Messa del vescovo Michele oggi, nella III domenica di Quaresima, 15 marzo 2020, dal santuario mariano di Madona Granda, con la preghiera di affidamento della diocesi a Maria. Ecco l’omelia:
Da molti giorni sembra che non riusciamo più a parlare d’altro: la diffusione della malattia con i suoi dati quotidiani, il numero dei nuovi contagi, quello delle persone che riescono a guarire; purtroppo anche il numero delle persone che muoiono per cause legate al virus. Una contabilità che soprattutto in quest’ultimo caso non riesce a nascondere, dietro all’apparente esattezza dei numeri, il fatto che ogni caso è coinvolta una persona, una serie di relazioni, delle famiglie, dei cari che sono colpiti dal lutto, dal pianto dal dolore. Sono vicino a tutti coloro che piangono una persona cara con la mia preghiera, con quella di sacerdoti e dei diaconi, dei religiosi e delle religiose, dei fedeli in tutta la diocesi.
Certo, al momento non parliamo quasi d’altro.
Questa sospensione sta toccando ogni aspetto della vita di tutti noi, siamo finalmente consapevoli dell’unicità del momento che stiamo vivendo. Ma anche in questa situazione, direi forse proprio in questa situazione ci risulta evidente come non mai che la nostra vita non è soltanto questo, che essa non si può descrivere solamente con le avversità che dobbiamo affrontare.
Scopriamo quanti siano gli ingredienti che danno sapore alle nostre esistenze, quanto sia importante potere uscire, scegliere dove andare, cosa fare, quanto abbiamo bisogno di incontri, di scambi, di relazioni, anche di contatto umano. Si tratta di tante piccole e grandi esperienze della vita di cui ci rendiamo conto soltanto nel momento in cui vi dobbiamo rinunciare.
Proviamo però ad andare ancora avanti in questo cammino di scoperta: la nostra vita quotidiana – quella “normale”, quella a cui ora stiamo rinunciando – è racchiusa in un orizzonte finito, in un limite che di solito non vediamo, perché siamo concentrati su tanto altro. Ora che rallentando vediamo quel limite, quell’orizzonte attorno a noi, ci possiamo porre la domanda di sempre, quella che però faticava a venire in superficie nella frenesia dei giorni: che senso ha la nostra vita? Che cosa la rende unica, che cosa ci può spingere a viverla in pienezza? Nel Vangelo di oggi abbiamo appena ascoltato il racconto di una risposta a questa domanda. Lasciamoci allora raggiungere per questo attimo, da una Parola che esca dal quotidiano, anche dal quotidiano così drammatico che ci assilla.
C’è un incontro tra due seti, nell’episodio del dialogo tra Gesù e la samaritana al pozzo di Giacobbe. Nel mezzogiorno assolato di Palestina Gesù arriva affaticato dal viaggio e si siede vicino al pozzo. Arriva anche una donna – è strano che arrivi a quest’ora: di solito al pozzo si va la mattina, o la sera, e ci sono tante persone, che chiacchierano e si intrattengono tra loro.
E c’è Gesù che chiede da bere. E c’è la samaritana, con la sua anfora, ad attingere acqua. Queste due seti fisiche sono il punto di partenza. Ma sono solamente un punto di partenza. Alla fine, non si dirà nemmeno che Gesù abbia bevuto; della donna si dice che lasciò l’anfora per andare in città a raccontare la sua esperienza. Lui non beve, lei lascia l’acqua. Hanno incontrato ambedue qualcosa di più importante e di decisivo. Il bisogno fisico, il bere il mangiare – gli apostoli intanto erano andati a comprare il cibo, ma anche questo non interessa Gesù – il muoversi, il produrre, il costruire, il progettare: sono tutti punti di partenza importanti certo, ma che verranno messi da parte, da Gesù e dalla donna. Forse anche da noi. Gesù offre qualcos’altro e a ciascuno assicura: “l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”.
Una sorgente di acqua viva in me, in noi. Acqua che toglie la sete di senso, acqua che rende possibile un incontro vero, che rinfresca e fa fiorire la vita: è l’amore stesso di Dio che viene “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rom 5,5) – lo abbiamo sentito nella seconda lettura. La donna ha riconosciuto, poco prima, che Gesù è un profeta, un uomo di Dio, uno che sa leggere la storia al di là delle apparenze con la sapienza stessa di Dio. Poi ella gli chiede quale sia il luogo in cui adorare Dio: qual è il luogo di Dio nella mia vita? Dove si manifesta la sua presenza, dove posso essere sicuro che sono voluto, amato? Dove è il luogo in cui deporre la mia vita affinché non vada perduta, dove riceve un profumo ed una sostanza di eternità?
Questo luogo è “Spirito e verità”.
“Lo Spirito è la forza di amore che può sollevare l’essere umano nella sfera in cui è possibile l’incontro con Dio. Il luogo dello spirito è la verità” (Lilia Sebastiani). È in questa profonda e radicale verità che possiamo essere autentici, che possiamo guardare con realismo alla nostra vita: fragile, vulnerabile, destinata al passaggio della morte, certo, ma anche stupenda, meravigliosa, miracolosa, capace di riempire ogni cuore, di ricostruire ogni relazione, di aprirsi all’amore vero, di lasciarsi donare ad un’eternità di pace e di pienezza.
“Se cerchi il luogo di Dio, il suo luogo è il tuo cuore puro” (Franco Mosconi). Un cuore che sappia cogliere la vita con lo sguardo stesso di Dio, che in ogni situazione sappia cogliere quel germoglio di eternità che aspetta solo di sbocciare, la dignità che va protetta, l’occasione di bene che in essa può ancora essere colta. Un cuore che sappia donarsi senza risparmio, e senza pretesa di tornaconto. Un cuore che dimentichi sé stesso perché sente che quell’acqua viva che ne sgorga l’attraversa con la freschezza dello Spirito e non può essere fermata, o sprecata, o bloccata. Il cuore di chi serve nell’abnegazione: quanti esempi ne stiamo vedendo da più parti in questi giorni.
È in questo cuore che troviamo il Signore Gesù Cristo che è in noi, accanto a noi, davanti a noi, dietro di noi. In Spirito e verità. Troviamo la fonte di acqua viva nella Parola di Dio – che è fonte di vita e di significato, che dobbiamo continuare ad interrogare, senza sosta, per sentire la voce di Dio nella nostra vita, nella nostra storia. Dio ha sete di incontrarmi: io ho sete della sua Parola?
Lo possiamo trovare nell’Eucaristia. Eucaristia che noi preti continuiamo a celebrare, per tutti, certo, e nello Spirito sicuramente insieme con tutti: ma che dolore non poterla celebrare con il popolo, non poter essere fisicamente il corpo di Cristo visibile nella storia e che si raduna nella celebrazione della Messa.
Lo possiamo trovare nello spirito e nella verità, nella preghiera, nell’adorazione, nella solidarietà di piccoli gesti e di grandi eroismi. Perché è proprio nelle relazioni che lo possiamo ancora trovare, nell’amore che proviamo e che, nei fatti, viviamo e rendiamo vivo e reale.
Preghiamo insieme, affinché possiamo tornare al più presto ad una vita di cui avremo imparato a sentire il gusto e il sapore, sapore di acqua fresca, zampillante nell’arsura della sete, sapore di una vita quotidiana vissuta nell’intensità dell’amore vero, sapore di pane, di terra e di cielo.
Signore, noi diciamo con i samaritani del Vangelo: “Non è più per discorsi di altri che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che tu sei veramente il salvatore del mondo”.
Donaci Signore di fare esperienza di te. Facci vivere nel luogo del tuo amore.
Signore Gesù, continua ad abitare in noi.