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Lettori e accoliti, sul modello di Giuseppe. Il 19 marzo in chiesa Immacolata anche il rito di ammissione

Era proprio bella la chiesa Immacolata del Seminario nella festa di San Giuseppe, gremita di persone di ogni età: adulti, anziani, coppie con figli in passeggino e davvero molti giovani. Erano famigliari, amici, parrocchiani dei quattro giovani, studenti del nostro Seminario, che mons. Tomasi ha istituito accoliti e lettori durante la celebrazione eucaristica.
Ma in tanti si erano raccolti già mezz’ora prima, per pregare insieme i Vespri, durante i quali c’è stato il rito di ammissione tra i candidati all’Ordine sacro di Sebastiano Schiavon, anch’egli seminarista, originario della parrocchia di San Biagio di Callalta. Un primo passo, all’interno di un cammino di formazione e discernimento, quello di Sebastiano, “una disponibilità che la Chiesa accoglie e che, se diventerà risposta alla chiamata del Signore, sarà un dono grande a Lui e alla Chiesa”, ha detto il Vescovo, che gli ha affidato due delle caratteristiche di san Giuseppe che vengono cantate nell’inno “Patris corde”, ispirato alla Lettera apostolica di papa Francesco: “parola silenziosa e illuminante”, e poi “speranza creativa, Padre dal coraggio vivo”. “Di Giuseppe non ci sono state tramandate parole, ma la sua vita è stata una piena realizzazione della Parola di Dio – ha ricordato mons. Tomasi -, nella fedeltà e nella capacità di custodire il sogno. Una Parola che illumina, che apre spazi di libertà e bellezza. Abbiamo anche bisogno della speranza, che è la fede nel Signore che illumina possibilità di futuro, e di una speranza creativa che insegua i sogni, oltre che di un coraggio che è capacità di affrontare la vita da adulto, perché – ha concluso rivolto a Sebastiano – il Signore si fida di te. E San Giuseppe ci viene dato come meta: conviene puntare in alto!”.
Numerosi, durante la messa con l’istituzione dei ministeri di lettore e accolito, i sacerdoti concelebranti insieme al Vescovo: dai responsabili ed educatori del Seminario ai giovani preti che fino a pochi anni fa hanno camminato insieme ai quattro giovani, ai parroci delle parrocchie di origine e di servizio. Riccardo Perizzolo, di Castelcucco e Claudio Pistolato, di Cappella di Scorzè, sono stati istituiti lettori, mentre Maurizio Castellan, di Onigo, e Francesco Tesser, di Marcon, sono stati istituiti accoliti. Giovani già in cammino verso il presbiterato. I ministeri conferiti, però, non rappresentano tanto due tappe, ma due momenti significativi in sé, ha spiegato mons. Tomasi nell’omelia, perché questi rimangono, segno della fedeltà a un modo di Dio di essere presente nella storia, che è eterna, non a tempo.
Ai nuovi lettori il Vescovo ha ricordato che porteranno la Scrittura nella loro vita e aiuteranno la comunità dei fedeli ad amarla, “ma voi stessi accettate di farvi portare e abbracciare dalla Parola di Dio”. Una Parola che diventa carne in Gesù Cristo, che ci viene presentato nei suoi sacramenti, in particolare nell’Eucaristia: “Vi avvicinate a questo servizio – ha detto il Vescovo, rivolto ai neo accoliti -, a preparare la mensa e a portare Gesù Eucaristia alle persone, anche ai malati e agli anziani. Siamo Chiesa perché nasciamo dall’altare, dalla Parola e dall’Eucaristia. Crediamo che il Signore risorto cammina con noi, che è Parola e cibo per noi, fondamento di gioia e coraggio”.
Per tutti, al termine, un momento di festa nel chiostro del Seminario, preparato dalla comunità del Seminario e dai volontari.

Servizio fotografico di Gianmarco Mason

L’impegno per la pace che nasce… dalla testa, dal cuore e dalle mani di ciascuno

Un migliaio le persone, con una punta di 1.400 nel tratto finale, che hanno scelto di partecipare, domenica pomeriggio, 4 febbraio, alla Marcia per la pace promossa dalla diocesi di Treviso, che si è snodata dal sagrato della chiesa di Oné di Fonte fino al palazzetto dello sport di Casoni di Mussolente, dove il vescovo Michele Tomasi alle 18.30 ha celebrato la messa. Una pace non astratta, quella invocata e raccontata lungo il percorso di quasi 8 chilometri: “La pace che si pensa, si sente, si fa”, lo slogan che ha accompagnato il cammino, con le parole di papa Francesco e le testimonianze di alcune persone nelle diverse tappe.

Promossa dalla diocesi di Treviso, la marcia ha avuto il patrocinio dei Comuni di Fonte, San Zenone degli Ezzelini e Mussolente, i territori attraversati dal percorso, i cui sindaci hanno marciato insieme e hanno portato il loro saluto. Hanno preso parte alla marcia anche mons. Claudio Dalla Zuanna, arcivescovo di Beira, in Mozambico, i sindaci dei territori coinvolti e alcuni rappresentati di “Assisi Città della pace”.

Il vescovo Tomasi alla partenza da Oné di Fonte ha ringraziato tutti i presenti ricordando che “siamo insieme in cammino per dire che vogliamo impegnarci per la pace, che siamo disposti a portare in questo servizio la nostra intelligenza “naturale”, umana, che tiene insieme testa, cuore e mani. Siamo disposti a muoverci per essere persone di pace con gli strumenti che il Signore ci dona. Lui ha donato la sua vita, proviamo anche noi a donarci gli uni gli altri. Insieme è più facile”. Un percorso agevolato, lungo strade, viottoli e piazze, da una bella presenza di volontari (quasi 200) e di Forze dell’ordine.

“In questo itinerario abbiamo messo a tema le tre intelligenze: della mente, del cuore e delle mani. Prendendo spunto dal messaggio di papa Francesco, ci siamo chiesti in che modo la pace si deve pensare, si deve sentire e si deve fare – spiega don Paolo Magoga, direttore dell’ufficio diocesano di Pastorale sociale e del lavoro -. Abbiamo riflettuto sull’importanza delle nuove tecnologie (come fa il Papa nel suo Messaggio per la pace di quest’anno, dedicato all’Intelligenza artificiale), che però non possono dettare le regole del gioco della vita personale e comunitaria. Abbiamo dato spazio, attraverso alcune testimonianze, a diverse voci di chi lavora con la tecnologia e ce ne ha illustrato l’utilità e il vantaggio, ma anche i rischi, e abbiamo ascoltato persone, in particolare dei giovani, che ci hanno ricordato anche che realtà come il Creato, i poveri, le persone vittime della guerra ci possono aprire ad altre intelligenze, quelle che spalancano il cuore”.

A intervenire nelle varie tappe, accompagnati dai canti dei gruppi locali, sono stati Giuliano Volpato, presidente della Società Cooperativa ELKA, specializzata nella produzione e nella progettazione di schede elettroniche, che ha parlato di “intelligenza artificiale”, Sergio e Anastasia (Volontari della “Associazione incontri con la natura don Paolo Chiavacci”), che hanno raccontato i progetti di salvaguardia e valorizzazione del Creato; una signora ucraina ha raccontato il dramma della guerra nel suo Paese; gli scout del Clan Arcobaleno di Mussolente, che hanno raccontato la loro esperienza estiva di un campo di servizio in Albania, accanto alle religiose Discepole del Vangelo che vivono a Bilisht, a pochi chilometri dal confine con la Grecia: incontri con le famiglie, servizio ai poveri, animazione per i bambini sono tra le attività vissute dai giovani; e poi la testimonianza del Gruppo 1° settembre, che ha raccontato la storia della “Luce di Betlemme”, che anche lo scorso dicembre, nonostante il conflitto in atto in Terra santa, è arrivata in Europa e nel resto del mondo, in una staffetta e condivisione molto importanti, per dire che la pace è un valore senza tempo e senza confini, ma soprattutto che inizia da ciascuno di noi.

La conclusione a Casoni di Mussolente, per la messa al palazzetto dello sport, presieduta dal Vescovo e concelebrata da mons. Dalla Zuanna e da altri undici sacerdoti: 850 le persone presenti, tra cui sette sindaci. La messa è stata animata da rappresentanti di una decina di corali diverse delle varie parrocchie della zona. Presente anche un gruppo di persone sorde che hanno seguito la celebrazione grazie all’interprete.

“Come fa con la suocera di Pietro, il Signore ci prende per mano e ci fa alzare, ci fa tornare alla pienezza della nostra esistenza, ci riporta alla vita, alla relazione, al servizio degli altri” ha detto nell’omelia il vescovo Michele, che ha confessato la propria gioia per la presenza di molti giovani e bambini. “La nostra preghiera per la pace trasforma la vita, fa vincere il bene e potrà donare al mondo la pace” ha aggiunto. Anche il vescovo di Beira (Mozambico), Claudio Dalla Zuanna ha salutato i presenti e, dopo aver condiviso alcune riflessioni sulla situazione del Paese africano, ha invitato tutti a esercitare il proprio impegno e ruolo per essere costruttori di pace.

Lungo il percorso, a ciascun partecipante, sono stati consegnati tre nastri di colore diverso: azzurro, che rappresenta l’intelligenza della mente, rosso, l’intelligenza del cuore, oro, che l’intelligenza delle mani. Al termine della messa sono stati intrecciati a formare un portachiavi. “Abbiamo pensato a questo simbolo – spiegano gli organizzatori – per dire che ci può essere pace solo nell’intreccio delle tre dimensioni che ci rendono umani e ci permettono di costruire, vivere e portare la pace nel mondo. Inoltre, l’intreccio dei tre nastri non è possibile realizzarlo da soli, bisogna essere in due: la pace è possibile solo unendo le nostre forze”.

 

Don Giuseppe Geremia è tornato alla Casa del Padre, i funerali a Salgareda

"Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra: conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei suoi santi"

Don Giuseppe Geremia di anni 89, sacerdote da 64 anni, già Arciprete di Salgareda per 31 anni ha concluso serenamente la sua giornata terrena domenica 11 giugno, “Corpus Domini”, presso la Fondazione di Culto e di Religione Casa della Clero.

Le esequie, presieduti dal vescovo, mons. Michele Tomasi, saranno celebrate mercoledì 14 giugno 2023 alle ore 15.30 presso la chiesa parrocchiale di Salgareda.

Vescovi Nordest: cura dei preti in difficoltà, fine vita, accoglienza ai migranti, convegno triveneto sulla liturgia e Gmg tra i temi trattati

Attenzione e cura verso i preti in difficoltà, le questioni del fine vita e dell’accoglienza dei migranti, il prossimo convegno delle Chiese del Triveneto sulla liturgia, la Giornata Mondiale della Gioventù in programma a Lisbona durante l’estate: sono stati molti e importanti i temi affrontati dai Vescovi del Nordest nella riunione odierna svoltasi nella sede di Zelarino (Venezia).

Nella prima parte dell’incontro si è svolto un dialogo ed un confronto tra i Vescovi su luoghi, percorsi e modalità di accompagnamento per affrontare le differenti situazioni di fatica e difficoltà che possono toccare i sacerdoti durante il loro ministero.

I Vescovi hanno, quindi, dedicato una parte dei lavori alle questioni del fine vita, anche alla luce del dibattito di carattere legislativo in corso sia a livello regionale che nazionale, riproponendosi di continuare a seguire da vicino il tema e confermando, innanzitutto, la vicinanza e la solidarietà concreta da offrire a persone e famiglie in ogni fase della vita, anche e soprattutto nei passaggi più travagliati e dolorosi. Nessuno, infatti, va mai lasciato solo, ma va sempre accompagnato e sostenuto, in particolare attraverso il maggiore ricorso alle cure palliative, oggi sempre più efficaci e fruibili, ed anche potenziando il sistema di strutture che le possono garantire. Nello stesso tempo si ribadisce il no ad ogni forma di accanimento o abbandono terapeutico. Importante, su tali temi, è creare e consolidare un terreno comune di sensibilità e attenzione al bene e alla vita per favorire l’aiuto, l’accompagnamento e il sostegno in ogni situazione e senza dover cedere – anche per via di legge – a differenti forme di eutanasia o suicidio assistito.

I Vescovi si sono, poi, confrontati e aggiornati riguardo l’accoglienza dei migranti, in riferimento alle ultime richieste pervenute in queste settimane da molte Prefetture di mettere a disposizione strutture a tale scopo. Sul campo dell’accoglienza – fenomeno ormai consolidato e non più da trattare solo a livello di emergenza – è stato soprattutto ribadito l’impegno concreto e la disponibilità che, da tempo, le Chiese di questa Regione mettono in campo su diversi fronti (dalla rotta balcanica ai profughi dell’Ucraina e alle vecchie e nuove povertà locali) e che intendono riconfermare nell’ottica di un’accoglienza diffusa, rispettosa della dignità di chi viene accolto e delle comunità locali, sempre in accordo e con il coinvolgimento di istituzioni civili, pubbliche amministrazioni ed altre realtà dei territori interessati.

Nella sessione pomeridiana della riunione sono stati, inoltre, affrontati gli appuntamenti del prossimo Convegno delle Chiese del Triveneto sulla liturgia – sul tema “Ritrovare forza dall’Eucaristia” e che si svolgerà in due momenti: il primo “diocesano” il 20 maggio p.v. in varie sedi ed il secondo “regionale” il 30 settembre a Verona con tutti i delegati e i Vescovi del Nordest – ed infine il percorso di preparazione dei giovani del Triveneto verso la Giornata Mondiale della Gioventù (Lisbona, 1-6 agosto 2023) e che prevede tra l’altro un incontro comune a Padova il 17 giugno p.v. a cui saranno invitati, insieme ai Vescovi, gli oltre 6.000 giovani che dalle nostre regioni si recheranno in Portogallo.

Un’esperienza di bellezza gli incontri di “Chiese aperte per Dante”. A San Francesco il commento spirituale del Vescovo al canto XI del Paradiso

Una “esperienza di bellezza”: questo è stato domenica sera, 26 settembre, l’appuntamento con la cultura e la spiritualità nella Chiesa di San Francesco, a Treviso. Una serata dedicata a Dante Alighieri e a San Francesco d’Assisi, promossa nell’ambito di “Chiese aperte per Dante” a 700 anni dalla norte del grande poeta. Il giorno prima, sabato, c’è stato il successo delle letture dantesche tra musica (grazie al Conservatorio “Steffani” di Castelfranco Veneto) e arte a cura dei volontari di “Chiese aperte – Treviso”, che si sono svolte in cinque tra le più belle chiese cittadine, con la partecipazione di una cinquantina di persone ad ogni appuntamento. La domenica, poi, la lettura del “canto di Francesco” tratto dal canto XI del Paradiso. Dopo il saluto di don Paolo Barbisan, direttore dell’ufficio diocesano per i Beni culturali, l’introduzione alla serata dell’attore Davide Stefanato e la lettura del canto curata dall’attore Jgor Barbazza. A punteggiare la serata gli interventi di Kalicantus ensemble diretto dal maestro Stefano Trevisi, che ha illustrato ai presenti il percorso e il significato delle scelte musicali.

Il commento spirituale al canto XI del Paradiso era affidato al vescovo, Michele Tomasi, che non ha nascosto la sua commozione per essere tornato a parlare in pubblico dopo oltre tre mesi dal suo incidente.

Mons. Tomasi ha sottolineato la doppia “identità” di Dante, poeta e teologo, mettendo in luce l’unitarietà dei due aspetti, perché “bellezza e verità, ragione e sentimento, cielo e terra” non dovrebbero essere separati tra loro, perché “le separazioni feriscono il reale, e impediscono di vivere la vita come un cammino”.

Quel cammino – pellegrinaggio dell’esistenza che è il grande tema della Commedia dantesca, come “ricerca di ciò cui aspira il desiderio dell’uomo, ricerca della felicità”.

“Il poeta ci fa volare alto ma non ci rapisce lontano dalla nostra realtà. Egli ci dice, in fondo, che se gli umani non volano alto essi non volano affatto, si impantanano in cose vuote e alla fine sbattono a terra, rovinosamente. Per non “battere in basso l’ali” dobbiamo cercare sempre e comunque la prospettiva, le ragioni, l’evidenza e i sentimenti dell’amore. Quello pieno, definitivo, incondizionato. L’amore di Dio. L’amore che è Dio. L’amore di cui siamo impastati, grazie al quale e in vista del quale noi esistiamo” ha ricordato il Vescovo.

Mons. Tomasi ha tratteggiato la figura del santo di Assisi mettendo in luce la storia d’amore tra Francesco e Madonna Povertà. Povertà che è uno stile di vita per Francesco, a imitazione di Cristo. “Nei secoli intercorsi tra i due non si presentò nessuno che volesse in sposa la povertà. Nessuno riuscì ad imitare pienamente Cristo”. Un romanzo d’amore, quello di Francesco con la povertà, vissuto per amore del Signore, una vita che diventa attraente per altri, i suoi frati prima di tutto, in una corsa a imitare Francesco: “Nel bene possiamo gareggiare e vincere tutti, vincere insieme” ha ricordato il Vescovo.

Nella povertà Francesco dimostra la sua regalità. “Ecco il paradosso grande della legge della croce, il contenuto più profondo della sua «imitazione di Cristo» – ha ricordato mons. Tomasi – fino a ricevere le stimmate, i segni “crudi e gloriosi” della passione di Cristo. “Giunto ormai al cospetto di “sora nostra morte corporale” Francesco può, lui assolutamente povero, lasciare ai suoi l’eredità più ricca, Madonna povertà. Ancora una volta il paradosso della croce, il paradosso dell’amore”.

“Dante ha visto anche questo in San Francesco – ha concluso il Vescovo -, anche questo egli ha donato all’umanità con la sua penetrazione psicologica, il suo sguardo di fede, la sua poesia. E questo egli rilancia e consegna alla nostra vita, alla relazione con tutte le creature, ad ogni momento della nostra esistenza”.

Il commento spirituale del Vescovo al canto XI del Paradiso

 

 

 

 

 

“Nella sinodalità del cammino la gioia di annunciare e vivere il Vangelo in questo nostro mondo”

Oltre 1.500 persone si sono ritrovate lunedì 14 ottobre insieme al vescovo Tomasi per l’apertura del nuovo anno pastorale diocesano. Il Vescovo ha invitato a vivere alcune particolari virtù, in una sinodalità che ci coinvolge tutti come “santo popolo di Dio in cammino”.

“Il Cammino Sinodale ha messo in moto molti processi – ha ricordato mons. Tomasi – ha coinvolto molte persone, e questo sta portando frutti”. Un coinvolgimento, hanno annunciato il Vescovo e mons. Salviato,
che si allargherà ulteriormente, nelle Collaborazioni e nelle parrocchie, a tutti gli operatori pastorali.

Pubblichiamo l’intervento del Vescovo:

 

agenzia fotofilm treviso apertura anno pastorale a san nicolò

agenzia fotofilm treviso apertura anno pastorale a san nicolò

agenzia fotofilm treviso apertura anno pastorale a san nicolò

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“Questa sera, per questo mio primo intervento in occasione dell’apertura dell’anno pastorale, intendo farmi guidare da un passaggio della seconda lettera di Pietro che abbiamo appena ascoltato. La Parola sia lampada ai nostri passi, luce sul nostro cammino.

Il testo ci dice:

“Per questo mettete ogni impegno per aggiungere

alla vostra fede la virtù,

alla virtù la conoscenza, 

alla conoscenza la temperanza,

alla temperanza la pazienza,

alla pazienza la pietà,

alla pietà l’amore fraterno,

all’amore fraterno la carità.

Questi doni, presenti in voi e fatti crescere, non vi lasceranno inoperosi e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo”. (2 Pietro 5,8)

Partiamo dalla fede, dal nostro affidamento al Signore Gesù, e “rimettiamo ancora una volta a fuoco la persona di Gesù e l’incontro con lui.” (Gianfranco Agostino Gardin, Per una Chiesa in cammino. Lettera pastorale, Treviso, 2018)

 

Il testo prosegue: Per questo mettete ogni impegno (cura) per aggiungere

…alla vostra fede la virtù…

L’etica della – o delle – virtù è una risposta adeguata e credo anche necessaria alle esigenze del nostro tempo; non tanto per costruire sistemi normativi dettagliati che possano permetterci di affrontare ogni situazione con indicazioni chiare e distinte, ma piuttosto per la formazione di persone che siano esse stesse soggetti e principi di vita buona, attori della vita comunitaria – ma anche sociale politica ed economica – capaci di “lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda” (LS, 217). A partire dalla fede, annunciata, trasmessa, celebrata, vissuta, le nostre comunità si manifestano sempre di più come quel “santo popolo fedele di Dio” di cui il Concilio Vaticano II ha tratteggiato gli elementi costitutivi e che papa Francesco mette al centro del suo messaggio e della sua azione. Insieme le persone si mettono in cammino, insieme si prendono cura gli uni degli altri, per accompagnarsi, sostenersi, consolarsi in questo cammino di crescita e di sevizio, alla Chiesa e a tutta la società. Insieme responsabili del bene donato dall’incontro personale e comunitario con il Signore Gesù siamo in cammino per donare a nostra volta il bene che abbiamo ricevuto e che fonda la nostra stessa esistenza.

…alla virtù la conoscenza…

Questo percorso virtuoso rimane però velleitario se non ci attrezziamo a mediare con strumenti conoscitivi semplici ma adeguati tra i contenuti e l’esperienza comunitaria della fede e le situazioni della storia che ci troviamo a vivere, che sono spesso complesse, non di rado contraddittorie, e che sempre richiedono risposte appassionate, sì, ma soprattutto competenti. Il cammino sinodale ha messo in evidenza il metodo ecclesiale del vedere – giudicare – agire: ricordo per la sua sapiente applicazione che più che di un metodo si tratta di un atteggiamento di fondo, le cui dimensioni fondamentali sono l’attenzione ai dati che si presentano alla nostra attenzione, e che dobbiamo essere capaci di cogliere; l’intelligente ricerca dei nessi e delle relazioni possibili tra eventi, spesso così differenti e apparentemente distanti tra loro da renderne difficile la scoperta; il giudizio sulla validità delle ipotesi di spiegazione raggiunte, che possono essere anche molteplici: dobbiamo accettare la fatica di confrontarci sulle differenti soluzioni proposte, per convergere su quelle che più di tutte si dimostrano adeguate a far presa sulla realtà; l’agire responsabile a partire da ciò che abbiamo riconosciuto insieme come valido e vero, adeguato ed opportuno.

…alla conoscenza la temperanza

La sapienza anche solo provvisoriamente raggiunta nel processo di discernimento personale e comunitario passa poi per la temperanza, virtù cardinale che permette di godere dei beni ricevuti, di ogni tipo, sena che questo conduca a un uso smodato delle risorse, ad una relazione di sfruttamento nei confronti delle cose e soprattutto delle persone, ma invece ad una generale sobrietà nelle relazioni che rende significativi e belli tutti i rapporti, feconda la attività pastorale, gioiosa la testimonianza della fede.

…alla temperanza la pazienza

È questo un atteggiamento molto importante: la pazienza! Che è la capacità di stare nelle situazioni, di non rifugiarsi in un altrove che magari si desidera, ma che non esiste, se non in alcune teorie. È anche l’attesa speranzosa, quella che sa vedere pur nelle difficoltà il molto bene seminato e che sta già germogliando, nella logica che nel Signore innalzato sulla croce ci fa guardare in alto, spinti dalla potenza del Risorto glorificato proprio su quella croce. Non rassegnazione dunque, ma accettazione del presente in cui già traspare la forza di novità donata dal Signore Gesù. Il cammino sinodale ha messo in moto processi, ha coinvolto molte persone, sta portando frutto: se accettiamo di non volere tutto subito e continuiamo a coinvolgere sempre più persone in questa conversione pastorale vedremo i frutti giungere a maturazione.

È pazienza che vi chiedo anche nei miei confronti: non sono in grado, lo capite bene, di dare indicazioni programmatiche, di esprimere valutazioni su direzioni certe che il cammino della nostra chiesa dovrebbe intraprendere. Dopo una settimana appena – e che settimana! – sarei stolto a pensare qualcosa del genere.

La sinodalità del nostro cammino di Chiesa è meta e strumento al tempo stesso – questo lo posso però dire – e deve essere punto di non ritorno. Non tanto e non certo per quanto riguarda le strutture sinodali – che continueranno fintantoché saranno aiuto e sostegno per rinnovare le forme della collaborazione ordinaria a tutti i livelli – quanto piuttosto nel camminare insieme come santo popolo fedele di Dio, in un atteggiamento di ascolto, di dialogo, di condivisione, consapevoli che in questo continueranno ad esserci guida i principi che papa Francesco dona alla Chiesa nella Evangelii Gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte (EG, 221-237).

…alla pazienza la pietà…

In questo cammino scopriremo quali forme concrete dovrà assumere proprio la pietà, ovvero il giusto rapporto con Dio e degli uomini e delle donne del nostro tempo tra loro, in “quell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” di cui la Chiesa, secondo la Costituzione Lumen Gentium, è “in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento” (LG, 1). Assumendo il passo gli uni degli altri – pazienti i più veloci, solleciti i più lenti – ci verrà donato di vedere il bene già presente, di desiderare e di compiere il bene possibile ed ancora da realizzare, nell’orizzonte non solo delle singole comunità, ma dell’umanità intera. La pietà è anche fondata sulla compassione, sulla capacità umana di lasciarsi ferire dal destino, dalle sofferenze, dai bisogni di tutti i nostri compagni di viaggio, e di far spazio al grido dei poveri e della terra.

…alla pietà l’amore fraterno…

Sapremo allora aggiungere la dimensione della fraternità, il dono che la paternità universale di Dio ci fa’ di essere e di coglierci come fratelli ed amici e di ricostruire quotidianamente i vincoli che ci uniscono, nella comunità cristiana, a servizio di quell’amicizia civile che il Compendio della dottrina sociale della Chiesa ci consegna come il campo “del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell’altro” (CDSC, 390).

…all’amore fraterno la carità…

E a questo punto scopriremo che all’opera non sono le nostre capacità, i nostri piani, i nostri progetti, che non inseguiamo una costruzione fatta a tavolino, non lo sforzo di persone anche animate da buona volontà e buoni sentimenti, ma l’amore di Dio, l’agape, Dio stesso.

Ricordo in proposito le parole di papa Benedetto, nell’enciclica Deus Caritas est: “«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto».”

La Parola ci ha condotti, dunque dalla fede all’amore, facendoci passare attraverso tutta l’esperienza passata, presente e futura della Chiesa di Dio che è in Treviso. Potremmo fare anche il percorso inverso, dall’amore alla fede, e in mezzo sempre noi. Ciascuno, ciascuno, i singoli, ogni comunità, ogni parrocchia, ogni collaborazione, ogni vicariato; gli ordini religiosi, gli istituti di vita consacrata, le associazioni, i movimenti, tutti siamo racchiusi in questa dinamica di uscita da noi stessi, dalle nostre abitudini e dalle nostre paure, ciascuno con la sua specificità, tutti insieme come popolo in cammino. In cammino, appunto. La sinodalità del cammino sarà questa esperienza che non inizia ora, che coinvolgerà sempre più persone e realtà, che ci farà sperimentare fatiche, certo, ma anche la gioia di annunciare e vivere il Vangelo in questo nostro mondo.

La lettera che il Consiglio pastorale ci consegnerà stasera è il segno, che spero eloquente ed accolto, che il cammino continua, che la scelta chiave fatta dal cammino sinodale della “valorizzazione dei consigli pastorali” rimane indicazione di fondo che ci guiderà, anche nel cammino di realizzazione e concretizzazione delle tre scelte su cui tutti state lavorando, con impegno e competenza.

Da parte mia pongo un altro segno di impegno, di continuità e di fiducia. Sono convinto che il dono grande che ricevo nell’essere chiamato pastore della Chiesa di Treviso sia il grande patrimonio di uomini e di donne che con passione, competenza, dedizione e impegno sono in cammino. Sono grato al Vescovo padre Agostino per aver sognato, pensato ed avviato questo processo e sono grato a tutti coloro che lui ha chiamato a collaborare nel pensare ed accompagnare questo cammino. Prego tutti voi di continuare su questo percorso.

Per questo confermo il Consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale diocesano fino alla scadenza naturale del loro mandato, e in particolare don Adriano Cevolotto come Vicario generale e don Mario Salviato come Vicario episcopale per la pastorale. Ringrazio tutti i collaboratori a tutti i livelli, per il loro prezioso e competente aiuto.

Carissimi, vi ringrazio per la disponibilità a questo non facile servizio: la Scrittura ci assicura: “Questi doni, presenti in voi e fatti crescere, non vi lasceranno inoperosi e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo”.

 

 

San Liberale, patrono laico che indica il cammino di solidarietà e di pace alla diocesi e alla città di Treviso

Alla cerimonia religiosa nella solennità di san Liberale, patrono della città e della diocesi di Treviso, sabato 27 aprile, erano presenti numerosi fedeli e autorità civili e militari, tra le quali il sindaco di Treviso, Mario Conte, e il prefetto Maria Rosaria Laganà. A presiedere la celebrazione il vescovo di Treviso, mons. Gianfranco Agostino Gardin che, nell’omelia, ha messo in luce la singolarità di san Liberale: Se confrontato con le diocesi trivenete, “san Liberale costituisce l’unico caso di un patrono di diocesi che non è né vescovo, né martire. E’ un cristiano laico. Non dispiace questa singolarità del nostro patrono, pensando che nella Chiesa si sta riconoscendo con maggior attenzione, sulla spinta del Concilio Vaticano II, la dignità e la corresponsabilità dei fedeli laici”. I motivi per cui fu scelto quale patrono furono, probabilmente, ha aggiunto il Vescovo, “la sua fede cristallina, la sua coerenza di vita, la sua generosità e dedizione nel farsi divulgatore del Vangelo e amico dei poveri. Non va dimenticata poi la sua tenacia e il suo coraggio nel difendere la purezza della fede cristiana in un momento in cui l’eresia ariana – che negava la divinità di Gesù – si stava diffondendo, creando divisioni e disorientando i cristiani”. Egli – ha proseguito mons. Gardin – ci aiuta a ricordare “che la nostra è davvero «fede dei padri», fede frutto di lunga traditio. E ogni generazione ha dato il proprio apporto alla fede ricevuta dai padri (più realisticamente dalle madri), arricchendola della propria esperienza, della propria capacità di renderla vita vissuta”. E, “pur nello scorrere della storia della Chiesa” alcune caratteristiche sono rimaste e sono evidenti nelle letture scelte per la celebrazione. “La prima lettura, dagli Atti degli Apostoli (At 16,25-34), ci pone di fronte alla fatica dell’evangelizzazione, primo e irrinunciabile compito della Chiesa”, da svolgere nonostante le tante prove che si devono affrontare. “L’annuncio del vangelo – ha spiegato il Vescovo – oggi, soprattutto nella nostra cultura occidentale, deve fare i conti con letture distorte del messaggio cristiano, indifferenza, precomprensioni ideologiche, tentativi di strumentalizzare la fede a scopi politici, mentalità che difficilmente si riconosce nei contenuti portanti del cristianesimo. Certo, si aggiunge anche la fragilità e la coerenza non sempre cristallina degli stessi cristiani. Paolo osservava che l’apostolo porta «un tesoro in vasi di creta» (2Cor 4,7); il tesoro, che è il vangelo, è dunque affidato alla fragilità dei cristiani”.
Nella seconda lettura l’insistenza di Giovanni nell’affermare la divinità di Gesù (1Gv 5,1.4-5.13.20-21), richiama “l’impegno concreto di San Liberale nel difendere la divinità di fronte all’eresia. Si tratta di quella verità che sta e starà sempre al cuore della fede: Gesù Cristo, Figlio di Dio venuto tra noi, è l’unico vero rivelatore del Padre, è l’alfa e l’omega dell’esperienza cristiana”. “Ridurlo a un contenitore di valori, certo positivi, ma magari indebitamente selezionati in funzione di ideologie sociali o politiche” significa portare il cristianesimo fuori strada.
Infine l’apostolo Tommaso (Gv 20,24-31), “ci rimanda alla fatica del credere”. “Credere senza constatare è atto impegnativo”. “Non dimentichiamo che è difficile dare fiducia a chi non si conosce, a chi non si è veramente incontrato”.
San Liberale, laico cristiano, è stato l’augurio conclusivo del vescovo Gardin, “sostenga il cammino di solidarietà, di pace, di sano benessere delle donne e degli uomini di questa città e di questa Chiesa trevigiana”.

 

agenzia fotofilm treviso messa patrono san liberale in cattedrale

agenzia fotofilm treviso messa patrono san liberale in cattedrale

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