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Giornata del Seminario: una comunità che accompagna

Da settembre il nostro vescovo Michele mi ha affidato il compito di rettore del nostro Seminario vescovile. Non nascondo che questa responsabilità un po’ mi intimorisce, tuttavia ciò che mi consola è che l’impegno di accompagnare i giovani e i ragazzi nella ricerca della volontà di Dio è portato avanti da “una comunità educante” che si sforza di camminare insieme.

Tra i verbi che sintetizzano quanto ciascuno può fare per il Seminario e per il servizio di discernimento vocazionale voglio sottolineare l’importanza di scoprire la responsabilità di accompagnare giovani e ragazzi nella ricerca della volontà di Dio per la loro vita. Farsi presente, sostenere e accompagnare l’itinerario verso scelte autentiche è, dunque, per la Chiesa tutta un modo di esercitare la propria funzione materna generando alla libertà dei figli di Dio.

Le scelte
In questo nostro tempo, caratterizzato da un pluralismo sempre più evidente e da una disponibilità di opzioni sempre più ampia, il tema delle scelte si pone con particolare forza e a diversi livelli, soprattutto di fronte a itinerari di vita sempre meno lineari e caratterizzati da grande precarietà. Accompagnare per compiere scelte valide, stabili e ben fondate è, quindi, un servizio di cui si sente diffusamente la necessità e che riguarda l’intera comunità dei credenti, nessuno escluso.
Paola Bignardi, coordinatrice dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, ci ricorda che «una delle sofferenze che portano (i giovani) è un sottile senso di solitudine, perché sentono che la generazione adulta non è disposta o non è preparata a essere un punto di riferimento per loro». Accompagnare personalmente un giovane è rispondere alla chiamata della vita, della propria vita. Esserci è generare alla vita. E’ trasmettere una vita capace di futuro. E’ dunque la comunità nel suo insieme il soggetto primo dell’accompagnamento, proprio perché al suo interno si sviluppa quella trama di relazioni che può sostenere il giovane o il ragazzo nel suo cammino e fornirgli punti di riferimento e di orientamento anche in riferimento al desiderio di diventare prete.

I semi e il terreno buono
Accompagnare non significa guidare i giovani come se questi fossero seguaci passivi, ma camminare al loro fianco, consentendo loro di essere i protagonisti della loro vita. Rispettare la libertà personale fa parte del processo di discernimento di un giovane. Un accompagnatore dovrebbe essere profondamente convinto della capacità di un giovane di prendere parte alla vita della Chiesa e coltivare i semi della fede nei giovani, senza aspettarsi di vedere immediatamente i frutti dell’opera dello Spirito Santo ma continuando ad adoperarsi a preparare un terreno buono cosicché il mistero della vocazione trovi la sua strada.

Nuovi percorsi da forgiare
A questo riguardo siamo chiamati tutti, comunità parrocchiali e Seminario, a essere creativi come gli artigiani forgiando percorsi nuovi e originali, una creatività dell’amore in grado di ridare senso al presente per aprirlo a un futuro migliore. Un impegno necessario al quale siamo chiamati tutti a dedicare nuove energie, senza cedere allo scoraggiamento.

don Luca Pizzato, rettore

Il Seminario: un cenacolo e un laboratorio. Messaggio del Vescovo per la Giornata

Celebrare la Giornata del Seminario significa ricordare quanto importante sia per una Chiesa diocesana il dono di giovani che si preparano a diventare presbiteri; e anche quanto necessari siano il discernimento accurato della loro vocazione, la loro formazione e il loro sapiente accompagnamento verso l’ordinazione sacerdotale.

In questo ultimo tempo il numero dei seminaristi del nostro Seminario maggiore – quello cioè formato dai giovani degli ultimi sei-sette anni di formazione – è diminuito in maniera consistente (ciò che sta avvenendo, del resto, in tutte le diocesi del Triveneto, e non solo). Non è certo questo breve messaggio il luogo per tentare di addentrarci nelle ragioni, senza dubbio complesse, di questo calo. Si tratta, comunque, di un fenomeno che ci interpella tutti, preti e laici, Chiesa diocesana e comunità parrocchiali. A me preme solo dire, in questa circostanza, che noi non cessiamo di credere fermamente nella funzione del Seminario, e che nulla deve distoglierci dal continuare a farne una realtà verso la quale non vanno risparmiate cure e attenzioni, offerte formative serie e anche esigenti, ovviamente diverse in relazione alle varie età dei seminaristi e alle differenti fasi educative. Questa è anche l’occasione per testimoniare, da parte mia, la presenza e l’impegno di un gruppo di preti che per il Seminario lavorano con grande disponibilità e dedizione, anche sacrificando generosamente una personale propensione alla vita pastorale nelle parrocchie. Essi meritano davvero la gratitudine di tutti; così come la meritano i molti che, in maniere diverse, aiutano il Seminario.

E qui il mio pensiero corre alla figura di don Pierluigi Guidolin, il rettore del Seminario degli ultimi cinque anni, che il giugno scorso ci è stato strappato da una morte prematura, quando al Seminario stava dando il meglio di sé. Per me è difficile ricordare don Pierluigi al di fuori del Seminario: del resto vi ha speso, con passione crescente, 20 dei suoi 23 anni di sacerdozio. Devo dire che ha aiutato anche me a guardare al Seminario con ancora più intenso affetto e a riconoscerlo come un bene preziosissimo da custodire con cura, a scorgere nei seminaristi dei figli da amare con premurosa dedizione.

È proprio la vita evangelicamente e lucidamente spesa per gli altri di don Pierluigi, in particolare per la causa delle vocazioni presbiterali, che invita a riflettere su due domande.

La prima è: si è forse prosciugata la sorgente che genera nel cuore di ragazzi, adolescenti e giovani il desiderio di mettere la propria vita a servizio dell’annuncio di Gesù, del vangelo, della comunità dei credenti? Don Pierluigi aveva chiesto che il brano evangelico del suo funerale fosse quello in cui Gesù presenta se stesso come il chicco di grano che, caduto in terra, muore e produce molto frutto (cf. Gv 12,24). Aveva scritto che in quelle parole egli scorgeva in filigrana la sua vicenda vocazionale. Ebbene, dobbiamo credere che il farsi, come Gesù, chicco seminato nel terreno di una donazione di sé che genera vita cristiana, può ancora affascinare chi non voglia non tenersi stretta, solo per sé, la propria esistenza («chi ama la propria vita, la perde», sono le parole di Gesù che spiegano l’immagine del chicco di grano che muore). Mi viene da dire: dobbiamo scovarli, questi giovani desiderosi di donarsi, dobbiamo aiutarli a identificare in loro una chiamata che forse stenta a farsi strada in mezzo a situazioni intricate, dentro storie attraversate da vari condizionamenti, anche da controtestimonianze; dobbiamo, soprattutto, farli incontrare con Gesù. E le comunità cristiane devono sempre più prendere coscienza che i futuri preti non si “fabbricano” artificialmente; certo, si formano, ma soprattutto si aiutano a scoprire e a dissotterrare “il tesoro nel campo” di cui ci parla il vangelo. Questo tesoro è Gesù, l’uomo totalmente per gli altri.

La seconda domanda è come accompagnare, sostenere e rendere solida la risposta di chi percepisce la chiamata al sacerdozio. Qui il Seminario trova tutto il suo senso come cenacolo e come laboratorio. Come cenacolo: luogo in cui ci si aiuta insieme (formatori e formandi), attorno a Gesù, ad assumere una vita che si conforma a Lui e impregnata di servizio alla Chiesa. Come laboratorio: luogo in cui si cerca di comprendere come essere autentici presbiteri per l’oggi e per il domani di una Chiesa che, se vuol essere fedele al suo Signore e Maestro, deve sempre riformare se stessa.

Tutto questo domanda luce e forza dello Spirito Santo, preghiera, fiducia nell’azione di Dio, solidarietà dell’intera Chiesa diocesana. Ma chiede anche modelli sacerdotali capaci di affascinare, e poi comunità cristiane che non “pretendano” preti, ma li sappiano generare come grembo fecondo, e li amino: dal primo giorno del loro ingresso in Seminario fino a quando li “restituiscono”, con gratitudine, al Signore che li ha chiamati e a quelle comunità li ha inviati.

 

† Gianfranco Agostino Gardin