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La nostra Diocesi al Santo: pellegrini verso Gesù

Accolti dal rettore della basilica padre Oliviero Svanera, più di duemila fedeli provenienti da tutta la diocesi di Treviso hanno partecipato insieme al vescovo Gianfranco Agostino Gardin al tradizionale pellegrinaggio annuale alla tomba di Sant’Antonio a Padova giovedì 6 giugno. La santa messa è stata concelebrata dal vescovo insieme al vicario generale mons. Adriano Cevolotto, al vicario per la pastorale mons. Mario Salviato e da una trentina di altri sacerdoti diocesani. Nell’omelia il vescovo, prendendo lo spunto dal Vangelo di Giovanni, ha sottolineato più volte il senso dell’essere pellegrini, come individui e come Chiesa, chiamati cioè a camminare verso la meta che è Gesù. In questo cammino i santi, come Antonio di Padova, ci guidano e ci accompagnano, facendoci la grazia di cui abbiamo bisogno, e cioè cogliere fino in fondo il messaggio di amore vero che deve alimentare la nostra vita. Commentando, infine, un miracolo della vita di Antonio, il vescovo ha chiesto a tutti di saper mettere il cuore nella vita vera, nella speranza, nel dono di sé. Solo così il nostro cammino di fede sarà autentico come quello che i santi, e sant’Antonio in particolare, hanno fatto. Al termine della messa mons. Gardin ha guidato tutti i pellegrini ad accarezzare la tomba di sant’Antonio, affinché la sua consolazione e il suo aiuto possano sostenerci nelle fatiche quotidiane. Infine con un forte “evviva sant’Antonio” pronunciato dal padre rettore, cui è seguito un fragoroso applauso, l’assemblea si è sciolta. (Paolo Gatto)

Servizio fotografico di Giorgio Boato

Mercoledì delle Ceneri in cattedrale

Mercoledì 6 marzo alle ore 20, in Cattedrale, l’arcivescovo Gianfranco Agostino Gardin, vescovo di Treviso, presiederà la santa messa con l’imposizione delle ceneri. La celebrazione inizierà il cammino quaresimale, in sede diocesana, con gli impegni di preghiera, digiuno, elemosina, tipici di questo tempo.
Il Vescovo invita i parroci e i fedeli delle parrocchie cittadine dentro le mura. Sono invitati alla concelebrazione il Presidente e i membri del Capitolo della Cattedrale, il Vicario generale, l’Arciprete della parrocchia nella Cattedrale, il Rettore del Seminario, il Direttore della Caritas diocesana, i Superiori delle comunità religiose presenti in città, gli educatori del Seminario vescovile. All’Eucaristia prenderanno parte le comunità del Seminario. I sacerdoti sono pregati di presentarsi per tempo in sacrestia con camice e stola viola. (don Matteo Andretto, responsabile per le celebrazioni episcopali)

Il Seminario: un cenacolo e un laboratorio. Messaggio del Vescovo per la Giornata

Celebrare la Giornata del Seminario significa ricordare quanto importante sia per una Chiesa diocesana il dono di giovani che si preparano a diventare presbiteri; e anche quanto necessari siano il discernimento accurato della loro vocazione, la loro formazione e il loro sapiente accompagnamento verso l’ordinazione sacerdotale.

In questo ultimo tempo il numero dei seminaristi del nostro Seminario maggiore – quello cioè formato dai giovani degli ultimi sei-sette anni di formazione – è diminuito in maniera consistente (ciò che sta avvenendo, del resto, in tutte le diocesi del Triveneto, e non solo). Non è certo questo breve messaggio il luogo per tentare di addentrarci nelle ragioni, senza dubbio complesse, di questo calo. Si tratta, comunque, di un fenomeno che ci interpella tutti, preti e laici, Chiesa diocesana e comunità parrocchiali. A me preme solo dire, in questa circostanza, che noi non cessiamo di credere fermamente nella funzione del Seminario, e che nulla deve distoglierci dal continuare a farne una realtà verso la quale non vanno risparmiate cure e attenzioni, offerte formative serie e anche esigenti, ovviamente diverse in relazione alle varie età dei seminaristi e alle differenti fasi educative. Questa è anche l’occasione per testimoniare, da parte mia, la presenza e l’impegno di un gruppo di preti che per il Seminario lavorano con grande disponibilità e dedizione, anche sacrificando generosamente una personale propensione alla vita pastorale nelle parrocchie. Essi meritano davvero la gratitudine di tutti; così come la meritano i molti che, in maniere diverse, aiutano il Seminario.

E qui il mio pensiero corre alla figura di don Pierluigi Guidolin, il rettore del Seminario degli ultimi cinque anni, che il giugno scorso ci è stato strappato da una morte prematura, quando al Seminario stava dando il meglio di sé. Per me è difficile ricordare don Pierluigi al di fuori del Seminario: del resto vi ha speso, con passione crescente, 20 dei suoi 23 anni di sacerdozio. Devo dire che ha aiutato anche me a guardare al Seminario con ancora più intenso affetto e a riconoscerlo come un bene preziosissimo da custodire con cura, a scorgere nei seminaristi dei figli da amare con premurosa dedizione.

È proprio la vita evangelicamente e lucidamente spesa per gli altri di don Pierluigi, in particolare per la causa delle vocazioni presbiterali, che invita a riflettere su due domande.

La prima è: si è forse prosciugata la sorgente che genera nel cuore di ragazzi, adolescenti e giovani il desiderio di mettere la propria vita a servizio dell’annuncio di Gesù, del vangelo, della comunità dei credenti? Don Pierluigi aveva chiesto che il brano evangelico del suo funerale fosse quello in cui Gesù presenta se stesso come il chicco di grano che, caduto in terra, muore e produce molto frutto (cf. Gv 12,24). Aveva scritto che in quelle parole egli scorgeva in filigrana la sua vicenda vocazionale. Ebbene, dobbiamo credere che il farsi, come Gesù, chicco seminato nel terreno di una donazione di sé che genera vita cristiana, può ancora affascinare chi non voglia non tenersi stretta, solo per sé, la propria esistenza («chi ama la propria vita, la perde», sono le parole di Gesù che spiegano l’immagine del chicco di grano che muore). Mi viene da dire: dobbiamo scovarli, questi giovani desiderosi di donarsi, dobbiamo aiutarli a identificare in loro una chiamata che forse stenta a farsi strada in mezzo a situazioni intricate, dentro storie attraversate da vari condizionamenti, anche da controtestimonianze; dobbiamo, soprattutto, farli incontrare con Gesù. E le comunità cristiane devono sempre più prendere coscienza che i futuri preti non si “fabbricano” artificialmente; certo, si formano, ma soprattutto si aiutano a scoprire e a dissotterrare “il tesoro nel campo” di cui ci parla il vangelo. Questo tesoro è Gesù, l’uomo totalmente per gli altri.

La seconda domanda è come accompagnare, sostenere e rendere solida la risposta di chi percepisce la chiamata al sacerdozio. Qui il Seminario trova tutto il suo senso come cenacolo e come laboratorio. Come cenacolo: luogo in cui ci si aiuta insieme (formatori e formandi), attorno a Gesù, ad assumere una vita che si conforma a Lui e impregnata di servizio alla Chiesa. Come laboratorio: luogo in cui si cerca di comprendere come essere autentici presbiteri per l’oggi e per il domani di una Chiesa che, se vuol essere fedele al suo Signore e Maestro, deve sempre riformare se stessa.

Tutto questo domanda luce e forza dello Spirito Santo, preghiera, fiducia nell’azione di Dio, solidarietà dell’intera Chiesa diocesana. Ma chiede anche modelli sacerdotali capaci di affascinare, e poi comunità cristiane che non “pretendano” preti, ma li sappiano generare come grembo fecondo, e li amino: dal primo giorno del loro ingresso in Seminario fino a quando li “restituiscono”, con gratitudine, al Signore che li ha chiamati e a quelle comunità li ha inviati.

 

† Gianfranco Agostino Gardin