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L’omelia del Vescovo nella messa di Pasqua: “Se Cristo è davvero risorto, allora possiamo sperare”

Messa di Pasqua 2022 in cattedrale con il vescovo

Omelia del vescovo Michele Tomasi nella messa del giorno di Pasqua – cattedrale di Treviso – 17 aprile 2022:

Cari fratelli e sorelle in Cristo: «Buona Pasqua»!

Anche oggi siamo riuniti insieme per celebrare la vittoria sulla morte, la Risurrezione di Cristo, il Vangelo di una tomba vuota che sconvolge tutto ciò che siamo pronti ad accogliere e a credere.

È alla durezza e all’inevitabilità apparente del male, infatti, che nel concreto siamo abituati e disposti a credere. Vediamo il male, ne percepiamo la forza brutale, l’inesorabile presenza nella nostra vita.

Soprattutto in questi nostri tempi inquieti e dolorosi, non reggono più le sicurezze che ci eravamo costruiti, la fede ingenua in una bontà conquistata dall’umanità, nell’impossibilità del ritorno, anche nella nostra pacifica Europa, alla barbarie della guerra. Invece, ecco di nuovo irrompere la ragione irragionevole della forza bruta che porta all’arbitrio del più forte, la lotta di tutti contro tutti, e ancora risuonare la triste profezia come unica parola di apparente saggezza: «homo homini lupus»: l’uomo è lupo per l’altro uomo.

È doloroso, ma non ci sorprende: la guerra in Europa è solo l’ultima di una serie che continua ad insanguinare ogni parte del mondo; la violenza e la sopraffazione sono all’ordine del giorno a tantissimi livelli, la precarietà e la fragilità della vita ci sono ormai quotidianamente presenti attraverso le vicende della pandemia, la diseguaglianza sembra essere inevitabile corollario di ogni attività umana.

Niente di nuovo sotto il sole, dunque.

Ma ecco, ancora una volta, si ripresenta l’annuncio di una tomba vuota. Anche i tentativi di darsi una spiegazione plausibile, come il trafugamento del corpo, una prima teoria del complotto. E ci sono corse avanti e indietro tra il sepolcro ed il cenacolo, annunci non creduti, testimonianze ritenute poco attendibili, sguardi che non riescono a rendersi conto del senso di quanto stanno vedendo.

Ma quel sepolcro vuoto è lì.

Nulla nella storia sino ad ora è riuscito a cancellarne la presenza.

Il dato di fatto di un sepolcro vuoto.

E la testimonianza delle donne, degli apostoli, dei testimoni. Sono stati costretti ad accogliere l’impossibile, a credere l’incredibile e a darne testimonianza, con le parole e con il cambiamento di vita.

I testimoni hanno rimesso in gioco la loro vita non per un’invenzione, non per una teoria o una riflessione teologica, non perché incapaci di accettare la durezza della vita. Essi testimoniano perché hanno incontrato il Risorto:

E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10, 39-41).

Noi siamo qui ora perché siamo in una tradizione ininterrotta di persone che hanno creduto a questo annuncio, e che vivendo a partire da esso hanno incontrato a loro volta il Signore: nella Parola, nei Sacramenti, nella comunità, nei poveri, nei piccoli e nei fragili, nelle vicende della vita.

Il nostro augurio di “buona Pasqua” diventa, allora, l’atto più forte e rivoluzionario che possiamo compiere, se è animato e mosso dalla fede nella vittoria di Cristo sul male e sulla morte.

Se Cristo è davvero risorto, allora possiamo sperare.

Allora c’è una forza di vita nella nostra esistenza, allora la speranza non è un’illusione. Allora ci si può impegnare a favore del bene, allora vince la vita. Anche se non sembra. Anche al cospetto di chi pensa di costruire, in un delirio di onnipotenza, la vita su lutti e macerie: anche se la violenza sembra forte, essa è sconfitta da se stessa, perché genera solamente atti di morte.

Il vero realismo diventa allora la fede nella vita, il perdono reciproco, la fraternità vissuta come dono e benedizione, l’impegno per prendersi cura gli uni degli altri, la fatica di rimanere fedeli nell’amore, il continuo sforzo di disarmare i cuori, le menti, le coscienze. La fiducia nella costruzione di un’Europa autentica casa di pace.

L’uomo non rimane allora nemico, non più avversario, ma amico, compagno di strada, fratello e sorella da accogliere e da amare.

«Homo homini amicus, frater”.

Conversione dello sguardo, della mente, del cuore, della vita.

Grazie alla forza donata da Dio.

Grazie alla Risurrezione di Cristo.

Grazie alla presenza qui, tra noi, del vivente, amante della vita.

 

Celebrata in cattedrale la solenne Veglia pasquale presieduta dal Vescovo

“Il dono della Pasqua è accettare il dono di Dio: diventare ogni giorno «nuovi», più luminosi e belli, più vivi”

“La proclamazione della Pasqua, che celebriamo in questa santa Notte, nella «madre di tutte le veglie» è davvero il centro di tutta la nostra fede, il fondamento di ogni nostra speranza, ed è il cuore che genera e sostanzia ogni nostro atto di amore”:  nella solenne Veglia pasquale in cattedrale, questa sera, il Vescovo ha iniziato così l’omelia, dopo la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale, all’esterno, e dopo la Liturgia della Parola che ha ripercorso e fatto rivivere le tappe della storia della salvezza. Nel corso della celebrazione undici catecumeni hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana.

“Tutta la vita della Chiesa è un continuo celebrare la Pasqua, meditarne il senso e il significato, approfondirne il valore – ha ricordato mons. Tomasi -. Tutta l’esistenza della Chiesa e dei discepoli di Cristo è una celebrazione della vita nuova ricevuta in Cristo, risorto e vivo in mezzo a noi”.

E l’ingresso in questa vita nuova ci è donato nel Battesimo, nel quale siamo immersi in Lui, “nel dono di amore che è la sua morte, e siamo resi capaci di una “novità di vita”. Proclamare oggi la nostra fede nella Risurrezione di Cristo – ha sottolineato il Vescovo -, significa tornare alle sorgenti della vita nuova che ci è stata donata. Il cammino della nostra vita sarà allora un continuo ritorno a questa origine, disponibilità quotidiana a rinunciare al potere della morte, del sospetto, della paura”.

“Cari fratelli e sorelle in Cristo, e soprattutto voi, cari catecumeni che ora sarete inseriti in Cristo mediante il battesimo, questo è il dono della Pasqua: accettare il dono di Dio, diventare ogni giorno «nuovi», più luminosi e belli, più vivi. La continua conversione a ciò che il Risorto ci dona nel battesimo è quanto possiamo fare di più potente per il bene del mondo: credere in Dio, cercare la nostra guida soltanto in Cristo e rimanere saldi con Lui contro il male, la morte, la guerra, la violenza. Condividere la vita vera da Figli di Dio, fratelli e sorelle, tutti”.

 

L’omelia integrale del Vescovo:

Veglia pasquale – 16 aprile 2022

Cattedrale di Treviso

La proclamazione della Pasqua, che celebriamo in questa santa Notte, nella «madre di tutte le veglie» è davvero il centro di tutta la nostra fede, il fondamento di ogni nostra speranza, ed è il cuore che genera e sostanzia ogni nostro atto di amore.

Tutta la vita della Chiesa è un continuo celebrare la Pasqua, meditarne il senso e il significato, approfondirne il valore. Tutta l’esistenza della Chiesa e dei discepoli di Cristo è una celebrazione della vita nuova ricevuta in Cristo, risorto e vivo in mezzo a noi.

L’ingresso in questa vita ci è donato nel battesimo, esso “sancisce l’appartenenza dei cristiani a Cristo vivente” (Pino Stancari). Dobbiamo continuare a meditarlo e poi dobbiamo davvero continuare a crederlo: Cristo risorto, il principio della vita nuova è il Cristo crocifisso e morto sulla croce.

Dobbiamo ricordarlo sempre, perché come ci insegna San Paolo – e ci viene annunciato ogni anno, in questa liturgia della notte – se siamo battezzati in Gesù “siamo battezzati nella sua morte”, “siamo stati sepolti insieme a lui nella morte”.

Nel battesimo è morto ciò che siamo in quanto figli di Adamo, ciò che siamo come eredi di Caino, inizia una vita nuova, in Cristo.

Muore tutto ciò che ci fa mettere noi stessi al centro dell’esistenza, muore la nostra pretesa di essere noi stessi il dio della nostra esistenza, muore l’uomo vecchio che cerca con affanno di vincere la morte con le sue sole forze. E così non fa altro che continuare a generare morte.

E come la morte non ha più potere su Cristo Gesù, risorto dai morti, così anche noi, se lasciamo inchiodare l’uomo vecchio sulla croce, saremo “viventi per Dio, in Cristo Gesù”.

Non veniamo liberati dalla nostra condizione mortale, né dalla sofferenza, e nemmeno dalle prove. Dovremo essere sottoposti a prove, subiremo sofferenze, dovremo morire.  Ma non saremo più schiavi, non saremo più guidati dalla paura della morte. Il peccato non ci domina, la mortalità non ci contiene: siamo grandi della stessa vita di Dio, che ci è donata, completamente donata e mai costruita da noi stessi o conquistata dalla volontà o dalla forza.

La nostra vita è tutta racchiusa in questa tensione: tra l’essere morti, liberati dal potere della morte e ancora mortali, liberi dal male perché inseriti realmente in Cristo e ancora in un cammino che fa rivivere l’uomo vecchio, che vive cioè ancora il sospetto primordiale di Adamo verso Dio e la scelta omicida di Caino verso il fratello.

Ma il dono di Dio è irrevocabile: nel battesimo siamo immersi in Lui, nel dono di amore che è la sua morte, e siamo resi capaci di una “novità di vita”.

Proclamare oggi la nostra fede nella Risurrezione di Cristo, significa tornare alle sorgenti della vita nuova che ci è stata donata.

Il cammino della nostra vita sarà allora un continuo ritorno a questa origine, disponibilità quotidiana a rinunciare al potere della morte, del sospetto, della paura.

Ascoltiamo un padre della Chiesa a questo proposito:  “Non pensare che il rinnovamento della vita, che si dice avvenuto una sola volta, sia sufficiente; ma continuamente ogni giorno bisogna fare nuova, se si può dire, la stessa novità. Come infatti l’uomo vecchio continua ad invecchiare e di giorno in giorno si fa più senescente, così anche questo nuovo continua a rinnovarsi e non c’è mai un tempo in cui il suo rinnovamento non si accresca. Camminiamo in novità di vita, mostrandoci ogni giorno nuovi a colui che ci risuscitò con Cristo, e per così dire più belli, cercando in Cristo come in uno specchio la bellezza del nostro volto e, contemplandovi la gloria del Signore, trasformiamoci nella sua stessa immagine, poiché Cristo risorgendo dai morti dalle bassezze terrene è asceso alla gloria della maestà del Padre” (Origene).

Cari fratelli e sorelle in Cristo, e soprattutto voi, cari catecumeni che ora sarete inseriti in Cristo mediante il battesimo, questo è il dono della Pasqua: accettare il dono di Dio, diventare ogni giorno «nuovi», più luminosi e belli, più vivi.

La continua conversione a ciò che il Risorto ci dona nel battesimo è quanto possiamo fare di più potente per il bene del mondo: credere in Dio, cercare la nostra guida soltanto in Cristo e rimanere saldi con Lui contro il male, la morte, la guerra, la violenza.

Condividere la vita vera da Figli di Dio, fratelli e sorelle, tutti.

 

 

Le parole del Vescovo nella celebrazione del Venerdì santo in cattedrale

“La nostra salvezza sta tutta nell’obbedienza a Cristo e alla sua croce”

"Nel dono incondizionato di noi stessi vinciamo ogni logica di morte"

In cattedrale, questa sera, Venerdì santo, il Vescovo ha presieduto l’Azione liturgica della Passione del Signore.

Il Vescovo, nell’omelia che è seguita alla lettura della Passione di Gesù secondo Giovanni, si è lasciato guidare da un passaggio della seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei.

Ecco l’omelia del Vescovo:

“…Egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito” (Eb 5, 7).

Gesù ha chiesto, ha pregato, ha urlato al Padre di venire liberato dalla sofferenza e dalla morte. È stato crocifisso, è morto. Venne esaudito? È possibile dire questo, che è stato esaudito? Questo ha senso solamente alla luce della sua Risurrezione. Così anche quanto aveva scritto il profeta Isaia:

Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità
” (Is 53, 11).

La vittoria sulla morte, sulla sua e sulla nostra morte, avviene solamente grazie a questo pieno abbandono fiducioso di Cristo nelle mani del Padre, e questo abbandono fiducioso assume senso solamente nella luce della Risurrezione. Altrimenti non ci sarebbe questo esaudimento, l’assurdo sarebbe l’ultima parola dell’esistenza. La fiducia, che è il rischio supremo di Cristo, nel suo atto di abbandono nel Getsemani si compie e in essa si realizza la possibilità stessa di un significato della vita, dell’universo, dell’essere stesso in quanto tale.

“Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5,8).

Tutta la storia dell’Incarnazione del Figlio eterno trova qui il suo compendio, la possibilità di essere contemplata nel profondo. Lo dice in modo diverso anche San Paolo, nella lettera ai Filippesi: Cristo Gesù,

pur essendo nella condizione di Dio,
[…] umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce”
(Fil 2, 6.8).

L’obbedienza di Cristo – sin dall’accettazione della propria umanità – ce lo mostra come Figlio senza riserve e senza condizioni, davvero Uno con il Padre. Grazie alla sua obbedienza, in Lui siamo in grado di vedere Dio Padre, colui che nessuno poteva contemplare. Gesù ha imparato dalle vicende della sua vita l’obbedienza: nel suo patire ha continuato ad ascoltare la voce del Padre, le ha donato fiducia, ha cercato fuori di sé il centro profondo della propria libertà, della propria volontà.

“Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,9).

Gesù ha impregnato della sua divinità ogni fibra della sua e della nostra umanità: questa è la perfezione cui egli è giunto, dono per noi. Tutta la divinità arriva con Lui sulla croce, tutta la sua umanità risorge ed è assunta in Dio. In Lui davvero sono uniti in eterno cielo e terra.

La nostra salvezza sta tutta nell’obbedienza a lui, solamente nell’obbedienza a lui. È questo il nostro rischio supremo. Questa la possibilità che ci viene data di vivere autenticamente ed in pienezza. Ce lo insegna l’apostolo Pietro, negli Atti degli Apostoli: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12).

Nessun nostro pensiero, nessuna nostra azione che siano al di fuori della logica dell’obbedienza alla croce di Cristo sapranno superare e vincere la morte nella Risurrezione e nella vita. Abbracciamo la logica del dono incondizionato di sé e vinceremo ogni logica di morte. Tutto il resto andrà perduto. Per sempre”.

 

Dopo l’omelia, la preghiera universale, alla quale è stata aggiunta quest’anno un’intenzione speciale per chi sta soffrendo a causa della guerra:

XI. Per quanti soffrono a causa della guerra

Preghiamo per quanti soffrono a causa della guerra, per le vittime, per i profughi, per gli orfani.
Il Signore Dio nostro asciughi le lacrime,
doni speranza e affretti un’era di pace per tutti i popoli.

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,

che liberi il tuo popolo dall’oppressione dei superbi,

allontana al più presto dall’umanità gli orrori della guerra,

dona al mondo la pace,

perché tutti possano cantare la tua salvezza.

Per Cristo nostro Signore.

 

Infine, la solenne adorazione della Croce.

 

Servizio fotografico a cura di “Fotofilm Treviso”

 

Partecipata messa del Crisma in cattedrale con i sacerdoti che hanno rinnovato le loro promesse

Il “miracolo dell’olio” che ci unisce tutti a Cristo e tra di noi, e ci sostiene nel cammino

“E’ dal 6 ottobre 2019 che non siamo così numerosi, con tutto il presbiterio riunito nella cattedrale della nostra diocesi. Non pensavo potesse essere così commovente”: con queste parole il vescovo Michele Tomasi questa mattina ha salutato i presenti alla Messa del Crisma nel Giovedì santo. Dopo le restrizioni dovute alla pandemia, era la prima volta, infatti, che tutti i sacerdoti diocesani, i religiosi e i sacerdoti di altri Paesi che prestano servizio nelle nostre comunità si ritrovavano insieme, a concelebrare in questa importante occasione, che li ha visti rinnovare le loro promesse sacerdotali. Una celebrazione nella quale il Vescovo ha consacrato l’olio chiamato “crisma” e benedetto l’olio dei catecumeni e degli infermi.

Prima dell’inizio della messa la colletta che viene fatta, da tradizione: una raccolta straordinaria da destinare a situazioni di particolare necessità. In considerazione della situazione di emergenza della popolazione ucraina martoriata dalla guerra, il vescovo Michele ha disposto di sostenere questa finalità. Quanto raccolto verrà destinato a Caritas Italiana, che lo inoltrerà alla Caritas presente in Ucraina.

Il Vescovo all’inizio della celebrazione ha ringraziato per la loro presenza i vescovi emeriti di Treviso, Paolo Magnani e Gianfranco Agostino Gardin, mons. Alberto Bottari De Castello (già arcivescovo titolare di Oderzo e Nunzio apostolico emerito in Ungheria) e mons. Cesare Bonivento (Pime, già vescovo di Vanimo, in Papua Nuova Guinea).

Il saluto del Vescovo, oltre ai confratelli presbiteri, ai religiosi e alle religiose, è andato a tutti i fratelli e le sorelle in Cristo, in particolare ai membri del Consiglio pastorale diocesano, che è stato invitato in modo particolare.  “Siamo, insieme, la Chiesa di Dio riunita, siamo popolo di Dio in cammino”. Mons. Tomasi ha rivolto un saluto anche ai sacerdoti, religiosi e laici “fidei donum” in missione, ai sacerdoti ammalati, a quelli della Casa del clero e, tra loro, a mons. Angelo Daniel, vescovo emerito di Chioggia, e a tutti coloro che seguivano la celebrazione in diretta streaming da casa: “Celebriamo insieme questa Eucaristia, grati al Signore per il dono che Lui ci fa di essere suoi discepoli”.

L’omelia di mons. Tomasi ha avuto al centro il tema del “miracolo dell’olio”. Il Vescovo ha invitato ciascuno a “custodire, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio. Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi. Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo. Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio. L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude”.

 

Ecco l’omelia integrale del Vescovo:

Messa del Crisma – Cattedrale di Treviso – 14 aprile 2022

«Il miracolo dell’olio»

 

Il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1; Lc 4, 18).

Il Messia, il Cristo, è l’Unto dal Signore. Il segno di investitura a guida e servitore del suo popolo è l’unzione con l’olio, elemento centrale, assieme al frumento e al vino, nelle culture mediterranee.

L’olio fresco, appena spremuto, profumato, è «olio di letizia»: assieme ad una coppa traboccante di vino che rinfranca, l’olio versato profuma il capo nel gesto dell’ospitalità e dell’accoglienza.

Se il vino «allieta il cuore dell’uomo» e il pane «sostiene il suo cuore», l’olio ne fa «brillare il volto» (Sal 104, 15), ne fa risaltare la bellezza e l’armonia, ne fa risplendere la profonda dignità. L’olio penetra di sé il corpo che unge, gli dà stabilità di profumo nel tempo, ne conserva il vigore, dona una grazia che permane: l’unzione del Santo, che costituisce i fedeli come creature nuove, rimane in loro, come attesta l’apostolo Giovanni (1Gv 2,27).

Il Signore Gesù ci convoca qui, oggi: siamo la sua Chiesa in cammino in questa nostra storia, e ci associa alla sua unzione, ci unisce tutti nella sua missione di salvezza. Il legame tra noi, tra tutti membri della Chiesa, ci viene donato anche da quest’olio, olio di letizia e di esultanza, segno di gioia, profumo di vita buona. Proviamo a gustare il profumo intenso dell’olio dell’oliva – quello degli infermi e quello dei catecumeni – e gustiamo anche il profumo intenso e forte del crisma, nardo, bergamotto e altri aromi preziosi. Il vincolo che ci lega gli uni agli altri è intenso, aromatico, prezioso, buono e bello come lo sono questi profumi, penetra in noi come lo fa l’olio che ci unge, rimane costitutivo come il segno che lascia in noi il frutto dell’ulivo. Gli olii su cui invocherò ora la benedizione del Signore sono il fondamento su cui si basa ogni legame tra noi, e ce ne insegna la natura e il significato: un dono di grazia che profuma e dà bellezza, che alimenta la nostra vita e che le dà gioia e splendore.

Ci lega la bellezza e la bontà di Dio e non un fato inesorabile, o un dovere contrario alla nostra felicità.

Questi olii sono segno vivo e massimo della sinodalità della Chiesa e della sua splendida e multiforme sacramentalità.

In tutte le sue forme la vita della Chiesa è autenticamente raccolta in questo segno che è davvero olio di letizia, anche nella difficoltà, anche nella prova, di cui non nasconde la forza talvolta travolgente. Non sminuisce la domanda che sorge spontanea nel momento della prova: può davvero esistere un Dio che sia buono e che permetta tutto il male, tutta la sofferenza?

Non ci sono facili risposte o soluzioni buone per ogni situazione. Eppure in ogni situazione chi si affida a Lui non dispera mai che sia donata una fonte di bene che lo Spirito Santo – la Vita di Dio – fa sgorgare e irrompere nella storia, proprio nella forma della consacrazione, dall’unzione.

È olio che ci unisce tutti a Dio, e in lui tra noi.
Al centro e al fondo della vita di tutta la Chiesa vi è quest’olio, quest’unzione: dono sovrabbondante, gratuito, che sta al di là di ogni utile, ma ciò nonostante – o forse proprio per questo – resta radicalmente necessario.
È questo che impregna di Spirito i Sacramenti, un legame di benedizione, di fecondità, di cura, di letizia, di gioia, di pace.
Siamo profumati della gioia che prova Dio nel crearci e nel trovarci amati davanti a sé, accolti e abbracciati dal suo amore. Lieto, leggero, creatore.

Siamo innestati – rami di olivo selvatico – nell’olivo buono che è Cristo (Rm 11), e siamo consacrati re, sacerdoti e profeti in Lui, mediante il battesimo. Siamo segnati dal sigillo dello Spirito Santo che ci è dato in dono e conformati sempre più a lui nella Cresima, per portare la sua Parola e la sua vita in tutte le situazioni della vita.

Cari fratelli nel presbiterato, le nostre mani sono state unte dal crisma il giorno dell’ordinazione presbiterale, con l’invocazione di poter essere «custoditi» dall’Unto del Padre “per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”. Continuiamo, con l’aiuto di Dio, a confermarci nella fattiva disponibilità a questo ministero.

E voi, carissimi fratelli nell’episcopato, ricordate sicuramente il dono di gioia, l’abbraccio tenero e forte dello Spirito quando l’olio del crisma è stato versato sul nostro capo, il giorno dell’ordinazione episcopale:

È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste”
(Sal 133,2).

E gli olii in questa celebrazione vengono portati solennemente all’altare dai diaconi, conformati sacramentalmente a Cristo (all’unto) servo: servitori, con Lui, della gioia e del profumo della festa, collaboratori della spirituale materialità della vita sacramentale della Chiesa.

E ancora, ogni vita di consacrazione a Dio e ai fratelli diventa – ogni qual volta riesce ad abbandonarsi al suo amore – un profumo di speranza e di consolazione che si spande nelle pieghe concrete della vita, negli snodi fondamentali della storia.

Anche gli altari sono unti dal crisma, perché possano essere “segno visibile del mistero di Cristo e della Chiesa”, in un continuo richiamo e dialogo tra la comunità dei cristiani nel mondo e la casa che ospita la comunità e la sua liturgia di lode.

Siamo tutti intessuti in un’unica multiforme trama di bene, nel segno comune dell’olio, il frutto dell’ulivo, pianta tenace che dona il «miracolo dell’olio”.

Olio che a tutti, come ai catecumeni, dona di “comprendere più profondamente il Vangelo di Cristo; […] di assumere con generosità gli impegni della vita cristiana; […] di gustare la gioia di rinascere e vivere nella Chiesa”.

Olio che a tutti, come agli infermi, doni “conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e liberi da ogni malattia, angoscia e dolore”, olio che il buon samaritano versa sulle ferite dell’uomo ferito, sul ciglio della strada, olio che deve ancora venire per tanti feriti e colpiti dalla storia e dalla malvagità dell’uomo, per i quali

Dalla pianta dei piedi alla testa
non c’è nulla di sano,
ma ferite e lividure
e piaghe aperte,
che non sono state ripulite né fasciate
né curate con olio
(Is 1,6).

Ecco il «miracolo dell’olio» che tutti ci unisce a Cristo e tra di noi, che ci sostiene sul cammino, che ci dona un profumo che allieta gli stanchi e gli sfiduciati, che fa di noi messaggeri della lieta novella e che ci invia a “portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2).

È “il miracolo della vita che riemerge contro ogni speranza, il miracolo dell’unzione assorbita ed espressa nella compassione” (Jean-Pierre Sonnet).

Il «miracolo dell’olio» è anche la condivisione che continua al di là di ogni esclusiva di proprietà privata ma si fa responsabilità per il bene comune. Così infatti la legge per Israele:

“«Quando scuoterai i tuoi olivi, non tornerai a fare la raccolta; ciò che resta sarà per l’emigrante, l’orfano e la vedova […]. Ricorderai che nel paese d’Egitto eri schiavo; perciò ti ordino di mettere in pratica questa parola» (Dt 24,20.22). Il miracolo, quindi, è anche quello di una cultura sociale attenta alla destinazione più ampia possibile dei frutti della terra. Una società dignitosa è una società che protegge il diritto dei più poveri non soltanto a essere nutriti, ma anche a contribuire al loro cibo: è questa la dignità dello spigolare” (Jean-Pierre Sonnet).

Custodiamo, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio.

Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi.

Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo.

Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio.

L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude.

 

In allegato il libretto della celebrazione

 

 

 

 

Partecipata messa del Crisma in cattedrale con i sacerdoti diocesani che hanno rinnovato le loro promesse

Il “miracolo dell’olio” che ci unisce tutti a Cristo e tra di noi, e ci sostiene nel cammino

“E’ dal 6 ottobre 2019 che non siamo così numerosi, con tutto il presbiterio riunito nella cattedrale della nostra diocesi. Non pensavo potesse essere così commovente”: con queste parole il vescovo Michele Tomasi questa mattina ha salutato i presenti alla Messa del Crisma nel Giovedì santo. Dopo le restrizioni dovute alla pandemia, era la prima volta, infatti, che tutti i sacerdoti diocesani, i religiosi e i sacerdoti di altri Paesi che prestano servizio nelle nostre comunità si ritrovavano insieme, a concelebrare in questa importante occasione, che li ha visti rinnovare le loro promesse sacerdotali. Una celebrazione nella quale il Vescovo ha consacrato l’olio chiamato “crisma” e benedetto l’olio dei catecumeni e degli infermi.

Prima dell’inizio della messa la colletta che viene fatta, da tradizione: una raccolta straordinaria da destinare a situazioni di particolare necessità. In considerazione della situazione di emergenza della popolazione ucraina martoriata dalla guerra, il vescovo Michele ha disposto di sostenere questa finalità. Quanto raccolto verrà destinato a Caritas Italiana, che lo inoltrerà alla Caritas presente in Ucraina.

Il Vescovo all’inizio della celebrazione ha ringraziato per la loro presenza i vescovi emeriti di Treviso, Paolo Magnani e Gianfranco Agostino Gardin, mons. Alberto Bottari De Castello (già arcivescovo titolare di Oderzo e Nunzio apostolico emerito in Ungheria) e mons. Cesare Bonivento (Pime, già vescovo di Vanimo, in Papua Nuova Guinea).

Il saluto del Vescovo, oltre ai confratelli presbiteri, ai religiosi e alle religiose, è andato a tutti i fratelli e le sorelle in Cristo, in particolare ai membri del Consiglio pastorale diocesano, che è stato invitato in modo particolare.  “Siamo, insieme, la Chiesa di Dio riunita, siamo popolo di Dio in cammino”. Mons. Tomasi ha rivolto un saluto anche ai sacerdoti, religiosi e laici “fidei donum” in missione, ai sacerdoti ammalati, a quelli della Casa del clero e, tra loro, a mons. Angelo Daniel, vescovo emerito di Chioggia, e a tutti coloro che seguivano la celebrazione in diretta streaming da casa: “Celebriamo insieme questa Eucaristia, grati al Signore per il dono che Lui ci fa di essere suoi discepoli”.

L’omelia di mons. Tomasi ha avuto al centro il tema del “miracolo dell’olio”. Il Vescovo ha invitato ciascuno a “custodire, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio. Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi. Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo. Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio. L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude”.

 

Ecco l’omelia integrale del Vescovo:

Messa del Crisma – Cattedrale di Treviso – 14 aprile 2022

«Il miracolo dell’olio»

 

Il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1; Lc 4, 18).

Il Messia, il Cristo, è l’Unto dal Signore. Il segno di investitura a guida e servitore del suo popolo è l’unzione con l’olio, elemento centrale, assieme al frumento e al vino, nelle culture mediterranee.

L’olio fresco, appena spremuto, profumato, è «olio di letizia»: assieme ad una coppa traboccante di vino che rinfranca, l’olio versato profuma il capo nel gesto dell’ospitalità e dell’accoglienza.

Se il vino «allieta il cuore dell’uomo» e il pane «sostiene il suo cuore», l’olio ne fa «brillare il volto» (Sal 104, 15), ne fa risaltare la bellezza e l’armonia, ne fa risplendere la profonda dignità. L’olio penetra di sé il corpo che unge, gli dà stabilità di profumo nel tempo, ne conserva il vigore, dona una grazia che permane: l’unzione del Santo, che costituisce i fedeli come creature nuove, rimane in loro, come attesta l’apostolo Giovanni (1Gv 2,27).

Il Signore Gesù ci convoca qui, oggi: siamo la sua Chiesa in cammino in questa nostra storia, e ci associa alla sua unzione, ci unisce tutti nella sua missione di salvezza. Il legame tra noi, tra tutti membri della Chiesa, ci viene donato anche da quest’olio, olio di letizia e di esultanza, segno di gioia, profumo di vita buona. Proviamo a gustare il profumo intenso dell’olio dell’oliva – quello degli infermi e quello dei catecumeni – e gustiamo anche il profumo intenso e forte del crisma, nardo, bergamotto e altri aromi preziosi. Il vincolo che ci lega gli uni agli altri è intenso, aromatico, prezioso, buono e bello come lo sono questi profumi, penetra in noi come lo fa l’olio che ci unge, rimane costitutivo come il segno che lascia in noi il frutto dell’ulivo. Gli olii su cui invocherò ora la benedizione del Signore sono il fondamento su cui si basa ogni legame tra noi, e ce ne insegna la natura e il significato: un dono di grazia che profuma e dà bellezza, che alimenta la nostra vita e che le dà gioia e splendore.

Ci lega la bellezza e la bontà di Dio e non un fato inesorabile, o un dovere contrario alla nostra felicità.

Questi olii sono segno vivo e massimo della sinodalità della Chiesa e della sua splendida e multiforme sacramentalità.

In tutte le sue forme la vita della Chiesa è autenticamente raccolta in questo segno che è davvero olio di letizia, anche nella difficoltà, anche nella prova, di cui non nasconde la forza talvolta travolgente. Non sminuisce la domanda che sorge spontanea nel momento della prova: può davvero esistere un Dio che sia buono e che permetta tutto il male, tutta la sofferenza?

Non ci sono facili risposte o soluzioni buone per ogni situazione. Eppure in ogni situazione chi si affida a Lui non dispera mai che sia donata una fonte di bene che lo Spirito Santo – la Vita di Dio – fa sgorgare e irrompere nella storia, proprio nella forma della consacrazione, dall’unzione.

È olio che ci unisce tutti a Dio, e in lui tra noi.
Al centro e al fondo della vita di tutta la Chiesa vi è quest’olio, quest’unzione: dono sovrabbondante, gratuito, che sta al di là di ogni utile, ma ciò nonostante – o forse proprio per questo – resta radicalmente necessario.
È questo che impregna di Spirito i Sacramenti, un legame di benedizione, di fecondità, di cura, di letizia, di gioia, di pace.
Siamo profumati della gioia che prova Dio nel crearci e nel trovarci amati davanti a sé, accolti e abbracciati dal suo amore. Lieto, leggero, creatore.

Siamo innestati – rami di olivo selvatico – nell’olivo buono che è Cristo (Rm 11), e siamo consacrati re, sacerdoti e profeti in Lui, mediante il battesimo. Siamo segnati dal sigillo dello Spirito Santo che ci è dato in dono e conformati sempre più a lui nella Cresima, per portare la sua Parola e la sua vita in tutte le situazioni della vita.

Cari fratelli nel presbiterato, le nostre mani sono state unte dal crisma il giorno dell’ordinazione presbiterale, con l’invocazione di poter essere «custoditi» dall’Unto del Padre “per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”. Continuiamo, con l’aiuto di Dio, a confermarci nella fattiva disponibilità a questo ministero.

E voi, carissimi fratelli nell’episcopato, ricordate sicuramente il dono di gioia, l’abbraccio tenero e forte dello Spirito quando l’olio del crisma è stato versato sul nostro capo, il giorno dell’ordinazione episcopale:

È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste”
(Sal 133,2).

E gli olii in questa celebrazione vengono portati solennemente all’altare dai diaconi, conformati sacramentalmente a Cristo (all’unto) servo: servitori, con Lui, della gioia e del profumo della festa, collaboratori della spirituale materialità della vita sacramentale della Chiesa.

E ancora, ogni vita di consacrazione a Dio e ai fratelli diventa – ogni qual volta riesce ad abbandonarsi al suo amore – un profumo di speranza e di consolazione che si spande nelle pieghe concrete della vita, negli snodi fondamentali della storia.

Anche gli altari sono unti dal crisma, perché possano essere “segno visibile del mistero di Cristo e della Chiesa”, in un continuo richiamo e dialogo tra la comunità dei cristiani nel mondo e la casa che ospita la comunità e la sua liturgia di lode.

Siamo tutti intessuti in un’unica multiforme trama di bene, nel segno comune dell’olio, il frutto dell’ulivo, pianta tenace che dona il «miracolo dell’olio”.

Olio che a tutti, come ai catecumeni, dona di “comprendere più profondamente il Vangelo di Cristo; […] di assumere con generosità gli impegni della vita cristiana; […] di gustare la gioia di rinascere e vivere nella Chiesa”.

Olio che a tutti, come agli infermi, doni “conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e liberi da ogni malattia, angoscia e dolore”, olio che il buon samaritano versa sulle ferite dell’uomo ferito, sul ciglio della strada, olio che deve ancora venire per tanti feriti e colpiti dalla storia e dalla malvagità dell’uomo, per i quali

Dalla pianta dei piedi alla testa
non c’è nulla di sano,
ma ferite e lividure
e piaghe aperte,
che non sono state ripulite né fasciate
né curate con olio
(Is 1,6).

Ecco il «miracolo dell’olio» che tutti ci unisce a Cristo e tra di noi, che ci sostiene sul cammino, che ci dona un profumo che allieta gli stanchi e gli sfiduciati, che fa di noi messaggeri della lieta novella e che ci invia a “portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2).

È “il miracolo della vita che riemerge contro ogni speranza, il miracolo dell’unzione assorbita ed espressa nella compassione” (Jean-Pierre Sonnet).

Il «miracolo dell’olio» è anche la condivisione che continua al di là di ogni esclusiva di proprietà privata ma si fa responsabilità per il bene comune. Così infatti la legge per Israele:

“«Quando scuoterai i tuoi olivi, non tornerai a fare la raccolta; ciò che resta sarà per l’emigrante, l’orfano e la vedova […]. Ricorderai che nel paese d’Egitto eri schiavo; perciò ti ordino di mettere in pratica questa parola» (Dt 24,20.22). Il miracolo, quindi, è anche quello di una cultura sociale attenta alla destinazione più ampia possibile dei frutti della terra. Una società dignitosa è una società che protegge il diritto dei più poveri non soltanto a essere nutriti, ma anche a contribuire al loro cibo: è questa la dignità dello spigolare” (Jean-Pierre Sonnet).

Custodiamo, carissimi fratelli e sorelle, per tutto l’anno a venire il buon profumo di quest’olio.

Il buon profumo della vita di Dio che si dona a tutti noi.

Il buon profumo delle relazioni nel popolo di Dio che ci facciano gioire profondamente dell’amore fraterno, olio che scende sul nostro capo.

Il buon profumo da spargere in un mondo altrimenti troppo triste, sfiduciato, e grigio.

L’olio del Cristo accenderà anche la fiamma delle nostre lampade, e avremo luce sul nostro cammino insieme, luce di vita per le strade del mondo e del tempo, per ogni uomo e ogni donna che incontreremo, per una speranza che non delude.

 

In allegato il libretto della celebrazione

 

 

 

 


Il Vescovo alla messa per l’anniversario del bombardamento su Treviso: “Oggi più che mai siamo chiamati a sostenere ogni via di pace nella giustizia e nella verità”

Il Vescovo Michele Tomasi questa mattina, nella chiesa di Santa Maria Ausiliatrice, ha presieduto la celebrazione eucaristica per la commemorazione del bombardamento sulla città, il Venerdì santo del 1944, e in suffragio delle vittime. Erano presenti tutte le autorità civili e militari, tra cui il Sindaco di Treviso e il Prefetto, le associazioni combattentistiche e le associazioni delle vittime civili di guerra. Hanno concelebrato don … Continua a leggere Il Vescovo alla messa per l’anniversario del bombardamento su Treviso: “Oggi più che mai siamo chiamati a sostenere ogni via di pace nella giustizia e nella verità” »

Intervento del Vescovo

“Continuiamo la missione nell’amata Amazzonia”: i nuovi progetti dopo la conclusione dell’esperienza a Manaus

Con il saluto alla parrocchia S. Monica di don Claudio Trabacchin e don Roberto Bovolenta si è conclusa la presenza dei nostri missionari “fidei donum” nell’arcidiocesi di Manaus.

Don Roberto e don Claudio durante la mesa di saluto

La collaborazione con la chiesa di Manaus, diocesi inserita in una grande città con più di due milioni di abitanti, è iniziata nel 1996, accogliendo l’appello dei vescovi brasiliani che invitavano a “evangelizzare la città”. Destinati ad alcune aree missionarie della periferia cittadina ben presto la popolazione che lasciava la foresta si diffuse, si riversò quasi in intere zone costruendo piccoli ripari in cartone, sostituiti prima da pareti in legno e successivamente in vere e proprie abitazioni di mattoni. I nostri missionari – preti e laici – si dedicarono alla costituzione di piccole comunità, all’impegno sociale, alla formazione di catechisti e animatori di comunità. Hanno favorito la promozione umana con la difesa dei diritti umani attraverso il “Movimento comunitario Vida e Esperança” sostenuto dal “Gruppone missionario” presente nella nostra Diocesi. Nel tempo non sono mancati anche alcuni coinvolgimenti in servizi diocesani (Caritas, Seminario, Diaconato permanente…).

La Chiesa di Manaus in questi anni si è consolidata con 72 preti diocesani e 120 religiosi. Si tratta di un prete ogni ottomila abitanti (in diocesi di Treviso sono uno ogni 1.500) che a noi potrebbe sembrare molto poco, ma per la realtà dell’Amazzonia è una presenza significativa e preziosa.

Il lungo cammino condiviso con quella realtà diocesana è motivo di gratitudine per l’accoglienza ricevuta e per i legami che sono nati con il desiderio di mantenerli vivi. La nostra riconoscenza va a tutti i missionari e le missionarie che si sono messi a servizio delle persone e delle comunità.

La loro esperienza in Amazzonia ha arricchito anche la Diocesi di Treviso con la storia viva e fedele delle parrocchie in cui essi hanno operato e che stanno riportando all’interno della nostra vita pastorale, riversando l’esperienza della loro fede e del loro amore per Cristo e per la Chiesa, pur in condizioni di vita spesso difficili e precarie.

La messa di saluto ai due sacerdoti, con l’arcivescovo di Manaus, dom Leonardo Steiner e mons. Mario Pasqualotto, vescovo ausiliare emerito di Manaus

Papa Francesco, in seguito al Sinodo sull’Amazzonia ci ha invitati «non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia» (Querida Amazonia n. 90). Per continuare la nostra presenza missionaria è in cantiere una collaborazione di tre diocesi – Padova, Vicenza e Treviso – per inviare dei missionari più a nord di Manaus ai confini con il Venezuela, nella diocesi di Roraima. È un territorio segnato da una forte migrazione dal Venezuela, con i problemi sociali che l’accompagnano. Vi è il desiderio di continuare lo scambio tra Chiese in un contesto culturale e sociale caratterizzato da comunità cristiane piccole, sparse in grandi territori, talora vivaci ma carenti di mezzi.

Con la scelta di inviare ancora dei preti e dei laici alle popolazioni dell’Amazzonia confermiamo l’importanza dell’apertura missionaria della Chiesa di Treviso, della ricchezza e bellezza dello scambio tra Chiese. Potremo essere aiutati a realizzare quella “conversione pastorale e missionaria” necessaria al rinnovamento delle nostre parrocchie. Invito tutti a sostenere i prossimi passi di questo progetto con la preghiera e coltivando un autentico spirito missionario a partire dalla nostra vita quotidiana.

+ Michele, Vescovo

La preghiera per la pace: “Si fermi la guerra, sia fatta giustizia, ma non lasciamoci sfigurare dall’odio, viviamo da operatori di pace”

Una celebrazione davvero intensa quella che si è tenuta nel tempio di San Nicolò domenica sera, 13 marzo, la messa, presieduta dal Vescovo, per chiedere il dono della pace insieme a tutte le comunità dei migranti cattolici presenti in diocesi. Una celebrazione proposta proprio dal Consiglio pastorale di queste comunità, che hanno voluto far sentire la loro particolare vicinanza alla comunità ucraina, presente insieme al … Continua a leggere La preghiera per la pace: “Si fermi la guerra, sia fatta giustizia, ma non lasciamoci sfigurare dall’odio, viviamo da operatori di pace” »

Nella giornata del malato la riflessione di mons. Tomasi

“Anche nella vita di chi soffre una speranza e una promessa di felicità”. Il grazie del Vescovo a quanti si prendono cura delle persone

Parlano di gioia le letture proposte dalla liturgia oggi, nella giornata mondiale del malato – festa della Madonna di Lourdes -. “Ma possiamo davvero parlare di «gioia» di fronte alla sofferenza, al peso della malattia, alla fatica di vivere che essa comporta?” si è chiesto il vescovo Michele Tomasi nell’omelia della messa, da lui presieduta nella basilica di Santa Maria Maggiore (la “Madonna granda” dei trevigiani).

Sembra davvero fuori luogo parlare di gioia “nelle condizioni del nostro tempo, in cui alla fatica dell’essere ammalati si assommano tutti i disagi, le difficoltà e le incertezze di questo tempo di pandemia, che mette tutti sotto pressione, ma in modo particolare chi abbia problemi di salute, che continuano ad essere molti, spesso molto gravi – ha sottolineato il Vescovo -. Eppure, è proprio in queste condizioni, eppure è proprio chi più soffre e vive condizioni di disagio che sente che nel profondo di sé quella promessa di felicità sta sussurrando una parola di speranza. Eppure, sono i momenti ordinari delle nostre vite che chiedono di essere vissuti come luoghi di incontro vero, di incontro straordinario con la pace e la serenità cui da sempre aspiriamo”. E questo è possibile soprattutto grazie alla presenza di “persone amiche e pazienti”, con l’aiuto delle quali si riesce “ad affrontare molto di quanto la vita ti chiede (talvolta anche drammi di un dolore indicibile). Scopri che è possibile un amore che affianca, accompagna, sostiene, pian piano aiuta a guarire” ha ricordato il Vescovo, citando la sua ultima lettera pastorale, nella quale condivide alcune riflessioni sulla sofferenza, sulla vicinanza e la cura, scaturite anche dalla propria personale esperienza in seguito all’infortunio della scorsa estate.

Ed ecco, allora, il grazie a “quanti si prendono cura degli altri, della loro salute, della loro vita: i medici, gli infermieri e tutti i professionisti sanitari e sociosanitari che operano nelle strutture, così come i medici di medicina generale, i pediatri, gli operatori dell’assistenza domiciliare, i farmacisti, chi lavora nei centri vaccinali. Ecco anche chi, nel mondo della sanità svolge compiti direttivi, amministrativi e gestionali. Ecco i ricercatori, i tecnici, gli scienziati che continuano a ricercare farmaci e cure, mettendo in gioco come gli altri competenza e passione. Ecco i familiari e gli amici, che sanno riordinare le priorità della loro vita per accompagnare, accudire, consolare e donare serenità a quanti sono ammalati ed infermi”.

“Prima o poi riesci a guardare alla croce del Signore: amore e dolore. Da lì puoi traguardare verso uno spiraglio, dal quale si insinua la luce della risurrezione. E l’amore torna a donare un respiro, un nuovo passo. Per imparare di nuovo a vivere. Per imparare di nuovo a camminare” ha ricordato il Vescovo, che ha sottolineato il valore della preghiera di tante persone, di intere comunità.

Mons. Tomasi ha ricordato che la Giornata mondiale del malato è stata istituita da Giovanni Paolo II, un papa santo, che “anche nel limite della malattia ha testimoniato la fiducia nel Dio della vita”. A lui e a santa Bertilla, suora infermiera proprio all’ospedale di Treviso, della quale ricorrono i 100 anni della morte, mons. Tomasi ha chiesto di intercedere “perché possiamo incontrare anche noi questo amore e vivere questa gioia”.

Al termine della celebrazione, la preghiera del Vescovo a Maria, di fronte all’immagine della “Madonna granda” conservata nel santuario: “Madre di ogni consolazione, ti affidiamo ogni nostra lacrima e ogni nostro dolore, ogni dubbio ed ogni fatica, ogni fallimento, ogni difficoltà”.

Hanno concelebrato il direttore dell’ufficio di Pastorale della salute, mons. Antonio Guidolin, il vicario per la Pastorale, mons. Mario Salviato, e padre Giovanni Bordignon, della comunità dei Camilliani, cappellani all’ospedale di Treviso, insieme ad altri sacerdoti, anche della comunità dei Padri Somaschi. Cerimoniere, padre Ottavio Bolis, parroco di Madonna Granda.

 

In allegato la preghiera e l’omelia integrale

 

XXX Giornata Mondiale del Malato

Preghiera a Maria

recitata dal Vescovo Michele Tomasi in Santa Maria Maggiore – Treviso

 

Santa Maria, Madre del Signore e Madre nostra,

veniamo a te e osiamo speranza,

noi figli smarriti,

noi viandanti, sperduti

ma consolati dal tuo sguardo

che vede la gioia quando sta per finire

e la Fonte che, sola,

la può rinnovare.

 

“Fate quello che vi dirà”, ci dici,

e l’acqua delle nostre fatiche

diventa il vino

di sguardi che si incontrano,

di vite che tornano a fiorire,

di storie che – interrotte –

non sono finite per sempre,

di strade che – impervie –

conducono ancora a casa.

 

Santa Maria, Madre di ogni consolazione,

ti affidiamo ogni nostra lacrima e ogni nostro dolore,

ogni dubbio ed ogni fatica,

ogni fallimento, ogni difficoltà.

Portali tu al Figlio tuo, Signore e Fratello nostro:

noi faremo come tu dici, faremo ciò che Lui ci dirà:

ameremo come Lui vuole,

perdoneremo come Lui perdona,

saremo servi gli uni degli altri.

 

Santa Maria, Madre di ogni premura

e di ogni cura,

prega per noi.

 

 

 


In cattedrale la messa nella Giornata mondiale della Vita consacrata

Il Vescovo ai consacrati e alle consacrate: “Grazie per il dono che siete, per il bene donato alla Chiesa e al mondo, per la vostra testimonianza di Vangelo”

In cattedrale a Treviso, la sera del 2 febbraio, c’è stata la celebrazione della giornata mondiale della Vita consacrata, nella festa della Presentazione del Signore. Alla messa, presieduta dal vescovo Michele e concelebrata da numerosi sacerdoti, i religiosi, le religiose e le persone consacrate hanno rinnovato i loro impegni di consacrazione.

Alle porte della chiesa la benedizione delle candele, seguita dalla processione dei concelebranti e di una rappresentanza dei religiosi e delle religiose presenti. A loro il Vescovo, nell’omelia, ha rivolto parole di gratitudine “per il dono grande che voi fate e che voi siete. Per il bene donato alla Chiesa e al mondo, per la vostra testimonianza di Vangelo incarnata, contemporanea, per le vostre preghiere per noi, per la vostra dedizione a Dio che passa attraverso la dedizione a questa porzione di popolo di Dio”.

Il Vescovo, riflettendo sulla Lettera agli Ebrei proposta dalla Liturgia, ha ricordato che ciò che sta al centro della vita cristiana è l’espressione della cura tenera e forte di Dio nei nostri confronti: “Da Lui siamo accolti, sostenuti, abbracciati. Non dovremmo mai dare per scontato, ma nemmeno dimenticare che Dio si prende cura della stirpe di Abramo, e di tutti noi. È una verità da credere, da accogliere, da contemplare, da gustare, da amare – ha ricordato mons. Tomasi -. In questa cura, in questo amore si dipana tutta la vicenda della storia della salvezza, della vita cristiana”. Dei personaggi protagonisti del Vangelo, abitati dallo Spirito – la giovane famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe e gli anziani Simeone e Anna – il Vescovo ha messo in luce il dinamismo, fatto di movimento, tensione, desiderio: anche nello “stare” di Anna (“Non si allontanava mai dal tempio”) si può leggere il “movimento interiore nel sostare, nella fedeltà alle scelte e alle situazioni di vita, a ciò che l’obbedienza alla quotidianità ci chiede”.

“Questa è la festa dell’«Incontro» – ha detto il Vescovo -, così l’hanno sempre chiamata le Chiese d’oriente. L’incontro di Dio con il suo popolo, del popolo con il suo Signore che entra nella sua casa, nel suo tempio a Gerusalemme, nella vita della Chiesa e di ciascuno di noi. Preghiamo in modo speciale oggi, Giornata mondiale della Vita Consacrata, per tutti i religiosi, le religiose e i membri delle Società di vita apostolica, “sparsi nel mondo e confermati nel loro carisma”: lo ha chiesto il Papa questa mattina, in occasione dei saluti ai fedeli di tutto il mondo presenti in Aula Paolo VI per l’udienza generale. Voi siete qui, a Treviso, nella nostra Diocesi, assieme a tanti altri, provenienti da tutta la Chiesa, da diversi Paesi del mondo, anche voi mossi dallo Spirito, non come individui isolati, ma come comunità religiose che vivono concretamente un carisma, un dono di bene donato alla Chiesa, al mondo, una testimonianza di Vangelo incarnata, che si esprime in una cultura, contemporanea, nel presente. Sia che siate in movimento nell’apostolato, sia che doniate stabilità di vita nella preghiera, siete segno vivente che ci si può giocare la vita fidandosi del Vangelo, nella Chiesa”. “Cristo, Parola di Dio” è l’invocazione di Francesco, vi “conceda sempre più la forza per essere al servizio dei valori del Regno e di una Chiesa fraterna e vicina a tutti”.

“Noi oggi, tutta la Diocesi di Treviso, la Chiesa tutta prega per voi – ha concluso il Vescovo -, ed esprimiamo così, pregando per voi, la nostra gratitudine per le vostre preghiere per noi, per la dedizione a Dio che passa attraverso la dedizione a questa porzione del popolo di Dio, per il vostro servizio a Dio che è servizio a noi tutti. Siamo grati al Signore di poterlo fare, qui ed ora, in cattedrale e in tutte le parrocchie dove stiamo celebrando questo stesso incontro. E siamo felci di poter essere testimoni del rinnovo della vostra consacrazione, del momento originante della vostra scelta di vita, del vostro dono grande, che fate e che siete”.