il cambiamento di vita.

I testimoni hanno rimesso in gioco la loro vita non per un’invenzione, non per una teoria o una riflessione teologica, non perché incapaci di accettare la durezza della vita. Essi testimoniano perché hanno incontrato il Risorto:

E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10, 39-41).

Noi siamo qui ora perché siamo in una tradizione ininterrotta di persone che hanno creduto a questo annuncio, e che vivendo a partire da esso hanno incontrato a loro volta il Signore: nella Parola, nei Sacramenti, nella comunità, nei poveri, nei piccoli e nei fragili, nelle vicende della vita.

Il nostro augurio di “buona Pasqua” diventa, allora, l’atto più forte e rivoluzionario che possiamo compiere, se è animato e mosso dalla fede nella vittoria di Cristo sul male e sulla morte.

Se Cristo è davvero risorto, allora possiamo sperare.

Allora c’è una forza di vita nella nostra esistenza, allora la speranza non è un’illusione. Allora ci si può impegnare a favore del bene, allora vince la vita. Anche se non sembra. Anche al cospetto di chi pensa di costruire, in un delirio di onnipotenza, la vita su lutti e macerie: anche se la violenza sembra forte, essa è sconfitta da se stessa, perché genera solamente atti di morte.

Il vero realismo diventa allora la fede nella vita, il perdono reciproco, la fraternità vissuta come dono e benedizione, l’impegno per prendersi cura gli uni degli altri, la fatica di rimanere fedeli nell’amore, il continuo sforzo di disarmare i cuori, le menti, le coscienze. La fiducia nella costruzione di un’Europa autentica casa di pace.

L’uomo non rimane allora nemico, non più avversario, ma amico, compagno di strada, fratello e sorella da accogliere e da amare.

«Homo homini amicus, frater”.

Conversione dello sguardo, della mente, del cuore, della vita.

Grazie alla forza donata da Dio.

Grazie alla Risurrezione di Cristo.

Grazie alla presenza qui, tra noi, del vivente, amante della vita.

 

Partecipata messa del Crisma in cattedrale con i sacerdoti che hanno rinnovato le loro promesse

Il “miracolo dell’olio” che ci unisce tutti a Cristo e tra di noi, e ci sostiene nel cammino

“E’ dal 6 ottobre 2019 che non siamo così numerosi, con tutto il presbiterio riunito nella cattedrale della nostra diocesi. Non pensavo potesse essere così commovente”: con queste parole il vescovo Michele Tomasi questa mattina ha salutato i presenti alla Messa del Crisma nel Giovedì santo. Dopo le restrizioni dovute alla pandemia, era la prima volta, infatti, che tutti i sacerdoti diocesani, i religiosi e i sacerdoti di altri Paesi che prestano servizio nelle nostre comunità si ritrovavano insieme, a concelebrare in questa importante occasione, che li ha visti rinnovare le loro promesse sacerdotali. Una celebrazione nella quale il Vescovo ha consacrato l’olio chiamato “crisma” e benedetto l’olio dei catecumeni e degli infermi.

Prima dell’inizio della messa la colletta che viene fatta, da tradizione: una raccolta straordinaria da destinare a situazioni di particolare necessità. In considerazione della situazione di emergenza della popolazione ucraina martoriata dalla guerra, il vescovo Michele ha disposto di sostenere questa finalità. Quanto raccolto verrà destinato a Caritas Italiana, che lo inoltrerà alla Caritas presente in Ucraina.

Il Vescovo all’inizio della celebrazione ha ringraziato per la loro presenza i vescovi emeriti di Treviso, Paolo Magnani e Gianfranco Agostino Gardin, mons. Alberto Bottari De Castello (già arcivescovo titolare di Oderzo e Nunzio apostolico emerito in Ungheria) e mons. Cesare Bonivento (Pime, già vescovo di Vanimo, in Papua Nuova Guinea).

Il saluto del Vescovo, oltre ai confratelli presbiteri, ai religiosi e alle religiose, è andato a tutti i fratelli e le sorelle in Cristo, in particolare ai membri del Consiglio pastorale diocesano, che è stato invitato in modo particolare.  “Siamo, insieme, la Chiesa di Dio riunita, siamo popolo di Dio in cammino”. Mons. Tomasi ha rivolto un saluto anche ai sacerdoti, religiosi e laici “fidei donum” in missione, ai sacerdoti ammalati, a quelli della Casa del clero e, tra loro, a mons. Angelo Daniel, vescovo emerito di Chioggia, e a tutti coloro che seguivano la celebrazione in diretta streaming da casa: “Celebriamo insieme questa Eucaristia, grati al Signore per il dono che Lui ci fa di essere suoi discepoli”.

L’omelia di mons. Tomasi ha avuto al centro il tema del “miracolo dell’olio”. Il Vescovo ha invitato ciascuno a “custodire, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio. Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi. Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo. Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio. L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude”.

 

Ecco l’omelia integrale del Vescovo:

Messa del Crisma – Cattedrale di Treviso – 14 aprile 2022

«Il miracolo dell’olio»

 

Il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1; Lc 4, 18).

Il Messia, il Cristo, è l’Unto dal Signore. Il segno di investitura a guida e servitore del suo popolo è l’unzione con l’olio, elemento centrale, assieme al frumento e al vino, nelle culture mediterranee.

L’olio fresco, appena spremuto, profumato, è «olio di letizia»: assieme ad una coppa traboccante di vino che rinfranca, l’olio versato profuma il capo nel gesto dell’ospitalità e dell’accoglienza.

Se il vino «allieta il cuore dell’uomo» e il pane «sostiene il suo cuore», l’olio ne fa «brillare il volto» (Sal 104, 15), ne fa risaltare la bellezza e l’armonia, ne fa risplendere la profonda dignità. L’olio penetra di sé il corpo che unge, gli dà stabilità di profumo nel tempo, ne conserva il vigore, dona una grazia che permane: l’unzione del Santo, che costituisce i fedeli come creature nuove, rimane in loro, come attesta l’apostolo Giovanni (1Gv 2,27).

Il Signore Gesù ci convoca qui, oggi: siamo la sua Chiesa in cammino in questa nostra storia, e ci associa alla sua unzione, ci unisce tutti nella sua missione di salvezza. Il legame tra noi, tra tutti membri della Chiesa, ci viene donato anche da quest’olio, olio di letizia e di esultanza, segno di gioia, profumo di vita buona. Proviamo a gustare il profumo intenso dell’olio dell’oliva – quello degli infermi e quello dei catecumeni – e gustiamo anche il profumo intenso e forte del crisma, nardo, bergamotto e altri aromi preziosi. Il vincolo che ci lega gli uni agli altri è intenso, aromatico, prezioso, buono e bello come lo sono questi profumi, penetra in noi come lo fa l’olio che ci unge, rimane costitutivo come il segno che lascia in noi il frutto dell’ulivo. Gli olii su cui invocherò ora la benedizione del Signore sono il fondamento su cui si basa ogni legame tra noi, e ce ne insegna la natura e il significato: un dono di grazia che profuma e dà bellezza, che alimenta la nostra vita e che le dà gioia e splendore.

Ci lega la bellezza e la bontà di Dio e non un fato inesorabile, o un dovere contrario alla nostra felicità.

Questi olii sono segno vivo e massimo della sinodalità della Chiesa e della sua splendida e multiforme sacramentalità.

In tutte le sue forme la vita della Chiesa è autenticamente raccolta in questo segno che è davvero olio di letizia, anche nella difficoltà, anche nella prova, di cui non nasconde la forza talvolta travolgente. Non sminuisce la domanda che sorge spontanea nel momento della prova: può davvero esistere un Dio che sia buono e che permetta tutto il male, tutta la sofferenza?

Non ci sono facili risposte o soluzioni buone per ogni situazione. Eppure in ogni situazione chi si affida a Lui non dispera mai che sia donata una fonte di bene che lo Spirito Santo – la Vita di Dio – fa sgorgare e irrompere nella storia, proprio nella forma della consacrazione, dall’unzione.

È olio che ci unisce tutti a Dio, e in lui tra noi.
Al centro e al fondo della vita di tutta la Chiesa vi è quest’olio, quest’unzione: dono sovrabbondante, gratuito, che sta al di là di ogni utile, ma ciò nonostante – o forse proprio per questo – resta radicalmente necessario.
È questo che impregna di Spirito i Sacramenti, un legame di benedizione, di fecondità, di cura, di letizia, di gioia, di pace.
Siamo profumati della gioia che prova Dio nel crearci e nel trovarci amati davanti a sé, accolti e abbracciati dal suo amore. Lieto, leggero, creatore.

Siamo innestati – rami di olivo selvatico – nell’olivo buono che è Cristo (Rm 11), e siamo consacrati re, sacerdoti e profeti in Lui, mediante il battesimo. Siamo segnati dal sigillo dello Spirito Santo che ci è dato in dono e conformati sempre più a lui nella Cresima, per portare la sua Parola e la sua vita in tutte le situazioni della vita.

Cari fratelli nel presbiterato, le nostre mani sono state unte dal crisma il giorno dell’ordinazione presbiterale, con l’invocazione di poter essere «custoditi» dall’Unto del Padre “per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”. Continuiamo, con l’aiuto di Dio, a confermarci nella fattiva disponibilità a questo ministero.

E voi, carissimi fratelli nell’episcopato, ricordate sicuramente il dono di gioia, l’abbraccio tenero e forte dello Spirito quando l’olio del crisma è stato versato sul nostro capo, il giorno dell’ordinazione episcopale:

È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste”
(Sal 133,2).

E gli olii in questa celebrazione vengono portati solennemente all’altare dai diaconi, conformati sacramentalmente a Cristo (all’unto) servo: servitori, con Lui, della gioia e del profumo della festa, collaboratori della spirituale materialità della vita sacramentale della Chiesa.

E ancora, ogni vita di consacrazione a Dio e ai fratelli diventa – ogni qual volta riesce ad abbandonarsi al suo amore – un profumo di speranza e di consolazione che si spande nelle pieghe concrete della vita, negli snodi fondamentali della storia.

Anche gli altari sono unti dal crisma, perché possano essere “segno visibile del mistero di Cristo e della Chiesa”, in un continuo richiamo e dialogo tra la comunità dei cristiani nel mondo e la casa che ospita la comunità e la sua liturgia di lode.

Siamo tutti intessuti in un’unica multiforme trama di bene, nel segno comune dell’olio, il frutto dell’ulivo, pianta tenace che dona il «miracolo dell’olio”.

Olio che a tutti, come ai catecumeni, dona di “comprendere più profondamente il Vangelo di Cristo; […] di assumere con generosità gli impegni della vita cristiana; […] di gustare la gioia di rinascere e vivere nella Chiesa”.

Olio che a tutti, come agli infermi, doni “conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e liberi da ogni malattia, angoscia e dolore”, olio che il buon samaritano versa sulle ferite dell’uomo ferito, sul ciglio della strada, olio che deve ancora venire per tanti feriti e colpiti dalla storia e dalla malvagità dell’uomo, per i quali

Dalla pianta dei piedi alla testa
non c’è nulla di sano,
ma ferite e lividure
e piaghe aperte,
che non sono state ripulite né fasciate
né curate con olio
(Is 1,6).

Ecco il «miracolo dell’olio» che tutti ci unisce a Cristo e tra di noi, che ci sostiene sul cammino, che ci dona un profumo che allieta gli stanchi e gli sfiduciati, che fa di noi messaggeri della lieta novella e che ci invia a “portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2).

È “il miracolo della vita che riemerge contro ogni speranza, il miracolo dell’unzione assorbita ed espressa nella compassione” (Jean-Pierre Sonnet).

Il «miracolo dell’olio» è anche la condivisione che continua al di là di ogni esclusiva di proprietà privata ma si fa responsabilità per il bene comune. Così infatti la legge per Israele:

“«Quando scuoterai i tuoi olivi, non tornerai a fare la raccolta; ciò che resta sarà per l’emigrante, l’orfano e la vedova […]. Ricorderai che nel paese d’Egitto eri schiavo; perciò ti ordino di mettere in pratica questa parola» (Dt 24,20.22). Il miracolo, quindi, è anche quello di una cultura sociale attenta alla destinazione più ampia possibile dei frutti della terra. Una società dignitosa è una società che protegge il diritto dei più poveri non soltanto a essere nutriti, ma anche a contribuire al loro cibo: è questa la dignità dello spigolare” (Jean-Pierre Sonnet).

Custodiamo, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio.

Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi.

Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo.

Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio.

L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude.

 

In allegato il libretto della celebrazione

 

 

 

 

Partecipata messa del Crisma in cattedrale con i sacerdoti diocesani che hanno rinnovato le loro promesse

Il “miracolo dell’olio” che ci unisce tutti a Cristo e tra di noi, e ci sostiene nel cammino

“E’ dal 6 ottobre 2019 che non siamo così numerosi, con tutto il presbiterio riunito nella cattedrale della nostra diocesi. Non pensavo potesse essere così commovente”: con queste parole il vescovo Michele Tomasi questa mattina ha salutato i presenti alla Messa del Crisma nel Giovedì santo. Dopo le restrizioni dovute alla pandemia, era la prima volta, infatti, che tutti i sacerdoti diocesani, i religiosi e i sacerdoti di altri Paesi che prestano servizio nelle nostre comunità si ritrovavano insieme, a concelebrare in questa importante occasione, che li ha visti rinnovare le loro promesse sacerdotali. Una celebrazione nella quale il Vescovo ha consacrato l’olio chiamato “crisma” e benedetto l’olio dei catecumeni e degli infermi.

Prima dell’inizio della messa la colletta che viene fatta, da tradizione: una raccolta straordinaria da destinare a situazioni di particolare necessità. In considerazione della situazione di emergenza della popolazione ucraina martoriata dalla guerra, il vescovo Michele ha disposto di sostenere questa finalità. Quanto raccolto verrà destinato a Caritas Italiana, che lo inoltrerà alla Caritas presente in Ucraina.

Il Vescovo all’inizio della celebrazione ha ringraziato per la loro presenza i vescovi emeriti di Treviso, Paolo Magnani e Gianfranco Agostino Gardin, mons. Alberto Bottari De Castello (già arcivescovo titolare di Oderzo e Nunzio apostolico emerito in Ungheria) e mons. Cesare Bonivento (Pime, già vescovo di Vanimo, in Papua Nuova Guinea).

Il saluto del Vescovo, oltre ai confratelli presbiteri, ai religiosi e alle religiose, è andato a tutti i fratelli e le sorelle in Cristo, in particolare ai membri del Consiglio pastorale diocesano, che è stato invitato in modo particolare.  “Siamo, insieme, la Chiesa di Dio riunita, siamo popolo di Dio in cammino”. Mons. Tomasi ha rivolto un saluto anche ai sacerdoti, religiosi e laici “fidei donum” in missione, ai sacerdoti ammalati, a quelli della Casa del clero e, tra loro, a mons. Angelo Daniel, vescovo emerito di Chioggia, e a tutti coloro che seguivano la celebrazione in diretta streaming da casa: “Celebriamo insieme questa Eucaristia, grati al Signore per il dono che Lui ci fa di essere suoi discepoli”.

L’omelia di mons. Tomasi ha avuto al centro il tema del “miracolo dell’olio”. Il Vescovo ha invitato ciascuno a “custodire, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio. Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi. Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo. Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio. L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude”.

 

Ecco l’omelia integrale del Vescovo:

Messa del Crisma – Cattedrale di Treviso – 14 aprile 2022

«Il miracolo dell’olio»

 

Il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1; Lc 4, 18).

Il Messia, il Cristo, è l’Unto dal Signore. Il segno di investitura a guida e servitore del suo popolo è l’unzione con l’olio, elemento centrale, assieme al frumento e al vino, nelle culture mediterranee.

L’olio fresco, appena spremuto, profumato, è «olio di letizia»: assieme ad una coppa traboccante di vino che rinfranca, l’olio versato profuma il capo nel gesto dell’ospitalità e dell’accoglienza.

Se il vino «allieta il cuore dell’uomo» e il pane «sostiene il suo cuore», l’olio ne fa «brillare il volto» (Sal 104, 15), ne fa risaltare la bellezza e l’armonia, ne fa risplendere la profonda dignità. L’olio penetra di sé il corpo che unge, gli dà stabilità di profumo nel tempo, ne conserva il vigore, dona una grazia che permane: l’unzione del Santo, che costituisce i fedeli come creature nuove, rimane in loro, come attesta l’apostolo Giovanni (1Gv 2,27).

Il Signore Gesù ci convoca qui, oggi: siamo la sua Chiesa in cammino in questa nostra storia, e ci associa alla sua unzione, ci unisce tutti nella sua missione di salvezza. Il legame tra noi, tra tutti membri della Chiesa, ci viene donato anche da quest’olio, olio di letizia e di esultanza, segno di gioia, profumo di vita buona. Proviamo a gustare il profumo intenso dell’olio dell’oliva – quello degli infermi e quello dei catecumeni – e gustiamo anche il profumo intenso e forte del crisma, nardo, bergamotto e altri aromi preziosi. Il vincolo che ci lega gli uni agli altri è intenso, aromatico, prezioso, buono e bello come lo sono questi profumi, penetra in noi come lo fa l’olio che ci unge, rimane costitutivo come il segno che lascia in noi il frutto dell’ulivo. Gli olii su cui invocherò ora la benedizione del Signore sono il fondamento su cui si basa ogni legame tra noi, e ce ne insegna la natura e il significato: un dono di grazia che profuma e dà bellezza, che alimenta la nostra vita e che le dà gioia e splendore.

Ci lega la bellezza e la bontà di Dio e non un fato inesorabile, o un dovere contrario alla nostra felicità.

Questi olii sono segno vivo e massimo della sinodalità della Chiesa e della sua splendida e multiforme sacramentalità.

In tutte le sue forme la vita della Chiesa è autenticamente raccolta in questo segno che è davvero olio di letizia, anche nella difficoltà, anche nella prova, di cui non nasconde la forza talvolta travolgente. Non sminuisce la domanda che sorge spontanea nel momento della prova: può davvero esistere un Dio che sia buono e che permetta tutto il male, tutta la sofferenza?

Non ci sono facili risposte o soluzioni buone per ogni situazione. Eppure in ogni situazione chi si affida a Lui non dispera mai che sia donata una fonte di bene che lo Spirito Santo – la Vita di Dio – fa sgorgare e irrompere nella storia, proprio nella forma della consacrazione, dall’unzione.

È olio che ci unisce tutti a Dio, e in lui tra noi.
Al centro e al fondo della vita di tutta la Chiesa vi è quest’olio, quest’unzione: dono sovrabbondante, gratuito, che sta al di là di ogni utile, ma ciò nonostante – o forse proprio per questo – resta radicalmente necessario.
È questo che impregna di Spirito i Sacramenti, un legame di benedizione, di fecondità, di cura, di letizia, di gioia, di pace.
Siamo profumati della gioia che prova Dio nel crearci e nel trovarci amati davanti a sé, accolti e abbracciati dal suo amore. Lieto, leggero, creatore.

Siamo innestati – rami di olivo selvatico – nell’olivo buono che è Cristo (Rm 11), e siamo consacrati re, sacerdoti e profeti in Lui, mediante il battesimo. Siamo segnati dal sigillo dello Spirito Santo che ci è dato in dono e conformati sempre più a lui nella Cresima, per portare la sua Parola e la sua vita in tutte le situazioni della vita.

Cari fratelli nel presbiterato, le nostre mani sono state unte dal crisma il giorno dell’ordinazione presbiterale, con l’invocazione di poter essere «custoditi» dall’Unto del Padre “per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”. Continuiamo, con l’aiuto di Dio, a confermarci nella fattiva disponibilità a questo ministero.

E voi, carissimi fratelli nell’episcopato, ricordate sicuramente il dono di gioia, l’abbraccio tenero e forte dello Spirito quando l’olio del crisma è stato versato sul nostro capo, il giorno dell’ordinazione episcopale:

È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste”
(Sal 133,2).

E gli olii in questa celebrazione vengono portati solennemente all’altare dai diaconi, conformati sacramentalmente a Cristo (all’unto) servo: servitori, con Lui, della gioia e del profumo della festa, collaboratori della spirituale materialità della vita sacramentale della Chiesa.

E ancora, ogni vita di consacrazione a Dio e ai fratelli diventa – ogni qual volta riesce ad abbandonarsi al suo amore – un profumo di speranza e di consolazione che si spande nelle pieghe concrete della vita, negli snodi fondamentali della storia.

Anche gli altari sono unti dal crisma, perché possano essere “segno visibile del mistero di Cristo e della Chiesa”, in un continuo richiamo e dialogo tra la comunità dei cristiani nel mondo e la casa che ospita la comunità e la sua liturgia di lode.

Siamo tutti intessuti in un’unica multiforme trama di bene, nel segno comune dell’olio, il frutto dell’ulivo, pianta tenace che dona il «miracolo dell’olio”.

Olio che a tutti, come ai catecumeni, dona di “comprendere più profondamente il Vangelo di Cristo; […] di assumere con generosità gli impegni della vita cristiana; […] di gustare la gioia di rinascere e vivere nella Chiesa”.

Olio che a tutti, come agli infermi, doni “conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e liberi da ogni malattia, angoscia e dolore”, olio che il buon samaritano versa sulle ferite dell’uomo ferito, sul ciglio della strada, olio che deve ancora venire per tanti feriti e colpiti dalla storia e dalla malvagità dell’uomo, per i quali

Dalla pianta dei piedi alla testa
non c’è nulla di sano,
ma ferite e lividure
e piaghe aperte,
che non sono state ripulite né fasciate
né curate con olio
(Is 1,6).

Ecco il «miracolo dell’olio» che tutti ci unisce a Cristo e tra di noi, che ci sostiene sul cammino, che ci dona un profumo che allieta gli stanchi e gli sfiduciati, che fa di noi messaggeri della lieta novella e che ci invia a “portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2).

È “il miracolo della vita che riemerge contro ogni speranza, il miracolo dell’unzione assorbita ed espressa nella compassione” (Jean-Pierre Sonnet).

Il «miracolo dell’olio» è anche la condivisione che continua al di là di ogni esclusiva di proprietà privata ma si fa responsabilità per il bene comune. Così infatti la legge per Israele:

“«Quando scuoterai i tuoi olivi, non tornerai a fare la raccolta; ciò che resta sarà per l’emigrante, l’orfano e la vedova […]. Ricorderai che nel paese d’Egitto eri schiavo; perciò ti ordino di mettere in pratica questa parola» (Dt 24,20.22). Il miracolo, quindi, è anche quello di una cultura sociale attenta alla destinazione più ampia possibile dei frutti della terra. Una società dignitosa è una società che protegge il diritto dei più poveri non soltanto a essere nutriti, ma anche a contribuire al loro cibo: è questa la dignità dello spigolare” (Jean-Pierre Sonnet).

Custodiamo, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio.

Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi.

Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo.

Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio.

L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude.

 

In allegato il libretto della celebrazione

 

 

 

 


Il Vescovo alla messa per l’anniversario del bombardamento su Treviso: “Oggi più che mai siamo chiamati a sostenere ogni via di pace nella giustizia e nella verità”

Il Vescovo Michele Tomasi questa mattina, nella chiesa di Santa Maria Ausiliatrice, ha presieduto la celebrazione eucaristica per la commemorazione del bombardamento sulla città, il Venerdì santo del 1944, e in suffragio delle vittime. Erano presenti tutte le autorità civili e militari, tra cui il Sindaco di Treviso e il Prefetto, le associazioni combattentistiche e le associazioni delle vittime civili di guerra. Hanno concelebrato don … Continua a leggere Il Vescovo alla messa per l’anniversario del bombardamento su Treviso: “Oggi più che mai siamo chiamati a sostenere ogni via di pace nella giustizia e nella verità” »

Intervento del Vescovo

“Continuiamo la missione nell’amata Amazzonia”: i nuovi progetti dopo la conclusione dell’esperienza a Manaus

Con il saluto alla parrocchia S. Monica di don Claudio Trabacchin e don Roberto Bovolenta si è conclusa la presenza dei nostri missionari “fidei donum” nell’arcidiocesi di Manaus.

Don Roberto e don Claudio durante la mesa di saluto

La collaborazione con la chiesa di Manaus, diocesi inserita in una grande città con più di due milioni di abitanti, è iniziata nel 1996, accogliendo l’appello dei vescovi brasiliani che invitavano a “evangelizzare la città”. Destinati ad alcune aree missionarie della periferia cittadina ben presto la popolazione che lasciava la foresta si diffuse, si riversò quasi in intere zone costruendo piccoli ripari in cartone, sostituiti prima da pareti in legno e successivamente in vere e proprie abitazioni di mattoni. I nostri missionari – preti e laici – si dedicarono alla costituzione di piccole comunità, all’impegno sociale, alla formazione di catechisti e animatori di comunità. Hanno favorito la promozione umana con la difesa dei diritti umani attraverso il “Movimento comunitario Vida e Esperança” sostenuto dal “Gruppone missionario” presente nella nostra Diocesi. Nel tempo non sono mancati anche alcuni coinvolgimenti in servizi diocesani (Caritas, Seminario, Diaconato permanente…).

La Chiesa di Manaus in questi anni si è consolidata con 72 preti diocesani e 120 religiosi. Si tratta di un prete ogni ottomila abitanti (in diocesi di Treviso sono uno ogni 1.500) che a noi potrebbe sembrare molto poco, ma per la realtà dell’Amazzonia è una presenza significativa e preziosa.

Il lungo cammino condiviso con quella realtà diocesana è motivo di gratitudine per l’accoglienza ricevuta e per i legami che sono nati con il desiderio di mantenerli vivi. La nostra riconoscenza va a tutti i missionari e le missionarie che si sono messi a servizio delle persone e delle comunità.

La loro esperienza in Amazzonia ha arricchito anche la Diocesi di Treviso con la storia viva e fedele delle parrocchie in cui essi hanno operato e che stanno riportando all’interno della nostra vita pastorale, riversando l’esperienza della loro fede e del loro amore per Cristo e per la Chiesa, pur in condizioni di vita spesso difficili e precarie.

La messa di saluto ai due sacerdoti, con l’arcivescovo di Manaus, dom Leonardo Steiner e mons. Mario Pasqualotto, vescovo ausiliare emerito di Manaus

Papa Francesco, in seguito al Sinodo sull’Amazzonia ci ha invitati «non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia» (Querida Amazonia n. 90). Per continuare la nostra presenza missionaria è in cantiere una collaborazione di tre diocesi – Padova, Vicenza e Treviso – per inviare dei missionari più a nord di Manaus ai confini con il Venezuela, nella diocesi di Roraima. È un territorio segnato da una forte migrazione dal Venezuela, con i problemi sociali che l’accompagnano. Vi è il desiderio di continuare lo scambio tra Chiese in un contesto culturale e sociale caratterizzato da comunità cristiane piccole, sparse in grandi territori, talora vivaci ma carenti di mezzi.

Con la scelta di inviare ancora dei preti e dei laici alle popolazioni dell’Amazzonia confermiamo l’importanza dell’apertura missionaria della Chiesa di Treviso, della ricchezza e bellezza dello scambio tra Chiese. Potremo essere aiutati a realizzare quella “conversione pastorale e missionaria” necessaria al rinnovamento delle nostre parrocchie. Invito tutti a sostenere i prossimi passi di questo progetto con la preghiera e coltivando un autentico spirito missionario a partire dalla nostra vita quotidiana.

+ Michele, Vescovo

“Subito cercammo di partire”: la nuova Lettera pastorale del Vescovo

“Riflessioni sulle difficoltà e sulla gioia del camminare insieme e sui passi da condividere”

La nuova Lettera pastorale del nostro Vescovo dal titolo “Subito cercammo di partire…” (At 16,10) è arrivata in questi giorni nelle parrocchie con alcune copie, a disposizione, in particolare, dei membri dei Consigli e degli operatori pastorali. Per raggiungere più persone possibili, comunque, la lettera è già scaricabile (allegata a questo articolo). La lettera è stata consegnata da mons. Tomasi in anteprima giovedì 6 gennaio, al termine della messa dell’Epifania, ai membri dell’équipe sinodale e ad alcuni rappresentanti delle comunità cattoliche di migranti che animavano la celebrazione.

Un testo che il Vescovo ha scritto in continuità con la lettera dello scorso anno, “Saldi nella speranza”, anche grazie al “filo rosso” del viaggio dell’Apostolo Paolo e dei suoi compagni che avevamo lasciato mentre cercavano di partire per la Macedonia: alle soglie, dunque, della loro ripartenza. Un ripartire che in quest’ultimo anno anche noi abbiamo sentito di poter e dover fare. “Come lui abbiamo iniziato una traversata in tempi difficili, fiduciosi che la via si sarebbe riaperta” scrive il Vescovo. E siamo in ascolto “di parole buone che ci diano orientamento e che ci indichino la strada”. Ma per ascoltare c’è bisogno di silenzio, di tempo, di calma. Un silenzio al quale il Vescovo racconta di essere stato personalmente costretto, quest’estate, a causa del suo infortunio in montagna. Ecco che le “Riflessioni sulle difficoltà e sulla gioia del camminare insieme e sui passi da condividere” – espressione che fa da sottotitolo alla Lettera – sono frutto anche di una “piccola vicenda personale”, con i suoi diversi passaggi: essere bloccati, dipendere dagli altri, accettare l’aiuto, scoprire che si soffre “tutti interi”, corpo e spirito, affidarsi a qualcuno che ti insegna a camminare di nuovo, superare difficoltà e sconforto, godere dei piccoli successi…

“Quella del cammino è una metafora potente per la vita degli uomini e delle donne, di tutti i tempi – scrive il Vescovo -. Gesù è stato nei suoi giorni terreni un grande camminatore, e così tutti i grandi punti di riferimento nella storia della salvezza (Abramo, Mosè, Paolo…). Credo che alcune riflessioni a partire da una mia personalissima «difficoltà di cammino» possano essere di qualche utilità” scrive il Vescovo, che invita a camminare insieme in questo tempo che si apre con il Sinodo dei Vescovi e con il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, lasciandoci tutti coinvolgere, perché la Chiesa è un organismo vivente e complesso, che ha bisogno del contributo di tutte le sue componenti per vivere e per funzionare”.


Sinodo: si parte dall'ascolto

Camminare insieme ci fa Chiesa

La nuova Lettera pastorale del Vescovo, che arriverà nelle parrocchie la prossima settimana, ci accompagnerà in questa fase sinodale: "L’ascolto è un metodo e uno stile. Ascoltandoci tra noi ascolteremo lo Spirito che ci parla"

Si apre in questi giorni per tutte le diocesi del mondo la fase dell’ascolto prevista dal Sinodo dei Vescovi e dal Cammino sinodale delle Chiese in Italia. Ad accompagnare il nostro cammino diocesano ci sarà anche la nuova Lettera pastorale del nostro Vescovo dal titolo “Subito cercammo di partire…” (At 16,10). La lettera è stata consegnata da mons. Tomasi in anteprima giovedì 6 gennaio, al termine della messa dell’Epifania, ai membri dell’équipe sinodale e ad alcuni rappresentanti delle comunità cattoliche di migranti che animavano la celebrazione.

Un testo che il Vescovo ha scritto in continuità con la lettera dello scorso anno, “Saldi nella speranza”, anche grazie al “filo rosso” del viaggio dell’Apostolo Paolo e dei suoi compagni che avevamo lasciato mentre cercavano di partire per la Macedonia: alle soglie, dunque, della loro ripartenza. Un ripartire che in quest’ultimo anno anche noi abbiamo sentito di poter e dover fare. “Come lui abbiamo iniziato una traversata in tempi difficili, fiduciosi che la via si sarebbe riaperta” scrive il Vescovo. E siamo in ascolto “di parole buone che ci diano orientamento e che ci indichino la strada”. Ma per ascoltare c’è bisogno di silenzio, di tempo, di calma. Un silenzio al quale il Vescovo racconta di essere stato personalmente costretto, quest’estate, a causa del suo infortunio in montagna. Ecco che le “Riflessioni sulle difficoltà e sulla gioia del camminare insieme e sui passi da condividere” – espressione che fa da sottotitolo alla Lettera – sono frutto anche di una “piccola vicenda personale”, con i suoi diversi passaggi: essere bloccati, dipendere dagli altri, accettare l’aiuto, scoprire che si soffre “tutti interi”, corpo e spirito, affidarsi a qualcuno che ti insegna a camminare di nuovo, superare difficoltà e sconforto, godere dei piccoli successi…

“Quella del cammino è una metafora potente per la vita degli uomini e delle donne, di tutti i tempi – scrive il Vescovo -. Gesù è stato nei suoi giorni terreni un grande camminatore, e così tutti i grandi punti di riferimento nella storia della salvezza (Abramo, Mosè, Paolo…). Credo che alcune riflessioni a partire da una mia personalissima «difficoltà di cammino» possano essere di qualche utilità” scrive il Vescovo, che invita a camminare insieme in questo tempo che si apre con il Sinodo dei Vescovi e con il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, lasciandoci tutti coinvolgere, perché la Chiesa è un organismo vivente e complesso, che ha bisogno del contributo di tutte le sue componenti per vivere e per funzionare”.

agenzia foto film treviso cattedrale messa dei popoli

Attenzioni per le comunità

Ecco, allora, l’invito alle comunità ad accettare di partecipare al meglio al Sinodo, con passione e generosità, e con alcune attenzioni particolari. Prima di tutto accettando di non poter fare da soli, di condividere all’interno della comunità e con le altre comunità vicine, in una fitta rete di relazioni, nella quale gli organismi di partecipazione (i Consigli) a tutti i livelli rappresentano i nodi. E ancora, l’invito ad aprirsi al dialogo con il territorio, “a sentirsi sempre più solidali con i tanti compagni di viaggio” che incontriamo quotidianamente.

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Se vogliamo «metterci in cammino» lo possiamo fare solo assieme – assicura il Vescovo riprendendo l’immagine della Chiesa come corpo di Cristo -, “perché siamo Chiesa insieme, e non potremmo mai esserlo isolati gli uni dagli altri. L’esperienza di questo legame parte ed è resa possibile dall’Eucaristia, corpo di Cristo che si comunica ai discepoli riuniti attorno alla Parola, al pane e al vino”. Ecco l’appello a continuare ad attingere dalla celebrazione eucaristica la forma del nostro vivere insieme e vivendo la messa domenicale come momento bello e rigenerante della comunità, da cui possa scaturire vita «eucaristica» nelle nostre case, sui luoghi di lavoro, negli ospedali e nelle carceri, nelle scuole, nei luoghi della solitudine come in quelli della cultura e dell’incontro”.

In ascolto di tutti
Certo, bisogna superare resistenze, blocchi e paure, per imparare di nuovo a vivere e a camminare, possiamo però “donarci uno sguardo fiducioso, imparare a vedere segni di speranza: la bontà delle persone, la generosità di tanti, la bellezza della condivisione semplice delle esperienze elementari della vita”, imparando anche a semplificare le forme di vita delle nostre comunità – suggerisce il Vescovo -. E sempre in ascolto, di tutti, soprattutto di quelli che si sentono trascurati, dimenticati. “Già lo avevo chiesto nella lettera pastorale dell’anno scorso, e torno a indicarlo come uno stile irrinunciabile e decisivo. Avevo indicato esercizi concreti di ascolto, chiedendoci in ogni nostra attività se e come riusciamo a vivere queste dimensioni: l’ascolto della Parola di Dio e la sua «incarnazione» negli stili di vita; l’ascolto della Chiesa; l’ascolto dei poveri; l’ascolto reciproco; l’ascolto della storia. L’ascolto è un metodo ed uno stile. Ascoltandoci tra noi ascolteremo lo Spirito che ci parla”.

In ascolto della Parola
Ecco che il Vescovo, continuando nel confronto tra la propria personale esperienza e il cammino che ci aspetta come Chiesa, suggerisce “un po’ di «fisioterapia sinodale», con lo Spirito Santo che ci incoraggia, ci guida e ci insegna a camminare. Suggerisco di trarre le sue indicazioni dalla lettura comunitaria dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli. So che in molte comunità si vive un bell’ascolto della Parola, con «lectio», incontri biblici, con il Vangelo nelle case e molte esperienze, da coltivare e incoraggiare. Invito a farlo ovunque in modo costante, diffuso, coinvolgente. Magari anche solo gustando una pagina delle Scritture ogni giorno. Allora, forse, proprio quest’esperienza ci permetterà di togliere la «sinodalità» dal novero delle «cose da fare», o delle parole d’ordine ecclesiali che dopo una stagione perdono di gusto e di sapore. Il Cammino sinodale che percorriamo assieme alla Chiesa tutta si ripresenta invece alla meraviglia e allo stupore di chi può fare nuovamente dei timidi passi dopo essere stato costretto all’immobilità: passi lenti, impacciati forse, ma preziosi, gustosi e pieni di vita”.

(Tratto da “La Vita del popolo” di domenica 16 gennaio 2022)

Leggi la lettera integrale


Messaggio: gli auguri del Vescovo

“Nel Natale di Gesù la radice di ogni nostro rinascere”

Per il Natale 2021, vi auguro di diventare voi stessi un augurio di Natale. Un augurio è l’espressione del desiderio che alla persona a cui viene rivolto accada qualcosa di bello (non voglio nemmeno prendere in considerazione auguri di male…). Ci auguriamo, quindi, semplicemente di passare bene la festa del Natale. È già molto, ci sembra quasi difficile da esprimere in tempi così complicati come i nostri, soprattutto se incontriamo persone che in vario modo vivono la precarietà dell’esistenza a causa della malattia, della solitudine, di qualche difficoltà o crisi familiare, sociale, economica. Sentiamo, a partire dalla nostra fede, che quello che si festeggia è veramente importante, e quindi desideriamo che il contenuto celebrato possa riverberarsi sull’esistenza di chi lo festeggia. A volte ci basterebbe un po’ di serenità e di quiete. Ma no, non basta ancora. Allora desideriamo per gli altri che i loro desideri più cari possano realizzarsi in quel giorno. Auguriamo in fondo che accada qualcosa che scaldi il cuore, che dia luce e calore, che regali alla vita un colore e una musica carichi di affetti, di pace, che aprano al sorriso le persone care, soprattutto quelle più provate dalla vita. Poi ci diciamo subito che la pace e la gioia non possono limitarsi ad un giorno solo.

Qualcuno ne trae la conseguenza di rinunciare del tutto agli auguri.

Andiamo invece avanti. Andiamo in profondità del nostro desiderio di bene, per noi e per gli altri. Andiamo alle radici della possibilità di questo bene: il Signore Dio prende parte alla nostra vita, diventa uno di noi, il bambino Gesù, l’uomo vero. Lui prende le nostre parti. Quelle dello scartato, del debole, del piccolo. Quelle di ciascuno di noi, di tutti. Non ci lascia più da soli, ci sostiene, ci accompagna, ci guida. Si dona. Diventa dono. Abbandonato in croce, abbraccia tutti. Risorto è veramente presente, per sempre, e apre la vita all’eternità. Lui si fa Natale, Lui si fa dono, Lui assume e realizza ogni desiderio. Lui è garanzia, fonte e meta di ogni augurio. Se metto il mio desidero di bene per chi riceve i miei auguri nel cuore del Signore Gesù, Lui è caparra di ogni mio augurio. Ed è Lui che raggiunge l’altro nel mio augurio, che non è più soltanto una formula consueta, ma diventa parola vera, che sgorga dal cuore.

E l’augurio non è più nemmeno soltanto parola, ma respiro dell’anima che mette in moto la mia disponibilità, il mio cuore e le mie mani, la mia fantasia e tutto il mio desiderio per vedere realizzato il tuo desiderio di bene.

E troverò il modo, magari semplice e discreto per farmi presente, veramente persona con te, con tutti, affinché ti possa accadere davvero qualcosa di bello, un’emozione, una luce calda, un sorriso nuovo ed insperato.

 

Nel Natale di Gesù di Nazareth, il Cristo, vero Dio e vero uomo, ci sia la radice di ogni nostro rinascere, ci sia il motivo di ogni sorriso, di ogni aiuto, di ogni gesto piccolo o grande di fraternità, ci sia il desiderio che si realizzi ogni desiderio di bene.

Auguro a noi tutti che possiamo diventare un augurio vero, incarnato.

Buon Natale!

Il Seminario al centro di una grande alleanza formativa: il Messaggio del Vescovo per la Giornata

In occasione della giornata del Seminario di quest’anno parto da un ringraziamento: grazie a don Giuliano Brugnotto che ha svolto l’incarico di Rettore del Seminario sino a settembre di quest’anno e grazie a don Luca Pizzato che ha accettato di ricoprire da allora in avanti questo importante ruolo. Assieme a loro ringrazio anche gli educatori e – sempre da quest’anno – le educatrici che partecipano all’impegno formativo, senza dimenticare le tante persone che contribuiscono con il loro lavoro alla vita del Seminario, dipendenti e volontari. Per poter essere un Seminario diocesano all’altezza dei tempi serve davvero un grande sforzo corale, fatto di generosità spesso nascoste, ma indispensabili. A tutti, grazie di cuore.

Don Luca ci ha ricordato la settimana scorsa su queste pagine che tutta la comunità cristiana è il soggetto che accompagna i giovani nel cammino di scoperta e di approfondimento della propria vocazione, nell’ascolto cioè di quella voce interiore che è capace di aprire un cammino di vita che porti a dare forma a un desiderio di pienezza e di vita.

La dimensione vocazionale è veramente centrale nella vita dei cristiani. È esperienza che scaturisce direttamente dalla fedeltà di tutta la Chiesa alla Parola di Dio che la interpella quotidianamente, nelle Scritture sante e nella storia degli uomini. Come ha annotato Luigino Bruni: “Potremmo riscrivere l’intera Bibbia come un susseguirsi di storie di persone che hanno seguito una voce che le chiamava”.

Ogni vicenda che veda una scelta e un’accettazione consapevole del proprio compito e del proprio contributo al bene di tutti riceve il suo sigillo e trova il gusto del proprio significato nel comprendersi come una risposta alla chiamata di quella voce interiore.

Il Seminario contribuisce con il proprio specifico servizio, accompagnando ragazzi e giovani in questo comune cammino di ascolto e di discernimento, e poi nel particolare percorso di quei giovani uomini ai quali la voce suggerisce di stabilire un legame con Gesù Cristo nel servizio da presbiteri alla comunità cristiana. In questo caso quella voce – talvolta quasi un sussurro, comunque sufficiente per smuovere una ricerca, a tratti appassionata, e tutta l’intensità di giovanili generosità – richiede e mostra come possibile il dono di tutta la vita, affinché essa sappia mettersi interamente a disposizione della crescita della comunità intera. Il periodo del Seminario deve aiutare ad ascoltare questa voce, a dare un nome al proprio desiderio e ad incarnare nell’oggi della Chiesa un sogno, un’aspirazione.

Il Seminario è una comunità ecclesiale molto particolare, e non può essere altrimenti: tanto tempo deve essere dedicato allo studio e all’acquisizione di competenze necessarie per un presbitero, oggi più che mai. I seminaristi dovranno trovare però anche una comunità che li aiuti ad assimilare i contenuti in modo originale e creativo, per arrivare ad una personale sintesi che illumini e sostenga la loro disponibilità a mettersi in gioco. In un tempo della storia e della Chiesa come il nostro non ci si può affidare a ricette di nessun tipo, servono invece fedeltà creativa e collaborazione matura e adulta.

Per tentare di raggiungere questi obiettivi il Seminario non può rimanere da solo, ma deve essere al centro di una grande alleanza formativa che coinvolga le comunità parrocchiali, gli organismi diocesani e tutti i fedeli in modi differenti sì, ma che non escludano nessuno. Il periodo trascorso in Seminario deve essere di intensa immersione nella vita della Chiesa e nel tempo di oggi – con le sue contraddizioni, le sue ricchezze e potenzialità – in un contesto di cambiamento veloce e profondo. Il Seminario ha bisogno di tempi e di percorsi propri, certamente, ma non può essere isolato dal resto della Chiesa in cammino o dalle vicende del proprio tempo, se vuole contribuire a formare presbiteri che sappiano essere a servizio vitale del popolo di Dio.

Il Seminario accompagna i giovani che si sentono chiamati alla scoperta dei «segni dei tempi» che li motivino a cogliere la presenza viva di Cristo crocifisso e risorto nei Sacramenti, nella Parola letta, studiata e pregata, nella comunità, nelle richieste e negli aneliti del nostro tempo, nel grido dei poveri e del creato. Non potrà svolgere questo compito senza la collaborazione di noi tutti, anche noi in continuo ascolto di quella voce che ci chiama, che ci stimola, che ci invita a vivere oggi l’eccedenza di vita promessa in ogni pagina di Vangelo. Prendendoci cura della formazione dei futuri presbiteri ci prendiamo cura di tutta la Chiesa. Anche questa è una forma, concreta e feconda, di sinodalità.

+Michele, Vescovo    

 

La preghiera per i defunti al cimitero di san Lazzaro. Il Vescovo: “Manteniamo vivo il legame”

Oggi pomeriggio, durante la funzione di preghiera di suffragio per i fedeli defunti, tenuta al cimitero di san Lazzaro a Treviso, il vescovo Michele Tomasi ha ringraziato i presenti, i sacerdoti della città, il coro della cattedrale ed alcuni fedeli della loro presenza: “Malgrado la pioggia siete qui a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio, a mantenere vivo il legame con coloro che ci hanno preceduti, nella vita e nella fede. Noi dobbiamo loro questa presenza, questa fedeltà, questa preghiera. Dobbiamo anche a noi l’impegno di mantenere vivi il legame e la relazione, e qui siamo in rappresentanza di tutte le nostre comunità, di quanti stanno soffrendo per la perdita di una persona cara, di quanti faticano a sperimentare la speranza o si sentono soli perché particolarmente colpiti dalla vita”.

Il Vescovo ha ricordato il venerdì della Quaresima del 2020, in cui era andato da solo al cimitero, per pregare per tutti i defunti in periodo di lockdown, quando ancora non si poteva uscire di casa e “tanti nostri cari ci hanno lasciato senza che avessimo potuto accompagnarli con un rito, un incontro, una preghiera comunitaria. Non dovremmo più dover vivere momenti simili, e ora dobbiamo essere davvero popolo di Dio in cammino, prendendoci cura gli uni degli altri, continuando nella fede il nostro legame con i cari defunti, cui siamo legati dalla morte e dalla risurrezione di Cristo. Dobbiamo camminare insieme per essere degni di quanto i nostri cari hanno fatto per noi e di quanto essi ci hanno trasmesso, contrastando con la solidarietà ogni odio, ogni divisione, ogni situazione di conflitto e di guerra, testimoni di speranza e di vita”.

A conclusione, la benedizione sulle tombe e la preghiera.