La buona accoglienza di Casa Giavera si rinnova: progetto diocesano finanziato dalla Cei

Un nuovo progetto coinvolge la storica Casa di accoglienza per immigrati di Giavera del Montello. Un progetto che ha “convinto” la Cei, che ha voluto finanziarlo.
Si chiama “Casa Giavera” ed è un concreto percorso di inclusione e di integrazione per cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Attraverso quattro percorsi formativi residenziali, nell’arco di un anno, il progetto vuole fornire a 32 giovani rifugiati gli strumenti e le competenze utili per poter entrare autonomamente nel mondo del lavoro nel più breve tempo possibile e favorire la costruzione del proprio futuro.
Con il coinvolgimento di Caritas tarvisina e della diocesi di Treviso e la collaborazione della cooperativa sociale La Esse e del Centro diocesano di formazione professionale Opera Monte Grappa di Fonte, l’iniziativa è stata finanziata dalla Conferenza episcopale italiana nell’ambito della campagna nazionale “Liberi di partire, liberi di restare”. Selezionata tra 77 progetti di accoglienza e cooperazione nei paesi di emigrazione, transito e arrivo, il percorso di “Casa Giavera” è stato presentato venerdì 25 ottobre, in un incontro pubblico, con l’intervento dei diversi soggetti coinvolti e la condivisione di un momento conviviale.

La casa di accoglienza attiva dal 1990
Centro di accoglienza per persone straniere dal 1990 nel comune di Giavera del Montello, in provincia di Treviso, la Casa è di proprietà dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero ed è stata gestita prima dal settore Immigrati della Caritas tarvisina, poi dalla cooperativa Servire e, successivamente, dalla cooperativa La Esse. Luogo di riflessione, di formazione e di scambio interculturale, negli anni ha offerto soluzioni abitative a persone straniere in situazione di vulnerabilità economica o personale. Nell’arco di trent’anni di storia ha accolto quasi mille persone, che hanno continuato il proprio percorso personale, anche grazie alla rete relazionale con il territorio che la “casa” nel tempo ha costruito, in modo particolare con le parrocchie.
Capace di leggere le sollecitazioni e i reali bisogni del territorio sul tema dei fenomeni migratori, ha dato vita ad un’esperienza di co-housing tra uomini adulti di diverse nazionalità. Dal 2013 ha accolto dei richiedenti asilo, con un approccio inclusivo che prevede una convivenza tra nuovi ospiti e immigrati di lungo periodo, alimentando una relazione costante con il territorio.

Il nuovo progetto di integrazione grazie alla formazione professionale
“Messa in discussione con il Decreto sicurezza 2018, questa esperienza di accoglienza e condivisione ha dovuto ripensare il proprio futuro e oggi raccoglie una nuova sfida – sottolinea il direttore di Caritas tarvisina, don Davide Schiavon -: accompagnare le persone con protezione umanitaria verso l’autonomia favorendone concretamente l’inclusione attraverso la formazione e l’inserimento lavorativo”. Il progetto si pone l’obiettivo di contenere il rischio di esclusione e di emarginazione di queste persone, attraverso la conversione del permesso umanitario in permesso per motivi di lavoro.
“Analizzando i bisogni delle aziende locali, che lamentano la difficoltà di reperire manodopera per alcune mansioni specifiche, e incrociandoli con il bilancio delle competenze dei migranti incontrati negli anni, si è giunti all’elaborazione di quattro percorsi formativi dedicati ad altrettanti profili professionali: saldatore, addetto ai quadri elettrici industriali, pizzaiolo e panettiere, addetto alla cucina” spiegano i responsabili del progetto.
Prima, la formazione laboratoriale di 100 ore propedeutica all’ingresso in azienda, che si svolge tra il Centro diocesano di formazione professionale di Fonte (laboratori di saldatura e di addetto ai quadri elettrici industriali) e le cucine professionali del territorio (pizzaiolo, panettiere e addetto alla cucina). Quindi, la formazione “on the job” che permette ai destinatari di entrare in contatto con le aziende interessate a conoscere nuovi lavoratori, un aspetto fondamentale nel processo d’integrazione. L’esperienza in azienda si svolgerà attraverso l’attivazione di un tirocinio di inserimento lavorativo, costantemente accompagnato da un tutor esperto.

 

L’incontro di due domande e di due risposte

Nella conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa il vicario generale, mons. Adriano Cevolotto, ha ricordato come è nata l’idea del progetto: “A fine aprile la Caritas tarvisina, insieme ad altre realtà del nostro territorio, annunciarono -suscitando un serio dibattito, unito a illazioni quantomeno di cattivo gusto – la rinuncia a concorrere al bando di accoglienza per richiedenti asilo, perché erano venute meno le condizioni per lavorare nel rispetto della dignità delle persone e per favorire la loro integrazione. In quella sede si precisò che era ferma l’intenzione di continuare a volgere lo sguardo su chi sarebbe stato messo in una condizione di precarietà e di marginalità. Eccoci. Puntuali, lasciatemelo dire – ha detto mons. Cevolotto -. La situazione, che è stata generata, di estrema vulnerabilità per quanti hanno un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari, espone queste persone a un esito assai preoccupante. Infatti il rinnovo (sempre temporaneo) è possibile solo per ‘casi speciali’. Per garantire loro una qualche prospettiva (vale a dire la trasformazione del permesso per motivi umanitari in permesso per lavoro) si è pensato di metterli nelle condizioni di inserirsi nel mondo del lavoro. Si è allora cercato di far incontrare una duplice domanda – di manodopera specializzata, ed insieme la domanda di futuro – con una duplice risposta – di giovani disponibili e motivati dal desiderio e dalla volontà di rimanere, e di aziende con una necessità di personale introvabile”.

In collaborazione con la comunità
Altro importante punto di forza di Casa Giavera è la possibilità di accoglienza offerta a tutte le persone che parteciperanno ai percorsi formativi. Temporaneamente sollevati dalle preoccupazioni materiali di vitto e alloggio, il progetto garantisce ai beneficiari, per un massimo di 6 mesi, le condizioni per vivere a pieno l’opportunità formativa.
L’aspetto della residenzialità è necessario per poter accompagnare la persona in un percorso intensivo che, in tempi circoscritti, la renda economicamente autonoma così da poter accedere al mercato immobiliare e avere il permesso di soggiorno adeguato, sia per restare nel territorio nazionale e sia nell’eventuale esigenza di spostarsi verso altre mete.
Per agevolare l’accesso ai laboratori professionalizzanti è stato organizzato il trasporto da Casa Giavera fino al Cfp di Fonte, attraverso il coinvolgimento di 14 volontari, cittadini del territorio che si alternano nei diversi turni di trasporto. Un alto numero di volontari delle parrocchie che compongono la Collaborazione pastorale di Giavera -Nervesa è attivo nel portare avanti altre attività di sostegno all’autonomia delle persone accolte, a partire dai laboratori di conversazione per migliorare la conoscenza della lingua italiana.

“A nome del Vescovo e dell’intera comunità diocesana – ha concluso mons. Cevolotto – un grazie riconoscente a tutti gli attori di questo ‘segno’ che ha la forza del seme, capace di rompere anche la crosta di una terra che può essere arida. A tutti gli attori, compresi i 32 giovani migranti che non si possono pensare come semplici fruitori, bensì protagonisti attivi del progetto. Infatti, la buona riuscita di quanto è stato ideato dipende molto anche da loro”.