Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Treviso,
ancora una volta ci è dato di vivere l’inestimabile dono della Pasqua. Pensando ad essa ci sorge forse la domanda: perché Gesù ha voluto che la sua risurrezione, diversamente dalla sua morte in croce, avvenisse non davanti a numerose persone, ma senza che nessuno potesse assistere a tale evento? Non sarebbe stato tutto più evidente e dunque più semplice anche per noi e per la nostra fede? Invece, nemmeno un testimone, nemmeno un piccolo bagliore nella notte scorto da lontano, e neppure, ci pare, un sia pur tenue presentimento nell’animo di chi gli voleva bene. Solo una tomba spalancata e vuota, che lascia sorpresi, anzi increduli, addirittura impauriti. Nel racconto di Marco le donne, come prima reazione, «fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 16,8).
Siamo consapevoli che la nostra mente e la nostra esperienza sono troppo piccole per capire i grandi misteri di Dio, e non ci troviamo subito a nostro agio di fronte alla sua “logica”, che spesso sembra fare a pugni con la nostra “ragionevolezza”. Ci colpisce, tuttavia, il fatto che nei vangeli sinottici accanto alla tomba vuota appaia qualche misterioso personaggio il quale non solo conferma che Gesù è davvero risorto («È risorto! Non è qui!»), ma anche rimanda a parole di Gesù già sentite e, sembra, facilmente dimenticate. In Matteo viene detto alle donne: «È risorto, infatti, come aveva detto (Mt 28,6).
In Marco: «Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto» (Mc 16,7). In Luca le donne si sentono dire, in maniera ancora più esplicita: «Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno» (Lc 24,7). Come, dunque, se venisse detto: ma perché vi meravigliate che la tomba sia vuota? Non ricordate forse più? Perché non avete dato fiducia alla sua parola?
In effetti, come noi ci ripetiamo spesso, la fede in Dio che altro è se non dargli fiducia, fidarci di Lui fino in fondo? E fidarci pur non disponendo di evidenze schiaccianti (anche se siamo sempre tentati di cercarle, di volerle vedere in “prodigi” che costringano a dire: non può che essere così!).
In verità siamo cristiani grazie alla fede. Cristo lo si conosce veramente e lo si incontra nella fede, non come risultato di una ricerca scientifica, non come la presa d’atto di una constatazione a tutti palese e indubitabile. È per questo che nel cuore della grande celebrazione della Pasqua – la Veglia pasquale – ci è chiesto di riaffermare con gioiosa convinzione la nostra fede, rinnovando le cosiddette “promesse battesimali” e ripetendo: credo, credo, credo.
Ecco, la Pasqua ci mette inesorabilmente di fronte alla nostra fede, al nostro spoglio fidarci di Lui, accogliendo il messaggio rivolto alle donne: non cercate tra i morti colui che è vivo (cf. Lc 24,5). Il Natale lo abbiamo circondato di molta poesia (non sempre di ottimo gusto), di tradizioni un po’ esteriori, e sembra che lo festeggino volentieri anche cristiani poco ferventi, o forse poco credenti. Pasqua invece ha una sua austerità, una sua asciuttezza, quasi una sua nudità. È difficile crearci attorno favole per bambini, dolci melodie, luminarie e carillon. A Pasqua non c’è un presepio, dove ci si può mettere di tutto (spesso con simpatica fantasia), ma solo una tomba da cui è sorprendentemente rotolata via una pesante pietra. E un cadavere si è trasformato – se così si può dire – nel più vivo dei vivi. Il Risorto è il Vivente per eccellenza, portatore di vita all’umanità intera. Così leggiamo nella folgorante apertura di Christus vivit, la recente Esortazione di papa Francesco dopo il Sinodo sui giovani: «Cristo vive… Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita».
Ma abbiamo bisogno di lasciarci provocare da quel: “Non ricordate quello che vi aveva detto?”. Abbiamo bisogno di metterci con più intensa attenzione davanti alla vicenda di Gesù e alle sue parole, di capire meglio chi è Lui per noi. E allora ci renderemo conto che pietre, anche pesanti, possono rotolare via dalla nostra esistenza. Perfino quel masso enorme, pesantissimo, che sbarra la strada alla vita: la morte. Come pure tutto ciò che sa di morte e che fa morire la speranza, la dignità umana, che spegne o ferisce o rifiuta l’amore. Perché la Pasqua viene dall’amore, è frutto di un Amore che non ha eguali ed è più enorme, più poderoso della stessa morte.
Per noi cristiani la Pasqua è questo. E usando il linguaggio di papa Francesco potremmo dirci: non lasciamoci rubare la Pasqua! Ma anche: non ripudiamola con i nostri egoismi e con le nostre durezze di cuore.
Auguro a tutti, soprattutto a coloro che sono più segnati dalle fatiche dell’esistenza e più feriti dal non-amore, di celebrare e vivere una Pasqua cristiana, un vero incontro con Colui che è vivo.
† Gianfranco Agostino Gardin