Questa mattina, nella Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice, a Treviso, c’è stata la celebrazione eucaristica nel ricordo del bombardamento di Treviso del 7 aprile 1944. Ecco l’omelia del Vescovo:
“Siamo qui a rievocare un evento che ogni anno, il 7 aprile, è per questa città come una ferita che si riapre, un dolore che riemerge.
Anche se si va riducendo il numero dei testimoni diretti, che possono raccontarci dal vivo la tragedia di quel giorno di 75 anni fa, non ci è certo difficile ricostruire o rivivere, o anche solo immaginare, la sofferenza, la disperazione, il terrore, il lutto, la desolazione di quelle ore.
Come ricorda spesso papa Francesco di fronte alle grandi tragedie dell’umanità di ieri e di oggi, dobbiamo “saper piangere”; guai a noi se non siamo più capaci di piangere, se di fronte al male prodotto dagli uomini reagiamo con l’indifferenza o, peggio, con un egoistico – anche se inconfessato – “l’importante è che io stia bene!”.
Il nostro pensiero va naturalmente alle molte vittime innocenti, anche nel fiore degli anni o addirittura nella fanciullezza, colte quel giorno di sorpresa, e che magari si erano illuse di potersi salvare riparando nei rifugi; ma neppure i rifugi li hanno salvati.
Ci colpisce l’immagine, ascoltata nella prima lettura biblica, del profeta Geremia, vittima innocente perseguitata perché aveva richiamato il popolo ai suoi impegni. Egli si sente come un “agnello mansueto condotto al macello”. È l’immagine che usa anche, con ancora maggior forza espressiva, il profeta Isaia, descrivendo il misterioso personaggio del “servo del Signore” condotto a morte, nel quale si è sempre vista una singolare prefigurazione di Gesù condotto al Calvario.
Sono le parole suggestive e impressionanti, quelle di Isaia, che risuonano nella austera liturgia del venerdì santo. Gesù vi appare come un agnello portato al macello che non apre bocca; uomo sfigurato dai dolori, davanti al quale ci si copre la faccia. Ma il profeta dirà anche: dalle sue piaghe noi siamo stati guariti.
E certo noi restiamo sempre colpiti dal fatto che quel 7 aprile 1944 coincideva proprio con il venerdì santo.
Avvertiamo ancora una volta il bisogno di condannare ogni guerra – e tanto più, quanto più l’umanità si va dotando di strumenti di morte sempre più sofisticati e micidiali -; il bisogno e il dovere di operare in tutti i modi per preservare l’umanità dall’esperienza terribile e sciagurata della guerra.
Purtroppo anche noi cristiani abbiamo ceduto alla tentazione di praticare e favorire la guerra, magari benedicendo armi e invocando la mano di Dio perché sostenesse la vittoria. Dimenticando, oltretutto, che il Dio che Cristo ci ha annunciato sta dalla parte delle vittime, dei disgraziati, degli ultimi.
E purtroppo avviene ancora che chi chiede pace, giustizia, fratellanza, amore reciproco non sia amato e – come è avvenuto per Gesù: così ci ha ricordato la pagina evangelica ascoltata – sia perseguitato con arroganza e malvagità.
Affidiamo al Signore le vittime di quel – purtroppo indimenticabile – 7 aprile. Chiediamo a Lui che quel dolore immenso possa fecondare desideri e opere di pace, di solidarietà, di fratellanza, di ricerca comune del bene. Per la nostra amata città, per il mondo intero”.
† Gianfranco Agostino Gardin