Rivestiti di Cristo per diffondere la sua luce: in cattedrale giovani da tutta la diocesi alla veglia per le vocazioni

Diocesi di Treviso
Attenzione e cura verso i preti in difficoltà, le questioni del fine vita e dell’accoglienza dei migranti, il prossimo convegno delle Chiese del Triveneto sulla liturgia, la Giornata Mondiale della Gioventù in programma a Lisbona durante l’estate: sono stati molti e importanti i temi affrontati dai Vescovi del Nordest nella riunione odierna svoltasi nella sede di Zelarino (Venezia).
Nella prima parte dell’incontro si è svolto un dialogo ed un confronto tra i Vescovi su luoghi, percorsi e modalità di accompagnamento per affrontare le differenti situazioni di fatica e difficoltà che possono toccare i sacerdoti durante il loro ministero.
I Vescovi hanno, quindi, dedicato una parte dei lavori alle questioni del fine vita, anche alla luce del dibattito di carattere legislativo in corso sia a livello regionale che nazionale, riproponendosi di continuare a seguire da vicino il tema e confermando, innanzitutto, la vicinanza e la solidarietà concreta da offrire a persone e famiglie in ogni fase della vita, anche e soprattutto nei passaggi più travagliati e dolorosi. Nessuno, infatti, va mai lasciato solo, ma va sempre accompagnato e sostenuto, in particolare attraverso il maggiore ricorso alle cure palliative, oggi sempre più efficaci e fruibili, ed anche potenziando il sistema di strutture che le possono garantire. Nello stesso tempo si ribadisce il no ad ogni forma di accanimento o abbandono terapeutico. Importante, su tali temi, è creare e consolidare un terreno comune di sensibilità e attenzione al bene e alla vita per favorire l’aiuto, l’accompagnamento e il sostegno in ogni situazione e senza dover cedere – anche per via di legge – a differenti forme di eutanasia o suicidio assistito.
I Vescovi si sono, poi, confrontati e aggiornati riguardo l’accoglienza dei migranti, in riferimento alle ultime richieste pervenute in queste settimane da molte Prefetture di mettere a disposizione strutture a tale scopo. Sul campo dell’accoglienza – fenomeno ormai consolidato e non più da trattare solo a livello di emergenza – è stato soprattutto ribadito l’impegno concreto e la disponibilità che, da tempo, le Chiese di questa Regione mettono in campo su diversi fronti (dalla rotta balcanica ai profughi dell’Ucraina e alle vecchie e nuove povertà locali) e che intendono riconfermare nell’ottica di un’accoglienza diffusa, rispettosa della dignità di chi viene accolto e delle comunità locali, sempre in accordo e con il coinvolgimento di istituzioni civili, pubbliche amministrazioni ed altre realtà dei territori interessati.
Nella sessione pomeridiana della riunione sono stati, inoltre, affrontati gli appuntamenti del prossimo Convegno delle Chiese del Triveneto sulla liturgia – sul tema “Ritrovare forza dall’Eucaristia” e che si svolgerà in due momenti: il primo “diocesano” il 20 maggio p.v. in varie sedi ed il secondo “regionale” il 30 settembre a Verona con tutti i delegati e i Vescovi del Nordest – ed infine il percorso di preparazione dei giovani del Triveneto verso la Giornata Mondiale della Gioventù (Lisbona, 1-6 agosto 2023) e che prevede tra l’altro un incontro comune a Padova il 17 giugno p.v. a cui saranno invitati, insieme ai Vescovi, gli oltre 6.000 giovani che dalle nostre regioni si recheranno in Portogallo.
Un’adesione oltre le aspettative. La serata di giovedì 4 maggio, che apre il Festival biblico a Treviso, deve spostarsi dalla chiesa di San Teonisto all’auditorium del collegio Pio X (ingresso da viale D’Alviano). Con le prenotazioni online è stato superato, infatti, il numero di persone che possono essere accolte a San Teonisto. E così gli organizzatori hanno avvisato tutti iscritti del cambio di sede per l’incontro con il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, appena tornato da un viaggio nella martoriata Ucraina.
Dalle 20.30, Riccardi in dialogo con il vescovo Michele Tomasi, rifletterà sulla “Pacem in terris: dopo 60 anni è ancora un sogno possibile?”.
Il titolo, e filo conduttore di tutti gli eventi, che si svolgeranno in città dal 4 al 7 maggio, è “Genesi 1-11”: nei primi 11 capitoli del grande libro della Creazione trovano spazio grandi temi di attualità, a cominciare dalla custodia e salvaguardia della terra, alle relazioni tra gli uomini, ai conflitti, e poi il lavoro, la fede, il peccato. L’appuntamento è curato in collaborazione con Fondazione Imago Mundi e si inserisce nell’ambito della mostra “La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata” in corso alle Gallerie delle Prigioni di Treviso.
Durante la serata sarà presentato il Programma generale del Festival, con uno spazio specifico dedicato all’illustrazione del progetto “Il bosco che ancora non c’è”, realizzato in Piazza Duomo con la collaborazione, in particolare, di Fondazione Benetton Studi Ricerche e Campagna Amica (intervento di presentazione di Luigi Latini, direttore della Fondazione Benetton), nonché delle iniziative per il 50° di Caritas Tarvisina (intervento di don Davide Schiavon): la sede della Casa della carità sarà, infatti, l’altro fulcro cittadino del Festival, in particolare con la cena di condivisione di sabato 6 “Fratelli alla stessa tavola”.
Nel pomeriggio di giovedì, alle 18.30, negli Spazi Bomben di via Cornarotta sarà inaugurata la mostra “La creazione dipinta: paesaggi e animali dalla collezione Maurocordato”, in collaborazione con Fondazione Benetton Studi Ricerche. Presentazione a cura di don Paolo Barbisan, direttore dell’ufficio diocesano per i Beni culturali.
Incontri importanti anche venerdì 5 maggio, con i giovani di “Economy of Francesco” – Riparare il linguaggio dell’economia: intervento di Stefano Rozzoni, docente all’Università di Bergamo; alle 16 all’auditorium di Casa dei Carraresi, “E le cateratte del cielo si aprirono” – il racconto del diluvio e la cura del territorio, con i docenti universitari Francesco Vallerani e Teresa Bartolomei; alle 17, in oratorio Oikos del Duomo, incontro con Paolo Malaguti e “Il Moro della cima”; alle 17.30 passeggiata guidata in città, tra dolci acque, parole e spirito, con partenza da piazza Duomo: “Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino”, grazie a Beatrice Mazza, geologa e Ilaria Simeoni, storica dell’arte (si replica sabato alle 9.30). La giornata si chiude all’auditorium Appiani di Fondazione Cassamarca, alle 20.30, con il musical “Love, love, love”, messo in scena dall’associazione Fattibillimo e la Magical mystery orchestra.
Il Festival Biblico nella città di Treviso è ideato e promosso dalla Diocesi di Vicenza (dove è nato 18 anni fa) e dalla Società San Paolo, con l’adesione delle Diocesi di Treviso, Vittorio Veneto, Verona, Padova, Adria-Rovigo e Chioggia, e con la collaborazione di una nutrita rete di associazioni e realtà culturali del territorio. Oltre alla collaborazione con Fondazione Cassamarca, presente fin dalla prima edizione, altre nuove collaborazioni si sono sviluppate: quelle con Fondazione Imago Mundi, Fondazione Benetton Studi Ricerche, Coldiretti Treviso, Fondazione Opera Pia Maurocordato, e con l’associazione “Fattibillimo” sui temi dell’inclusione.
Per continuare a pregare per le vocazioni, che costituiscono il poliedro meraviglioso della Chiesa, quest’anno, la consueta veglia vocazionale, presieduta dal vescovo Michele Tomasi, è prevista sabato 13 maggio, in Cattedrale a Treviso. L’appuntamento è per le 20.30 e si svolgerà non solo dentro la chiesa cattedrale, ma prevederà un momento di memoria del Battesimo, con una breve processione all’antico Battistero attiguo. Questa veglia, promossa dal Centro diocesano vocazioni e dall’ufficio di Pastorale giovanile, vuole essere una semplice opportunità per pregare e annunciare che tutti sono chiamati, fin dal Battesimo, a cercare la via di Dio e ad attuarla con un impegnato progetto di vita cristiana.
Possono pertanto ritenersi invitati a questo appuntamento tutti i giovani che volessero fermarsi a riflettere sulla propria vita, assieme ai giovani in discernimento vocazionale, ai fidanzati, ai seminaristi e a quanti partecipano a iniziative dei numerosi istituti religiosi sia maschili che femminili; non mancherà, infine, la presenza di persone che hanno scelto la via della consacrazione laicale come risposta alla chiamata di Dio. Vi attendiamo numerosi!
(segreteria del Centro diocesano vocazioni)
Una giornata di festa, di riflessione, di confronto e di ascolto, ma anche di proposte e di visione di futuro: è stato questo il Primo maggio promosso dall’ufficio diocesano di Pastorale sociale e del lavoro, insieme a Fondazione Opera Monte Grappa, Acli provinciali di Treviso e Venezia, associazione Famiglie 2000, che quest’anno si è svolto nell’oratorio di Carbonera. Ha collaborato anche l’associazione “Musicalmente Orchestra”, coreografie di Centro danza Movi-Menti di Fontane di Villorba.
La conciliazione tra lavoro e vita famigliare è stato il tema “filo conduttore” della giornata, che si è aperta con la messa alle 11, presieduta dal vescovo Michele Tomasi, cui è seguito lo spettacolo musicale “C’è da fare”, con testimonianze dal mondo del lavoro: Veronica Sacchetto, studentessa; Oriana Tonin, insegnante alla Scuola di formazione professionale Fondazione Opera Monte Grappa; Giulio Piccin, product e csr manager di Aku Italia srl, padre di due figli; Martina Barbazza, assistente sociale e madre di tre figlie; Vania Marsonetto, psicologa del lavoro; Franco Cuzziol, titolare della ditta Model Stampi srl di Oderzo; Lidia Borzì, presidenza nazionale Acli, direttivo del Forum delle Associazioni familiari.
Mons. Tomasi, nell’omelia della festa di San Giuseppe lavoratore, ha sottolineato che il lavoro è legato alla natura della persona umana, alla sua dignità. “Dio crea e chiede all’uomo, chiede ma anche offre all’uomo la possibilità di collaborare alla sua opera di creazione e trasformazione” ha ricordato il Vescovo, che ha citato un intervento di papa Francesco su giovani e lavoro, nel quale il pontefice parla di «unzione», di un dono di grazia, di manifestazione dell’intrinseca dignità della persona, fonte e strumento di gratuità. I giovani disoccupati «crescono senza dignità, perché non sono “unti” dal lavoro che è quello che dà la dignità» (Visita pastorale a Genova, Incontro con il mondo del lavoro, 27 maggio 2017). “Che bello questo richiamo all’unzione, alla grazia, alla sacralità del lavoro che porta benedizione, che richiama alla salvezza integrale della persona umana” ha sottolineato il Vescovo, che ha ricordato come “il figlio del falegname” abbia imparato proprio da Giuseppe “l’arte di stare al mondo, di modificarlo con l’opera delle proprie mani, di prendersi cura di sé, dei suoi e del mondo in una collaborazione di compiti, in una corresponsabilità che ricongiunge in sé tutto il creato, e il proprio rapporto con il Dio creatore”.
Il lavoro, con la sua giustizia, sicurezza e dignità, e i diritti e i doveri dei lavoratori, quindi, non possono esserci estranei, “al di fuori della cura e della responsabilità delle nostre comunità cristiane” ha detto il Vescovo, che ha citato il recente Messaggio dei Vescovi italiani, componenti della commissione di Pastorale sociale e del lavoro, scritto proprio per questa giornata e dedicato al tema “Giovani e lavoro: per nutrire la speranza”. “Vorrei anche io – le parole di mons. Tomasi, con la citazione del Messaggio – “che le comunità cristiane fossero sempre più luoghi di incontro e di ascolto, soprattutto dei giovani e delle loro aspirazioni, dei loro sogni, come anche delle difficoltà che essi si trovano ad affrontare. Ci impegniamo a condividere la bellezza e la fatica del lavoro, la gioia di poterci prendere davvero cura gli uni degli altri, la fatica dei momenti in cui gli ostacoli rischiano di far perdere la speranza, i legami profondi di chi collabora al bene in uno sforzo comune”.
Di qui la riflessione del Vescovo sul senso profondo del lavoro nella vita di ogni persona e come contributo alla costruzione di un mondo più giusto, bello e fraterno, in ascolto soprattutto dei giovani:
“Su questo cammino ci impegniamo a cercare sempre nuove e più efficaci vie di armonizzazione della vita familiare e di quella lavorativa, la possibilità di ritmi di lavoro più umani, di relazioni giuste che rifiutino tanto lo sfruttamento del lavoro quanto la riduzione delle relazioni lavorative unicamente al massimo rendimento finanziario. Il lavoro deve essere contemporaneamente fonte di sostentamento e forma di vita orientata al senso profondo dell’esistenza e allo sviluppo integrale di ogni persona, come anche al rispetto del creato e al servizio di chi più ha bisogno. Ascoltiamo i molti giovani – l’appello del Vescovo – che si stanno impegnando per un modo più giusto, bello e fraterno, assieme a tanti altri che hanno sicuramente molto da dire, ai quali ci offriamo come compagni di viaggio”. E qui, ricordando un altro passaggio del Messaggio dei Vescovi, mons. Tomasi ha parlato del rapporto tra Vangelo ed economia, un tema al centro del movimento internazionale di giovani “The economy of Francesco”.
“Vogliamo trovare il modo ed il tempo per sognare il loro stesso sogno di un’economia di pace e non di guerra; un’economia che si prende cura del creato, a servizio della persona, della famiglia e della vita; un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno. Desideriamo un’economia custode delle culture e delle tradizioni dei popoli, di tutte le specie viventi e delle risorse naturali della Terra, «un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme, riduce le diseguaglianze e sa dire, con Gesù e con Francesco, “beati i poveri”» , come troviamo espresso nel Patto tra il Papa e i giovani di Economy of Francesco, Assisi 24 settembre 2022. Oggi siamo chiamati a condividere passi e contributi di tanti, perché questa «economia di Vangelo» non rimanga solamente un sogno” (dal Messaggio dei Vescovi italiani per la Festa dei lavoratori, 1° maggio 2023)
“Potremo celebrare davvero la festa del lavoro e vivere concretamente l’intercessione di san Giuseppe falegname, lavoratore, soltanto quando i discepoli di Cristo saranno concordi in questo servizio alla persona e all’umanità intera, quando il Vangelo proclamato ed amato nelle nostre Chiese sarà lo stesso vissuto in semplicità, bellezza e creatività anche nella nostra economia, e in tutte le relazioni umane, quando tutti potranno vivere la realtà del lavoro come «un’unzione del Signore», fonte di benedizione e di speranza”.
Omelia del vescovo Michele Tomasi nella messa del giorno di Pasqua – cattedrale di Treviso – 17 aprile 2022:
Cari fratelli e sorelle in Cristo: «Buona Pasqua»!
Anche oggi siamo riuniti insieme per celebrare la vittoria sulla morte, la Risurrezione di Cristo, il Vangelo di una tomba vuota che sconvolge tutto ciò che siamo pronti ad accogliere e a credere.
È alla durezza e all’inevitabilità apparente del male, infatti, che nel concreto siamo abituati e disposti a credere. Vediamo il male, ne percepiamo la forza brutale, l’inesorabile presenza nella nostra vita.
Soprattutto in questi nostri tempi inquieti e dolorosi, non reggono più le sicurezze che ci eravamo costruiti, la fede ingenua in una bontà conquistata dall’umanità, nell’impossibilità del ritorno, anche nella nostra pacifica Europa, alla barbarie della guerra. Invece, ecco di nuovo irrompere la ragione irragionevole della forza bruta che porta all’arbitrio del più forte, la lotta di tutti contro tutti, e ancora risuonare la triste profezia come unica parola di apparente saggezza: «homo homini lupus»: l’uomo è lupo per l’altro uomo.
È doloroso, ma non ci sorprende: la guerra in Europa è solo l’ultima di una serie che continua ad insanguinare ogni parte del mondo; la violenza e la sopraffazione sono all’ordine del giorno a tantissimi livelli, la precarietà e la fragilità della vita ci sono ormai quotidianamente presenti attraverso le vicende della pandemia, la diseguaglianza sembra essere inevitabile corollario di ogni attività umana.
Niente di nuovo sotto il sole, dunque.
Ma ecco, ancora una volta, si ripresenta l’annuncio di una tomba vuota. Anche i tentativi di darsi una spiegazione plausibile, come il trafugamento del corpo, una prima teoria del complotto. E ci sono corse avanti e indietro tra il sepolcro ed il cenacolo, annunci non creduti, testimonianze ritenute poco attendibili, sguardi che non riescono a rendersi conto del senso di quanto stanno vedendo.
Ma quel sepolcro vuoto è lì.
Nulla nella storia sino ad ora è riuscito a cancellarne la presenza.
Il dato di fatto di un sepolcro vuoto.
E la testimonianza delle donne, degli apostoli, dei testimoni. Sono stati costretti ad accogliere l’impossibile, a credere l’incredibile e a darne testimonianza, con le parole e con il cambiamento di vita.
I testimoni hanno rimesso in gioco la loro vita non per un’invenzione, non per una teoria o una riflessione teologica, non perché incapaci di accettare la durezza della vita. Essi testimoniano perché hanno incontrato il Risorto:
“E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10, 39-41).
Noi siamo qui ora perché siamo in una tradizione ininterrotta di persone che hanno creduto a questo annuncio, e che vivendo a partire da esso hanno incontrato a loro volta il Signore: nella Parola, nei Sacramenti, nella comunità, nei poveri, nei piccoli e nei fragili, nelle vicende della vita.
Il nostro augurio di “buona Pasqua” diventa, allora, l’atto più forte e rivoluzionario che possiamo compiere, se è animato e mosso dalla fede nella vittoria di Cristo sul male e sulla morte.
Se Cristo è davvero risorto, allora possiamo sperare.
Allora c’è una forza di vita nella nostra esistenza, allora la speranza non è un’illusione. Allora ci si può impegnare a favore del bene, allora vince la vita. Anche se non sembra. Anche al cospetto di chi pensa di costruire, in un delirio di onnipotenza, la vita su lutti e macerie: anche se la violenza sembra forte, essa è sconfitta da se stessa, perché genera solamente atti di morte.
Il vero realismo diventa allora la fede nella vita, il perdono reciproco, la fraternità vissuta come dono e benedizione, l’impegno per prendersi cura gli uni degli altri, la fatica di rimanere fedeli nell’amore, il continuo sforzo di disarmare i cuori, le menti, le coscienze. La fiducia nella costruzione di un’Europa autentica casa di pace.
L’uomo non rimane allora nemico, non più avversario, ma amico, compagno di strada, fratello e sorella da accogliere e da amare.
«Homo homini amicus, frater”.
Conversione dello sguardo, della mente, del cuore, della vita.
Grazie alla forza donata da Dio.
Grazie alla Risurrezione di Cristo.
Grazie alla presenza qui, tra noi, del vivente, amante della vita.
“La proclamazione della Pasqua, che celebriamo in questa santa Notte, nella «madre di tutte le veglie» è davvero il centro di tutta la nostra fede, il fondamento di ogni nostra speranza, ed è il cuore che genera e sostanzia ogni nostro atto di amore”: nella solenne Veglia pasquale in cattedrale, questa sera, il Vescovo ha iniziato così l’omelia, dopo la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale, all’esterno, e dopo la Liturgia della Parola che ha ripercorso e fatto rivivere le tappe della storia della salvezza. Nel corso della celebrazione undici catecumeni hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana.
“Tutta la vita della Chiesa è un continuo celebrare la Pasqua, meditarne il senso e il significato, approfondirne il valore – ha ricordato mons. Tomasi -. Tutta l’esistenza della Chiesa e dei discepoli di Cristo è una celebrazione della vita nuova ricevuta in Cristo, risorto e vivo in mezzo a noi”.
E l’ingresso in questa vita nuova ci è donato nel Battesimo, nel quale siamo immersi in Lui, “nel dono di amore che è la sua morte, e siamo resi capaci di una “novità di vita”. Proclamare oggi la nostra fede nella Risurrezione di Cristo – ha sottolineato il Vescovo -, significa tornare alle sorgenti della vita nuova che ci è stata donata. Il cammino della nostra vita sarà allora un continuo ritorno a questa origine, disponibilità quotidiana a rinunciare al potere della morte, del sospetto, della paura”.
“Cari fratelli e sorelle in Cristo, e soprattutto voi, cari catecumeni che ora sarete inseriti in Cristo mediante il battesimo, questo è il dono della Pasqua: accettare il dono di Dio, diventare ogni giorno «nuovi», più luminosi e belli, più vivi. La continua conversione a ciò che il Risorto ci dona nel battesimo è quanto possiamo fare di più potente per il bene del mondo: credere in Dio, cercare la nostra guida soltanto in Cristo e rimanere saldi con Lui contro il male, la morte, la guerra, la violenza. Condividere la vita vera da Figli di Dio, fratelli e sorelle, tutti”.
L’omelia integrale del Vescovo:
Veglia pasquale – 16 aprile 2022
Cattedrale di Treviso
La proclamazione della Pasqua, che celebriamo in questa santa Notte, nella «madre di tutte le veglie» è davvero il centro di tutta la nostra fede, il fondamento di ogni nostra speranza, ed è il cuore che genera e sostanzia ogni nostro atto di amore.
Tutta la vita della Chiesa è un continuo celebrare la Pasqua, meditarne il senso e il significato, approfondirne il valore. Tutta l’esistenza della Chiesa e dei discepoli di Cristo è una celebrazione della vita nuova ricevuta in Cristo, risorto e vivo in mezzo a noi.
L’ingresso in questa vita ci è donato nel battesimo, esso “sancisce l’appartenenza dei cristiani a Cristo vivente” (Pino Stancari). Dobbiamo continuare a meditarlo e poi dobbiamo davvero continuare a crederlo: Cristo risorto, il principio della vita nuova è il Cristo crocifisso e morto sulla croce.
Dobbiamo ricordarlo sempre, perché come ci insegna San Paolo – e ci viene annunciato ogni anno, in questa liturgia della notte – se siamo battezzati in Gesù “siamo battezzati nella sua morte”, “siamo stati sepolti insieme a lui nella morte”.
Nel battesimo è morto ciò che siamo in quanto figli di Adamo, ciò che siamo come eredi di Caino, inizia una vita nuova, in Cristo.
Muore tutto ciò che ci fa mettere noi stessi al centro dell’esistenza, muore la nostra pretesa di essere noi stessi il dio della nostra esistenza, muore l’uomo vecchio che cerca con affanno di vincere la morte con le sue sole forze. E così non fa altro che continuare a generare morte.
E come la morte non ha più potere su Cristo Gesù, risorto dai morti, così anche noi, se lasciamo inchiodare l’uomo vecchio sulla croce, saremo “viventi per Dio, in Cristo Gesù”.
Non veniamo liberati dalla nostra condizione mortale, né dalla sofferenza, e nemmeno dalle prove. Dovremo essere sottoposti a prove, subiremo sofferenze, dovremo morire. Ma non saremo più schiavi, non saremo più guidati dalla paura della morte. Il peccato non ci domina, la mortalità non ci contiene: siamo grandi della stessa vita di Dio, che ci è donata, completamente donata e mai costruita da noi stessi o conquistata dalla volontà o dalla forza.
La nostra vita è tutta racchiusa in questa tensione: tra l’essere morti, liberati dal potere della morte e ancora mortali, liberi dal male perché inseriti realmente in Cristo e ancora in un cammino che fa rivivere l’uomo vecchio, che vive cioè ancora il sospetto primordiale di Adamo verso Dio e la scelta omicida di Caino verso il fratello.
Ma il dono di Dio è irrevocabile: nel battesimo siamo immersi in Lui, nel dono di amore che è la sua morte, e siamo resi capaci di una “novità di vita”.
Proclamare oggi la nostra fede nella Risurrezione di Cristo, significa tornare alle sorgenti della vita nuova che ci è stata donata.
Il cammino della nostra vita sarà allora un continuo ritorno a questa origine, disponibilità quotidiana a rinunciare al potere della morte, del sospetto, della paura.
Ascoltiamo un padre della Chiesa a questo proposito: “Non pensare che il rinnovamento della vita, che si dice avvenuto una sola volta, sia sufficiente; ma continuamente ogni giorno bisogna fare nuova, se si può dire, la stessa novità. Come infatti l’uomo vecchio continua ad invecchiare e di giorno in giorno si fa più senescente, così anche questo nuovo continua a rinnovarsi e non c’è mai un tempo in cui il suo rinnovamento non si accresca. Camminiamo in novità di vita, mostrandoci ogni giorno nuovi a colui che ci risuscitò con Cristo, e per così dire più belli, cercando in Cristo come in uno specchio la bellezza del nostro volto e, contemplandovi la gloria del Signore, trasformiamoci nella sua stessa immagine, poiché Cristo risorgendo dai morti dalle bassezze terrene è asceso alla gloria della maestà del Padre” (Origene).
Cari fratelli e sorelle in Cristo, e soprattutto voi, cari catecumeni che ora sarete inseriti in Cristo mediante il battesimo, questo è il dono della Pasqua: accettare il dono di Dio, diventare ogni giorno «nuovi», più luminosi e belli, più vivi.
La continua conversione a ciò che il Risorto ci dona nel battesimo è quanto possiamo fare di più potente per il bene del mondo: credere in Dio, cercare la nostra guida soltanto in Cristo e rimanere saldi con Lui contro il male, la morte, la guerra, la violenza.
Condividere la vita vera da Figli di Dio, fratelli e sorelle, tutti.
In cattedrale, questa sera, Venerdì santo, il Vescovo ha presieduto l’Azione liturgica della Passione del Signore.
Il Vescovo, nell’omelia che è seguita alla lettura della Passione di Gesù secondo Giovanni, si è lasciato guidare da un passaggio della seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei.
Ecco l’omelia del Vescovo:
“…Egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito” (Eb 5, 7).
Gesù ha chiesto, ha pregato, ha urlato al Padre di venire liberato dalla sofferenza e dalla morte. È stato crocifisso, è morto. Venne esaudito? È possibile dire questo, che è stato esaudito? Questo ha senso solamente alla luce della sua Risurrezione. Così anche quanto aveva scritto il profeta Isaia:
“Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità” (Is 53, 11).
La vittoria sulla morte, sulla sua e sulla nostra morte, avviene solamente grazie a questo pieno abbandono fiducioso di Cristo nelle mani del Padre, e questo abbandono fiducioso assume senso solamente nella luce della Risurrezione. Altrimenti non ci sarebbe questo esaudimento, l’assurdo sarebbe l’ultima parola dell’esistenza. La fiducia, che è il rischio supremo di Cristo, nel suo atto di abbandono nel Getsemani si compie e in essa si realizza la possibilità stessa di un significato della vita, dell’universo, dell’essere stesso in quanto tale.
“Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5,8).
Tutta la storia dell’Incarnazione del Figlio eterno trova qui il suo compendio, la possibilità di essere contemplata nel profondo. Lo dice in modo diverso anche San Paolo, nella lettera ai Filippesi: Cristo Gesù,
“pur essendo nella condizione di Dio,
[…] umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce” (Fil 2, 6.8).
L’obbedienza di Cristo – sin dall’accettazione della propria umanità – ce lo mostra come Figlio senza riserve e senza condizioni, davvero Uno con il Padre. Grazie alla sua obbedienza, in Lui siamo in grado di vedere Dio Padre, colui che nessuno poteva contemplare. Gesù ha imparato dalle vicende della sua vita l’obbedienza: nel suo patire ha continuato ad ascoltare la voce del Padre, le ha donato fiducia, ha cercato fuori di sé il centro profondo della propria libertà, della propria volontà.
“Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,9).
Gesù ha impregnato della sua divinità ogni fibra della sua e della nostra umanità: questa è la perfezione cui egli è giunto, dono per noi. Tutta la divinità arriva con Lui sulla croce, tutta la sua umanità risorge ed è assunta in Dio. In Lui davvero sono uniti in eterno cielo e terra.
La nostra salvezza sta tutta nell’obbedienza a lui, solamente nell’obbedienza a lui. È questo il nostro rischio supremo. Questa la possibilità che ci viene data di vivere autenticamente ed in pienezza. Ce lo insegna l’apostolo Pietro, negli Atti degli Apostoli: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12).
Nessun nostro pensiero, nessuna nostra azione che siano al di fuori della logica dell’obbedienza alla croce di Cristo sapranno superare e vincere la morte nella Risurrezione e nella vita. Abbracciamo la logica del dono incondizionato di sé e vinceremo ogni logica di morte. Tutto il resto andrà perduto. Per sempre”.
Dopo l’omelia, la preghiera universale, alla quale è stata aggiunta quest’anno un’intenzione speciale per chi sta soffrendo a causa della guerra:
XI. Per quanti soffrono a causa della guerra
Preghiamo per quanti soffrono a causa della guerra, per le vittime, per i profughi, per gli orfani.
Il Signore Dio nostro asciughi le lacrime,
doni speranza e affretti un’era di pace per tutti i popoli.
Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:
Dio onnipotente ed eterno,
che liberi il tuo popolo dall’oppressione dei superbi,
allontana al più presto dall’umanità gli orrori della guerra,
dona al mondo la pace,
perché tutti possano cantare la tua salvezza.
Per Cristo nostro Signore.
Infine, la solenne adorazione della Croce.
Servizio fotografico a cura di “Fotofilm Treviso”
“E’ dal 6 ottobre 2019 che non siamo così numerosi, con tutto il presbiterio riunito nella cattedrale della nostra diocesi. Non pensavo potesse essere così commovente”: con queste parole il vescovo Michele Tomasi questa mattina ha salutato i presenti alla Messa del Crisma nel Giovedì santo. Dopo le restrizioni dovute alla pandemia, era la prima volta, infatti, che tutti i sacerdoti diocesani, i religiosi e i sacerdoti di altri Paesi che prestano servizio nelle nostre comunità si ritrovavano insieme, a concelebrare in questa importante occasione, che li ha visti rinnovare le loro promesse sacerdotali. Una celebrazione nella quale il Vescovo ha consacrato l’olio chiamato “crisma” e benedetto l’olio dei catecumeni e degli infermi.
Prima dell’inizio della messa la colletta che viene fatta, da tradizione: una raccolta straordinaria da destinare a situazioni di particolare necessità. In considerazione della situazione di emergenza della popolazione ucraina martoriata dalla guerra, il vescovo Michele ha disposto di sostenere questa finalità. Quanto raccolto verrà destinato a Caritas Italiana, che lo inoltrerà alla Caritas presente in Ucraina.
Il Vescovo all’inizio della celebrazione ha ringraziato per la loro presenza i vescovi emeriti di Treviso, Paolo Magnani e Gianfranco Agostino Gardin, mons. Alberto Bottari De Castello (già arcivescovo titolare di Oderzo e Nunzio apostolico emerito in Ungheria) e mons. Cesare Bonivento (Pime, già vescovo di Vanimo, in Papua Nuova Guinea).
Il saluto del Vescovo, oltre ai confratelli presbiteri, ai religiosi e alle religiose, è andato a tutti i fratelli e le sorelle in Cristo, in particolare ai membri del Consiglio pastorale diocesano, che è stato invitato in modo particolare. “Siamo, insieme, la Chiesa di Dio riunita, siamo popolo di Dio in cammino”. Mons. Tomasi ha rivolto un saluto anche ai sacerdoti, religiosi e laici “fidei donum” in missione, ai sacerdoti ammalati, a quelli della Casa del clero e, tra loro, a mons. Angelo Daniel, vescovo emerito di Chioggia, e a tutti coloro che seguivano la celebrazione in diretta streaming da casa: “Celebriamo insieme questa Eucaristia, grati al Signore per il dono che Lui ci fa di essere suoi discepoli”.
L’omelia di mons. Tomasi ha avuto al centro il tema del “miracolo dell’olio”. Il Vescovo ha invitato ciascuno a “custodire, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio. Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi. Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo. Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio. L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude”.
Ecco l’omelia integrale del Vescovo:
Messa del Crisma – Cattedrale di Treviso – 14 aprile 2022
«Il miracolo dell’olio»
“Il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1; Lc 4, 18).
Il Messia, il Cristo, è l’Unto dal Signore. Il segno di investitura a guida e servitore del suo popolo è l’unzione con l’olio, elemento centrale, assieme al frumento e al vino, nelle culture mediterranee.
L’olio fresco, appena spremuto, profumato, è «olio di letizia»: assieme ad una coppa traboccante di vino che rinfranca, l’olio versato profuma il capo nel gesto dell’ospitalità e dell’accoglienza.
Se il vino «allieta il cuore dell’uomo» e il pane «sostiene il suo cuore», l’olio ne fa «brillare il volto» (Sal 104, 15), ne fa risaltare la bellezza e l’armonia, ne fa risplendere la profonda dignità. L’olio penetra di sé il corpo che unge, gli dà stabilità di profumo nel tempo, ne conserva il vigore, dona una grazia che permane: l’unzione del Santo, che costituisce i fedeli come creature nuove, rimane in loro, come attesta l’apostolo Giovanni (1Gv 2,27).
Il Signore Gesù ci convoca qui, oggi: siamo la sua Chiesa in cammino in questa nostra storia, e ci associa alla sua unzione, ci unisce tutti nella sua missione di salvezza. Il legame tra noi, tra tutti membri della Chiesa, ci viene donato anche da quest’olio, olio di letizia e di esultanza, segno di gioia, profumo di vita buona. Proviamo a gustare il profumo intenso dell’olio dell’oliva – quello degli infermi e quello dei catecumeni – e gustiamo anche il profumo intenso e forte del crisma, nardo, bergamotto e altri aromi preziosi. Il vincolo che ci lega gli uni agli altri è intenso, aromatico, prezioso, buono e bello come lo sono questi profumi, penetra in noi come lo fa l’olio che ci unge, rimane costitutivo come il segno che lascia in noi il frutto dell’ulivo. Gli olii su cui invocherò ora la benedizione del Signore sono il fondamento su cui si basa ogni legame tra noi, e ce ne insegna la natura e il significato: un dono di grazia che profuma e dà bellezza, che alimenta la nostra vita e che le dà gioia e splendore.
Ci lega la bellezza e la bontà di Dio e non un fato inesorabile, o un dovere contrario alla nostra felicità.
Questi olii sono segno vivo e massimo della sinodalità della Chiesa e della sua splendida e multiforme sacramentalità.
In tutte le sue forme la vita della Chiesa è autenticamente raccolta in questo segno che è davvero olio di letizia, anche nella difficoltà, anche nella prova, di cui non nasconde la forza talvolta travolgente. Non sminuisce la domanda che sorge spontanea nel momento della prova: può davvero esistere un Dio che sia buono e che permetta tutto il male, tutta la sofferenza?
Non ci sono facili risposte o soluzioni buone per ogni situazione. Eppure in ogni situazione chi si affida a Lui non dispera mai che sia donata una fonte di bene che lo Spirito Santo – la Vita di Dio – fa sgorgare e irrompere nella storia, proprio nella forma della consacrazione, dall’unzione.
È olio che ci unisce tutti a Dio, e in lui tra noi.
Al centro e al fondo della vita di tutta la Chiesa vi è quest’olio, quest’unzione: dono sovrabbondante, gratuito, che sta al di là di ogni utile, ma ciò nonostante – o forse proprio per questo – resta radicalmente necessario.
È questo che impregna di Spirito i Sacramenti, un legame di benedizione, di fecondità, di cura, di letizia, di gioia, di pace.
Siamo profumati della gioia che prova Dio nel crearci e nel trovarci amati davanti a sé, accolti e abbracciati dal suo amore. Lieto, leggero, creatore.
Siamo innestati – rami di olivo selvatico – nell’olivo buono che è Cristo (Rm 11), e siamo consacrati re, sacerdoti e profeti in Lui, mediante il battesimo. Siamo segnati dal sigillo dello Spirito Santo che ci è dato in dono e conformati sempre più a lui nella Cresima, per portare la sua Parola e la sua vita in tutte le situazioni della vita.
Cari fratelli nel presbiterato, le nostre mani sono state unte dal crisma il giorno dell’ordinazione presbiterale, con l’invocazione di poter essere «custoditi» dall’Unto del Padre “per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”. Continuiamo, con l’aiuto di Dio, a confermarci nella fattiva disponibilità a questo ministero.
E voi, carissimi fratelli nell’episcopato, ricordate sicuramente il dono di gioia, l’abbraccio tenero e forte dello Spirito quando l’olio del crisma è stato versato sul nostro capo, il giorno dell’ordinazione episcopale:
“È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste” (Sal 133,2).
E gli olii in questa celebrazione vengono portati solennemente all’altare dai diaconi, conformati sacramentalmente a Cristo (all’unto) servo: servitori, con Lui, della gioia e del profumo della festa, collaboratori della spirituale materialità della vita sacramentale della Chiesa.
E ancora, ogni vita di consacrazione a Dio e ai fratelli diventa – ogni qual volta riesce ad abbandonarsi al suo amore – un profumo di speranza e di consolazione che si spande nelle pieghe concrete della vita, negli snodi fondamentali della storia.
Anche gli altari sono unti dal crisma, perché possano essere “segno visibile del mistero di Cristo e della Chiesa”, in un continuo richiamo e dialogo tra la comunità dei cristiani nel mondo e la casa che ospita la comunità e la sua liturgia di lode.
Siamo tutti intessuti in un’unica multiforme trama di bene, nel segno comune dell’olio, il frutto dell’ulivo, pianta tenace che dona il «miracolo dell’olio”.
Olio che a tutti, come ai catecumeni, dona di “comprendere più profondamente il Vangelo di Cristo; […] di assumere con generosità gli impegni della vita cristiana; […] di gustare la gioia di rinascere e vivere nella Chiesa”.
Olio che a tutti, come agli infermi, doni “conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e liberi da ogni malattia, angoscia e dolore”, olio che il buon samaritano versa sulle ferite dell’uomo ferito, sul ciglio della strada, olio che deve ancora venire per tanti feriti e colpiti dalla storia e dalla malvagità dell’uomo, per i quali
“Dalla pianta dei piedi alla testa
non c’è nulla di sano,
ma ferite e lividure
e piaghe aperte,
che non sono state ripulite né fasciate
né curate con olio (Is 1,6).
Ecco il «miracolo dell’olio» che tutti ci unisce a Cristo e tra di noi, che ci sostiene sul cammino, che ci dona un profumo che allieta gli stanchi e gli sfiduciati, che fa di noi messaggeri della lieta novella e che ci invia a “portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2).
È “il miracolo della vita che riemerge contro ogni speranza, il miracolo dell’unzione assorbita ed espressa nella compassione” (Jean-Pierre Sonnet).
Il «miracolo dell’olio» è anche la condivisione che continua al di là di ogni esclusiva di proprietà privata ma si fa responsabilità per il bene comune. Così infatti la legge per Israele:
“«Quando scuoterai i tuoi olivi, non tornerai a fare la raccolta; ciò che resta sarà per l’emigrante, l’orfano e la vedova […]. Ricorderai che nel paese d’Egitto eri schiavo; perciò ti ordino di mettere in pratica questa parola» (Dt 24,20.22). Il miracolo, quindi, è anche quello di una cultura sociale attenta alla destinazione più ampia possibile dei frutti della terra. Una società dignitosa è una società che protegge il diritto dei più poveri non soltanto a essere nutriti, ma anche a contribuire al loro cibo: è questa la dignità dello spigolare” (Jean-Pierre Sonnet).
Custodiamo, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio.
Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi.
Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo.
Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio.
L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude.
In allegato il libretto della celebrazione
“E’ dal 6 ottobre 2019 che non siamo così numerosi, con tutto il presbiterio riunito nella cattedrale della nostra diocesi. Non pensavo potesse essere così commovente”: con queste parole il vescovo Michele Tomasi questa mattina ha salutato i presenti alla Messa del Crisma nel Giovedì santo. Dopo le restrizioni dovute alla pandemia, era la prima volta, infatti, che tutti i sacerdoti diocesani, i religiosi e i sacerdoti di altri Paesi che prestano servizio nelle nostre comunità si ritrovavano insieme, a concelebrare in questa importante occasione, che li ha visti rinnovare le loro promesse sacerdotali. Una celebrazione nella quale il Vescovo ha consacrato l’olio chiamato “crisma” e benedetto l’olio dei catecumeni e degli infermi.
Prima dell’inizio della messa la colletta che viene fatta, da tradizione: una raccolta straordinaria da destinare a situazioni di particolare necessità. In considerazione della situazione di emergenza della popolazione ucraina martoriata dalla guerra, il vescovo Michele ha disposto di sostenere questa finalità. Quanto raccolto verrà destinato a Caritas Italiana, che lo inoltrerà alla Caritas presente in Ucraina.
Il Vescovo all’inizio della celebrazione ha ringraziato per la loro presenza i vescovi emeriti di Treviso, Paolo Magnani e Gianfranco Agostino Gardin, mons. Alberto Bottari De Castello (già arcivescovo titolare di Oderzo e Nunzio apostolico emerito in Ungheria) e mons. Cesare Bonivento (Pime, già vescovo di Vanimo, in Papua Nuova Guinea).
Il saluto del Vescovo, oltre ai confratelli presbiteri, ai religiosi e alle religiose, è andato a tutti i fratelli e le sorelle in Cristo, in particolare ai membri del Consiglio pastorale diocesano, che è stato invitato in modo particolare. “Siamo, insieme, la Chiesa di Dio riunita, siamo popolo di Dio in cammino”. Mons. Tomasi ha rivolto un saluto anche ai sacerdoti, religiosi e laici “fidei donum” in missione, ai sacerdoti ammalati, a quelli della Casa del clero e, tra loro, a mons. Angelo Daniel, vescovo emerito di Chioggia, e a tutti coloro che seguivano la celebrazione in diretta streaming da casa: “Celebriamo insieme questa Eucaristia, grati al Signore per il dono che Lui ci fa di essere suoi discepoli”.
L’omelia di mons. Tomasi ha avuto al centro il tema del “miracolo dell’olio”. Il Vescovo ha invitato ciascuno a “custodire, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio. Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi. Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo. Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio. L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude”.
Ecco l’omelia integrale del Vescovo:
Messa del Crisma – Cattedrale di Treviso – 14 aprile 2022
«Il miracolo dell’olio»
“Il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1; Lc 4, 18).
Il Messia, il Cristo, è l’Unto dal Signore. Il segno di investitura a guida e servitore del suo popolo è l’unzione con l’olio, elemento centrale, assieme al frumento e al vino, nelle culture mediterranee.
L’olio fresco, appena spremuto, profumato, è «olio di letizia»: assieme ad una coppa traboccante di vino che rinfranca, l’olio versato profuma il capo nel gesto dell’ospitalità e dell’accoglienza.
Se il vino «allieta il cuore dell’uomo» e il pane «sostiene il suo cuore», l’olio ne fa «brillare il volto» (Sal 104, 15), ne fa risaltare la bellezza e l’armonia, ne fa risplendere la profonda dignità. L’olio penetra di sé il corpo che unge, gli dà stabilità di profumo nel tempo, ne conserva il vigore, dona una grazia che permane: l’unzione del Santo, che costituisce i fedeli come creature nuove, rimane in loro, come attesta l’apostolo Giovanni (1Gv 2,27).
Il Signore Gesù ci convoca qui, oggi: siamo la sua Chiesa in cammino in questa nostra storia, e ci associa alla sua unzione, ci unisce tutti nella sua missione di salvezza. Il legame tra noi, tra tutti membri della Chiesa, ci viene donato anche da quest’olio, olio di letizia e di esultanza, segno di gioia, profumo di vita buona. Proviamo a gustare il profumo intenso dell’olio dell’oliva – quello degli infermi e quello dei catecumeni – e gustiamo anche il profumo intenso e forte del crisma, nardo, bergamotto e altri aromi preziosi. Il vincolo che ci lega gli uni agli altri è intenso, aromatico, prezioso, buono e bello come lo sono questi profumi, penetra in noi come lo fa l’olio che ci unge, rimane costitutivo come il segno che lascia in noi il frutto dell’ulivo. Gli olii su cui invocherò ora la benedizione del Signore sono il fondamento su cui si basa ogni legame tra noi, e ce ne insegna la natura e il significato: un dono di grazia che profuma e dà bellezza, che alimenta la nostra vita e che le dà gioia e splendore.
Ci lega la bellezza e la bontà di Dio e non un fato inesorabile, o un dovere contrario alla nostra felicità.
Questi olii sono segno vivo e massimo della sinodalità della Chiesa e della sua splendida e multiforme sacramentalità.
In tutte le sue forme la vita della Chiesa è autenticamente raccolta in questo segno che è davvero olio di letizia, anche nella difficoltà, anche nella prova, di cui non nasconde la forza talvolta travolgente. Non sminuisce la domanda che sorge spontanea nel momento della prova: può davvero esistere un Dio che sia buono e che permetta tutto il male, tutta la sofferenza?
Non ci sono facili risposte o soluzioni buone per ogni situazione. Eppure in ogni situazione chi si affida a Lui non dispera mai che sia donata una fonte di bene che lo Spirito Santo – la Vita di Dio – fa sgorgare e irrompere nella storia, proprio nella forma della consacrazione, dall’unzione.
È olio che ci unisce tutti a Dio, e in lui tra noi.
Al centro e al fondo della vita di tutta la Chiesa vi è quest’olio, quest’unzione: dono sovrabbondante, gratuito, che sta al di là di ogni utile, ma ciò nonostante – o forse proprio per questo – resta radicalmente necessario.
È questo che impregna di Spirito i Sacramenti, un legame di benedizione, di fecondità, di cura, di letizia, di gioia, di pace.
Siamo profumati della gioia che prova Dio nel crearci e nel trovarci amati davanti a sé, accolti e abbracciati dal suo amore. Lieto, leggero, creatore.
Siamo innestati – rami di olivo selvatico – nell’olivo buono che è Cristo (Rm 11), e siamo consacrati re, sacerdoti e profeti in Lui, mediante il battesimo. Siamo segnati dal sigillo dello Spirito Santo che ci è dato in dono e conformati sempre più a lui nella Cresima, per portare la sua Parola e la sua vita in tutte le situazioni della vita.
Cari fratelli nel presbiterato, le nostre mani sono state unte dal crisma il giorno dell’ordinazione presbiterale, con l’invocazione di poter essere «custoditi» dall’Unto del Padre “per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”. Continuiamo, con l’aiuto di Dio, a confermarci nella fattiva disponibilità a questo ministero.
E voi, carissimi fratelli nell’episcopato, ricordate sicuramente il dono di gioia, l’abbraccio tenero e forte dello Spirito quando l’olio del crisma è stato versato sul nostro capo, il giorno dell’ordinazione episcopale:
“È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste” (Sal 133,2).
E gli olii in questa celebrazione vengono portati solennemente all’altare dai diaconi, conformati sacramentalmente a Cristo (all’unto) servo: servitori, con Lui, della gioia e del profumo della festa, collaboratori della spirituale materialità della vita sacramentale della Chiesa.
E ancora, ogni vita di consacrazione a Dio e ai fratelli diventa – ogni qual volta riesce ad abbandonarsi al suo amore – un profumo di speranza e di consolazione che si spande nelle pieghe concrete della vita, negli snodi fondamentali della storia.
Anche gli altari sono unti dal crisma, perché possano essere “segno visibile del mistero di Cristo e della Chiesa”, in un continuo richiamo e dialogo tra la comunità dei cristiani nel mondo e la casa che ospita la comunità e la sua liturgia di lode.
Siamo tutti intessuti in un’unica multiforme trama di bene, nel segno comune dell’olio, il frutto dell’ulivo, pianta tenace che dona il «miracolo dell’olio”.
Olio che a tutti, come ai catecumeni, dona di “comprendere più profondamente il Vangelo di Cristo; […] di assumere con generosità gli impegni della vita cristiana; […] di gustare la gioia di rinascere e vivere nella Chiesa”.
Olio che a tutti, come agli infermi, doni “conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e liberi da ogni malattia, angoscia e dolore”, olio che il buon samaritano versa sulle ferite dell’uomo ferito, sul ciglio della strada, olio che deve ancora venire per tanti feriti e colpiti dalla storia e dalla malvagità dell’uomo, per i quali
“Dalla pianta dei piedi alla testa
non c’è nulla di sano,
ma ferite e lividure
e piaghe aperte,
che non sono state ripulite né fasciate
né curate con olio (Is 1,6).
Ecco il «miracolo dell’olio» che tutti ci unisce a Cristo e tra di noi, che ci sostiene sul cammino, che ci dona un profumo che allieta gli stanchi e gli sfiduciati, che fa di noi messaggeri della lieta novella e che ci invia a “portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2).
È “il miracolo della vita che riemerge contro ogni speranza, il miracolo dell’unzione assorbita ed espressa nella compassione” (Jean-Pierre Sonnet).
Il «miracolo dell’olio» è anche la condivisione che continua al di là di ogni esclusiva di proprietà privata ma si fa responsabilità per il bene comune. Così infatti la legge per Israele:
“«Quando scuoterai i tuoi olivi, non tornerai a fare la raccolta; ciò che resta sarà per l’emigrante, l’orfano e la vedova […]. Ricorderai che nel paese d’Egitto eri schiavo; perciò ti ordino di mettere in pratica questa parola» (Dt 24,20.22). Il miracolo, quindi, è anche quello di una cultura sociale attenta alla destinazione più ampia possibile dei frutti della terra. Una società dignitosa è una società che protegge il diritto dei più poveri non soltanto a essere nutriti, ma anche a contribuire al loro cibo: è questa la dignità dello spigolare” (Jean-Pierre Sonnet).
Custodiamo, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio.
Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi.
Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo.
Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio.
L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude.
In allegato il libretto della celebrazione