Con la prima domenica di Avvento inizia un nuovo Anno liturgico. Perché il ritorno ogni anno di feste e tempi particolari? È una domanda che come credenti dobbiamo porci per abitare nella fede il tempo. Esso è, prima di tutto, abitato da Dio: dal “principio” (be-re’shit, Gen 1,1) alla fine «Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la fine» (Ap 21,6). L’anno liturgico è a servizio dell’uomo credente, gli permette di fare del proprio tempo, quindi della propria vita, il luogo e lo spazio dell’incontro e della relazione con Dio. Nel ritmo temporale la liturgia rende presente il mistero di Cristo, la sua Pasqua, e ci apre alla possibilità di partecipare all’oggi della salvezza. Il tempo nella fede è “salvezza”, è sempre “tempo favorevole”, “giorno della salvezza” (2Cor 6,2; Is 49,8). “Hodie Christus natus est”; “Hodie Christus resurrexit”, così canta la liturgia! È l’opera di salvezza di Dio che si inserisce nella quotidianità dei nostri giorni. Il nostro tempo chronos è capace di accogliere il tempo di Dio: il Kairos. La liturgia opera questa inserzione, converte il tempo cronologico in tempo di salvezza. Giorno dopo giorno, domenica dopo domenica, anno dopo anno, come un sapiente scultore, il Signore scava il nostro cuore, dà forma alla nostra esistenza, plasma in noi i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5) ci rende «nuova creatura» (2Cor 5,17). E lo fa con ciascuno di noi personalmente e al tempo stesso come comunità cristiana, “piccolo gregge” che Egli ama. Per noi non c’è un Avvento uguale a quello dell’anno precedente, perché noi non siamo gli stessi e il Signore ci raggiunge là dove siamo, per rinnovare la sua Alleanza, il suo patto d’amore. A noi la responsabilità di scoprire e accogliere sempre più questo dono.
Il Vescovo nella lettera di promulgazione del nuovo Calendario liturgico ci ricorda che «il ciclo delle celebrazioni del mistero di Cristo e le indicazioni necessarie per viverle in comunione con la chiesa locale e universale ci aiuta a contemplare il volto del Signore invitandoci a lasciarsi continuamente evangelizzare da Lui». Sappiamo che il rischio della liturgia è sempre quello di sostituire “al servizio di Dio” (Cfr. Dt 10,12 ecc.) il “servizio dell’altare”, separando fede e vita, culto e carità. Ma guardando al Signore, ascoltando la sua Parola, con la forza che sgorga dai santi segni della liturgia possiamo stare alla sequela di Gesù, compiere il suo stesso cammino di dono per amore. L’impegno come chiesa diocesana a conclusione della prima fase del Cammino Sinodale ci stimola a «essere Chiesa che cammina, divenendo sempre più capace di pregare, riflettere, discernere, decidere, camminare, sapendo mettere sapientemente insieme Vangelo e storia, discepolato di Gesù e situazioni di vita». E se è la fede che crea la festa e i ritmi liturgici, sono le stesse celebrazioni liturgiche ad essere fonte della nostra fede e del nostro camminare insieme. «Quello che ci sta davanti sarà un anno ricco di novità se sapremo metterci in sincero e disponibile ascolto di quanto lo Spirito Santo vorrà suggerirci perché diventiamo sempre più chiesa capace di testimoniare con gesti concreti la sua fede nell’unico Signore».
(sorella Monica Marighetto, direttrice Ufficio Liturgico diocesano)