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“Ho cercato di favorire la comunione, aiutato dalla vostra competenza e passione”: il saluto di mons. Cevolotto al personale degli uffici

E’ stato un saluto “in famiglia”, semplice e partecipato,  quello che i direttori e il personale degli uffici di Curia e di Casa Toniolo hanno rivolto, questa mattina, in cattedrale, a mons. Adriano Cevolotto, prima della sua partenza per la diocesi di Piacenza – Bobbio, dove farà l’ingresso come Vescovo domenica 11 ottobre.

Un saluto colmo di gratitudine, quello del vescovo Michele, che si è fatto interprete anche dei sentimenti di tutti i presenti. Mons. Tomasi ha tratteggiato la figura del Vescovo con le parole di papa Francesco, facendo una sorta di simpatico contrappunto a un libello semi-satirico che descrive la figura del moderatore di Curia (uno dei compiti del vicario generale) come “uomo della stanza dei bottoni, grande fratello e signore oscuro – perlomeno perché veste di nero o di blu”.

Papa Francesco chiede ai pastori di essere vicini alla gente, padri e fratelli, capaci di vivere in povertà interiore ed esteriore, pronti a vegliare per il gregge. Il Papa chiede loro, in particolare, di saper annunciare il Vangelo per affascinare il mondo, di essere seminatori umili e fiduciosi, consapevoli che, anche quando sarà notte e saranno stanchi, le sementi nel campo stanno germogliando; Vescovi, soprattutto, testimoni del Risorto, testimoni della luce e della verità.

“Sei stato capace di servizio e di ascolto – l’essenza del “potere” nella Chiesa” ha detto il vescovo Michele rivolgendosi a mons. Cevolotto. “Sei stato amico, fratello, sostegno. In questo compito hai fatto palestra di tutte le caratteristiche di cui parla il Papa, e che ti porterai a Piacenza. A nome di tutti ti dico Grazie!”.

Ringraziando mons. Tomasi per le sue parole, mons. Cevolotto si è soffermato sul proprio ruolo, per sei anni, di “moderatore di Curia”, un compito poco conosciuto, forse, ma che “mi ha collocato al cuore del governo pastorale della Diocesi, a contatto con la complessità, e non solo in questo tempo a causa del Covid, complessità che vivono la Chiesa nel suo complesso, il presbiterio, la pastorale. Mi sono sentito impegnato a “moderare”, a “porre limiti”, ma soprattutto a far convergere in unità, in un cammino corale, davvero sinodale, la vita di questa diocesi. E in questo compito non sempre facile sono stato favorito dalle competenze e dalla passione di tutti voi” ha ricordato, ringraziando mons. Mario Salviato, vicario per il coordinamento della Pastorale, per la collaborazione vissuta in questi anni.

“Ho visto crescere nei diversi uffici e ambiti – ha aggiunto – la disponibilità a guardare nell’insieme anche la propria parte, a convergere verso l’unità, la condivisione, l’incontro, anche e soprattutto in un tempo difficile, e di grazia, come quello della pandemia. Grazie ai volontari, alle professionalità, alle competenze, grazie per la stima e per le osservazioni. Ora vado, portando nel mio bagaglio questi sei anni. Grazie perché, senza saperlo, avete contribuito a prepararmi un po’ meglio a questo ministero”.

Al termine, il vescovo Adriano ha ricevuto dei doni, tra cui una reliquia del beato vescovo Longhin, consegnatagli da don Lino Cusinato, prevosto della Comunità degli Oblati.

Nella Casa del clero il giuramento di mons. Cevolotto, vescovo eletto di Piacenza – Bobbio

Nel giorno della festa della Natività della Vergine Maria, mons. Adriano Cevolotto, vescovo eletto di Piacenza – Bobbio, ha pronunciato il suo giuramento di fedeltà alla Sede Apostolica prima dell’ordinazione episcopale, preceduto dalla professione di fede.
Si tratta di un atto previsto dal diritto canonico in vista dell’inizio del nuovo servizio da vescovo. Nel testo, il vescovo eletto dichiara la propria fedeltà al Papa, alla Chiesa e l’impegno a svolgere il suo servizio a fianco della comunità. Erano presenti come testimoni mons. Mauro Motterlini, presidente del Capitolo della Cattedrale, e mons. Maurizio De Pieri, direttore della Casa del clero.
Una cerimonia semplice, vissuta dopo la messa, concelebrata con il vescovo Michele Tomasi, il cancelliere, mons. Fabio Franchetto, il vicario per la Pastorale, mons. Mario Salviato e molti altri sacerdoti, nella cappella della Casa del clero diocesana. Particolare il luogo dove mons. Cevolotto ha voluto vivere questo momento: nella Casa che accoglie tanti sacerdoti anziani, dove “è raccolta la testimonianza di fede e presbiterale della nostra diocesi – ha detto mons. Cevolotto nell’omelia -. Qui c’è una parte della mia genealogia presbiterale. Quello che sono è debitore di una storia della quale voi siete una parte importante: qui c’è chi mi ha portato in Seminario (don Giuseppe Rizzo), c’è il rettore con il quale sono diventato prete (don Cleto Bedin), e poi alcuni professori e molti preti che ho incontrato e che mi hanno testimoniato la cura pastorale, la fede, la carità, la missione. Vi sento parte del mio cammino e della mia storia”.
Commentando il Vangelo del giorno, mons. Cevolotto ha sottolineato come ogni storia sia riassunta dal verbo “generare”. “Quello che rimane, che fa storia, è generare, dare vita a qualcosa di nuovo che è tuo ma che alla fine non ti appartiene, che, come un figlio per un genitore, ha una sua storia, anche se è generato dalla tua fede, dal tuo amore, dalla tua carità”. Come il mistero della salvezza, il compimento di questa storia – ha ricordato – avviene dentro un intreccio di fedeltà e di infedeltà, in una storia in cui Dio mette insieme trame diverse, ma è sempre lui il protagonista del nostro generare, della nostra fecondità. Sul modello di Giuseppe, allora, è possibile “metterci al servizio della vita che Dio genera nello Spirito Santo in noi e negli altri, entrando così in una paternità diversa: è ciò che ci è chiesto, che ci è affidato, che ci è donato. Essere padri perché ri-conoscenti, cioè capaci di riconoscere quanto Dio continua ad operare per la salvezza. «Non temere!» è l’invito che il Signore rivolge a Giuseppe, quando gli chiede di prendersi cura di Maria e del figlio che porta in grembo. Un invito che il Signore rivolge anche a me oggi, a noi, perché, nel prendere con noi il mistero di amore di Dio, ci permette di entrare nel compimento del mistero di Dio nella storia. «Non avere paura!» ci dice, anche se può sorprendere quello che Dio ci chiede, scombinando i nostri progetti. Oggi posso pronunciare il giuramento di fedeltà in forza di quella professione di fede nel Dio di ciascuno di voi e di coloro che mi hanno testimoniato, come voi, che veramente Dio è fedele e che ogni nostra fedeltà è unita alla sua ed è condizionata alla sua fedeltà di amore”.
Il vescovo Michele, rivolgendosi a mons. Cevolotto, gli ha ricordato che il giuramento di fedeltà è “la conferma di una promessa, la riconferma di un vincolo che vivi già, ma che ora diventa più esplicito, con il Santo Padre e, attraverso lui, con la Chiesa universale: ci stai facendo un bel regalo di ecclesialità”. Il Vescovo si è detto fiero di essere chiamato a testimoniare che “tu sei un uomo di fede, di comunione” e che “possiamo accompagnarti nella gioia di essere vescovo, guida fedele e lieta di una Chiesa in comunione con tutte le Chiese”.

Mons. Adriano Cevolotto nuovo vescovo di Piacenza Bobbio: l’annuncio oggi in cattedrale

L’annuncio oggi a mezzogiorno, da parte del vescovo Michele Tomasi, nella cattedrale di Treviso, scelta per permettere a tutte le persone convocate di partecipare: mons. Adriano Cevolotto è stato nominato dal Papa nuovo pastore della diocesi di Piacenza – Bobbio.

La comunicazione è stata data in contemporanea nella Sala stampa Vaticana e nella sede del vescovado di Piacenza, dal vescovo Gianni Ambrosio, che ha rassegnato le proprie dimissioni al Papa per raggiunti limiti di età.

agenzia foto film treviso mons. adriano cevolotto nominato vescovo

Hanno voluto essere presenti anche i due vescovi emeriti di Treviso, che con mons. Cevolotto hanno collaborato: mons. Gianfranco Agostino Gardin e mons. Paolo Magnani.

Mons. Adriano Cevolotto, 62 anni, originario di Roncade, sacerdote da 36 anni, ha ricoperto negli anni a Treviso numerosi e importanti incarichi. Dal 2014 vicario generale, stretto collaboratore prima del vescovo Gardin ed attualmente del vescovo Tomasi, mons. Cevolotto è stato parroco a Castelfranco Veneto. In precedenza era stato rettore del Seminario di Treviso per 5 anni e segretario del vescovo Magnani.

Un lungo applauso dei presenti ha seguito l’annuncio della nomina da parte del vescovo Michele, a testimonianza della gioia e della stima e gratitudine verso mons. Cevolotto per il prezioso servizio donato alla diocesi di Treviso in questi anni.

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Il vescovo Michele ha iniziato il suo intervento con una preghiera di Charles De Foucauld (“Donami di conoscere Gesù”), che sarà proclamato santo il prossimo anno, una figura molto cara a mons. Cevolotto, del quale il Vescovo ha riconosciuto il vero amore per la Chiesa e la passione pastorale. “Portati dietro la parlata trevigiana, il cuore e la mente da parroco – il suggerimento del vescovo Tomasi -, la dimensione giusta per un presbitero che diventa pastore della Chiesa, portati il gusto e l’umiltà dell’incontro con le persone semplici che scoprono in te un amico, portati l’amore per Castelfranco, per il Seminario, la lealtà e il servizio nei confronti dei preti. Il periodo della pandemia ci ha costretti a condividere tanto, ci ha portati a una collaborazione ancora più stretta: abbiamo celebrato quotidianamente l’Eucaristia, condiviso la mensa e molte ore di lavoro insieme. Ho apprezzato la cordialità, l’ironia, la vita di preghiera. Grazie”. Il vescovo Michele ha confessato la sua personale difficoltà a separarsi dal suo più stretto collaboratore.

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E ha concluso il suo saluto con le parole di Davide Rossanese, un giovane con la sindrome di down, amico di mons. Cevolotto che, quando quest’ultimo ha lasciato Castelfranco per diventare vicario generale, ha scritto una preghiera, chiedendo al Signore di “accompagnare lui nel suo nuovo incarico. Sostienilo e guidalo affinché senta il nostro abbraccio attraverso il tuo, come io e i miei cari abbiamo sentito il tuo abbraccio attraverso il suo”.

Il vescovo emerito di Treviso Paolo Magnani ha ricordato la vita di famigliarità con mons. Adriano, per nove anni suo segretario. Mons. Magnani si è detto felice per questo nuovo vescovo trevigiano chiamato a governare una diocesi italiana, accanto ad altri di origine trevigiana che hanno servito diverse diocesi nel mondo o sono stati impegnati nella diplomazia vaticana. Una ricchezza, questa, secondo mons. Magnani, che deriva da una tradizione diocesana che ha sempre curato la formazione del proprio clero. “Ecco la spiegazione, ecco i frutti! – ha esclamato -. Una scelta prima di tutto vocazionale e sacerdotale”.

Mons. Gardin ha avuto mons. Cevolotto come vicario generale per 5 anni: un’intensa collaborazione e condivisione. “Ti auguro di fare ancora più intensamente l’esperienza del pastore, di essere accanto alle persone, di annunciare Gesù Cristo, di fare comunione, perché è bello stare accanto alle persone: si sente palpitare il cuore del Buon Pastore che è Gesù”.

Mons. Cevolotto ha preso la parola con grande emozione, ringraziando per la numerosa presenza e per l’affetto. “La sensazione è di essere di fronte a una parete in montagna e di non vedere appigli, ma poi si comincia a salire e un po’ alla volta la strada si apre”. Il neovescovo ha poi ringraziato il Santo Padre “per la fiducia che ha espresso nella mia persona. Quello che sono lo devo a questa terra. Grazie a questa mia diocesi, a questo presbiterio che mi hanno generato nella fede e plasmato nell’identità presbiterale. Tutte le persone incontrate, le realtà, le associazioni sono state come le dita delle mani del vasaio, il Signore, di cui lui si è servito. Penso con gratitudine a questa storia. Pregate per me. E’ una bella sfida quella che ci attende in questo tornante della storia. Ho inviato un messaggio alla Chiesa di Piacenza Bobbio, esprimendo il desiderio di fare insieme questo cammino. Il Signore della storia ci sostenga ad osare”.

 

Il messaggio alla diocesi di Piacenza Bobbio

Mons. Cevolotto ha inviato un saluto “cordiale e trepidante alle sorelle e ai fratelli in Cristo della Chiesa che è in Piacenza-Bobbio”. Ecco alcuni stralci del suo messaggio:

“Oggi il Risorto si affaccia alla mia esistenza di prete – ha sottolineato – con una nuova vocazione: una chiamata a seguirlo che prevede un lasciare ed insieme è sostenuta da una promessa. La promessa di un centuplo. Ma questo centuplo c’è già! Siete voi. La promessa la vivremo insieme. La promessa del Signore è una Chiesa con una lunga storia sulla quale desideriamo costruire il futuro in una memoria grata”.

E riferendosi alla pandemia che ha colpito duramente il territorio piacentino, mons. Cevolotto scrive: “Giungo tra voi e trovo una comunità cristiana e presbiterale segnata dal lutto. Ma allo stesso tempo attraversata e rafforzata dalla testimonianza di carità e di dedizione di tante persone. Il mio saluto va innanzitutto a chi è stato attraversato nella propria carne e nei propri affetti dalla sofferenza”.

Non ha mancato di rivolgere poi “un saluto pieno di sincera gratitudine al Vescovo Gianni che mi ha preceduto e dal quale raccoglierò la passione per Gesù e il suo Vangelo e il testimone della fedeltà apostolica”.

Insieme ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati, ai missionari, ai seminaristi e ai giovani, mons. Cevolotto ha voluto ricordare i genitori, gli sposi, e anche coloro che “per vari motivi si sentono poco o per nulla partecipi della vita ecclesiale. Il mio cordiale saluto e l’auspicio che potremo percorrere insieme sentieri di umanità, che potremo pensare e condividere progetti di convivenza civile, sociale e culturale, per aiutare la città e il territorio a ripartire con uno sguardo fiducioso verso una direzione da cercare insieme”.

 

L’annuncio a Piacenza del vescovo Gianni Ambrosio

“Al caro fratello Vescovo Adriano va il saluto mio personale, insieme a quello dei sacerdoti e diaconi, dei membri della Vita consacrata, dei fedeli della comunità ecclesiale e di tutti i cittadini di Piacenza e del territorio diocesano”: così il vescovo di Piacenza, Gianni Ambrosio, da oggi Amministratore apostolico della diocesi, ha salutato mons. Cevolotto, annunciando la sua nomina, nella cattedrale cittadina. “Lo accogliamo con grande gioia – ha aggiunto – e gli diciamo: “Benvenuto nel nome del Signore”. Da questo momento gli garantiamo la nostra quotidiana preghiera per sostenerlo nella missione che il Signore Gesù, Pastore dei pastori, ha affidato alla Chiesa, mandata ad annunciare e testimoniare l’amore di Dio che vuole salvi tutti gli uomini. Gli assicuriamo la nostra disponibilità a lavorare con lui per l’importante missione di Pastore di questa Chiesa. Il popolo piacentino ha una lunga storia di fede, di vita buona, di carità vissuta nel quotidiano, di laboriosità e di intraprendenza. In questo periodo così tribolato a causa della pandemia i piacentini hanno saputo dimostrare una grande solidarietà e una straordinaria generosità che sono le premesse per una rigenerazione della vita della nostra comunità”.

 

 

 

 

 

La buona accoglienza di Casa Giavera si rinnova: progetto diocesano finanziato dalla Cei

Un nuovo progetto coinvolge la storica Casa di accoglienza per immigrati di Giavera del Montello. Un progetto che ha “convinto” la Cei, che ha voluto finanziarlo.
Si chiama “Casa Giavera” ed è un concreto percorso di inclusione e di integrazione per cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Attraverso quattro percorsi formativi residenziali, nell’arco di un anno, il progetto vuole fornire a 32 giovani rifugiati gli strumenti e le competenze utili per poter entrare autonomamente nel mondo del lavoro nel più breve tempo possibile e favorire la costruzione del proprio futuro.
Con il coinvolgimento di Caritas tarvisina e della diocesi di Treviso e la collaborazione della cooperativa sociale La Esse e del Centro diocesano di formazione professionale Opera Monte Grappa di Fonte, l’iniziativa è stata finanziata dalla Conferenza episcopale italiana nell’ambito della campagna nazionale “Liberi di partire, liberi di restare”. Selezionata tra 77 progetti di accoglienza e cooperazione nei paesi di emigrazione, transito e arrivo, il percorso di “Casa Giavera” è stato presentato venerdì 25 ottobre, in un incontro pubblico, con l’intervento dei diversi soggetti coinvolti e la condivisione di un momento conviviale.

La casa di accoglienza attiva dal 1990
Centro di accoglienza per persone straniere dal 1990 nel comune di Giavera del Montello, in provincia di Treviso, la Casa è di proprietà dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero ed è stata gestita prima dal settore Immigrati della Caritas tarvisina, poi dalla cooperativa Servire e, successivamente, dalla cooperativa La Esse. Luogo di riflessione, di formazione e di scambio interculturale, negli anni ha offerto soluzioni abitative a persone straniere in situazione di vulnerabilità economica o personale. Nell’arco di trent’anni di storia ha accolto quasi mille persone, che hanno continuato il proprio percorso personale, anche grazie alla rete relazionale con il territorio che la “casa” nel tempo ha costruito, in modo particolare con le parrocchie.
Capace di leggere le sollecitazioni e i reali bisogni del territorio sul tema dei fenomeni migratori, ha dato vita ad un’esperienza di co-housing tra uomini adulti di diverse nazionalità. Dal 2013 ha accolto dei richiedenti asilo, con un approccio inclusivo che prevede una convivenza tra nuovi ospiti e immigrati di lungo periodo, alimentando una relazione costante con il territorio.

Il nuovo progetto di integrazione grazie alla formazione professionale
“Messa in discussione con il Decreto sicurezza 2018, questa esperienza di accoglienza e condivisione ha dovuto ripensare il proprio futuro e oggi raccoglie una nuova sfida – sottolinea il direttore di Caritas tarvisina, don Davide Schiavon -: accompagnare le persone con protezione umanitaria verso l’autonomia favorendone concretamente l’inclusione attraverso la formazione e l’inserimento lavorativo”. Il progetto si pone l’obiettivo di contenere il rischio di esclusione e di emarginazione di queste persone, attraverso la conversione del permesso umanitario in permesso per motivi di lavoro.
“Analizzando i bisogni delle aziende locali, che lamentano la difficoltà di reperire manodopera per alcune mansioni specifiche, e incrociandoli con il bilancio delle competenze dei migranti incontrati negli anni, si è giunti all’elaborazione di quattro percorsi formativi dedicati ad altrettanti profili professionali: saldatore, addetto ai quadri elettrici industriali, pizzaiolo e panettiere, addetto alla cucina” spiegano i responsabili del progetto.
Prima, la formazione laboratoriale di 100 ore propedeutica all’ingresso in azienda, che si svolge tra il Centro diocesano di formazione professionale di Fonte (laboratori di saldatura e di addetto ai quadri elettrici industriali) e le cucine professionali del territorio (pizzaiolo, panettiere e addetto alla cucina). Quindi, la formazione “on the job” che permette ai destinatari di entrare in contatto con le aziende interessate a conoscere nuovi lavoratori, un aspetto fondamentale nel processo d’integrazione. L’esperienza in azienda si svolgerà attraverso l’attivazione di un tirocinio di inserimento lavorativo, costantemente accompagnato da un tutor esperto.

 

L’incontro di due domande e di due risposte

Nella conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa il vicario generale, mons. Adriano Cevolotto, ha ricordato come è nata l’idea del progetto: “A fine aprile la Caritas tarvisina, insieme ad altre realtà del nostro territorio, annunciarono -suscitando un serio dibattito, unito a illazioni quantomeno di cattivo gusto – la rinuncia a concorrere al bando di accoglienza per richiedenti asilo, perché erano venute meno le condizioni per lavorare nel rispetto della dignità delle persone e per favorire la loro integrazione. In quella sede si precisò che era ferma l’intenzione di continuare a volgere lo sguardo su chi sarebbe stato messo in una condizione di precarietà e di marginalità. Eccoci. Puntuali, lasciatemelo dire – ha detto mons. Cevolotto -. La situazione, che è stata generata, di estrema vulnerabilità per quanti hanno un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari, espone queste persone a un esito assai preoccupante. Infatti il rinnovo (sempre temporaneo) è possibile solo per ‘casi speciali’. Per garantire loro una qualche prospettiva (vale a dire la trasformazione del permesso per motivi umanitari in permesso per lavoro) si è pensato di metterli nelle condizioni di inserirsi nel mondo del lavoro. Si è allora cercato di far incontrare una duplice domanda – di manodopera specializzata, ed insieme la domanda di futuro – con una duplice risposta – di giovani disponibili e motivati dal desiderio e dalla volontà di rimanere, e di aziende con una necessità di personale introvabile”.

In collaborazione con la comunità
Altro importante punto di forza di Casa Giavera è la possibilità di accoglienza offerta a tutte le persone che parteciperanno ai percorsi formativi. Temporaneamente sollevati dalle preoccupazioni materiali di vitto e alloggio, il progetto garantisce ai beneficiari, per un massimo di 6 mesi, le condizioni per vivere a pieno l’opportunità formativa.
L’aspetto della residenzialità è necessario per poter accompagnare la persona in un percorso intensivo che, in tempi circoscritti, la renda economicamente autonoma così da poter accedere al mercato immobiliare e avere il permesso di soggiorno adeguato, sia per restare nel territorio nazionale e sia nell’eventuale esigenza di spostarsi verso altre mete.
Per agevolare l’accesso ai laboratori professionalizzanti è stato organizzato il trasporto da Casa Giavera fino al Cfp di Fonte, attraverso il coinvolgimento di 14 volontari, cittadini del territorio che si alternano nei diversi turni di trasporto. Un alto numero di volontari delle parrocchie che compongono la Collaborazione pastorale di Giavera -Nervesa è attivo nel portare avanti altre attività di sostegno all’autonomia delle persone accolte, a partire dai laboratori di conversazione per migliorare la conoscenza della lingua italiana.

“A nome del Vescovo e dell’intera comunità diocesana – ha concluso mons. Cevolotto – un grazie riconoscente a tutti gli attori di questo ‘segno’ che ha la forza del seme, capace di rompere anche la crosta di una terra che può essere arida. A tutti gli attori, compresi i 32 giovani migranti che non si possono pensare come semplici fruitori, bensì protagonisti attivi del progetto. Infatti, la buona riuscita di quanto è stato ideato dipende molto anche da loro”.